Atlantide, il continente perduto

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Fenice158
view post Posted on 11/7/2007, 17:19




ATLANTIDE

Atlantide, il continente perduto

Cos'è Atlantide? Comunemente si vuole indicare un ipotetico grande continente, esistito migliaia di anni fa e inabbissatosi in seguito a una serie di cataclismi, nell'area adesso occupata dall'oceano atlantico. L'idea di un continente perduto, scomparso e di cui si cercano le prove della reale esistenza, ha suscitato la nascita di mille miti e altrettante leggende, ma v'è da chiedersi - per porsi in un'ottica obiettiva nei confronti del problema - cosa c'è di vero, e quanto attendibili siano le eventuali fonti in nostro possesso. Tralasciamo, quindi, per il momento il discorso relativo a Cayce, definito il profeta di Atlantide, perché le sue rivelazioni contribuirono a far rinascere il mito, e spostiamoci indietro nella storia fino al V - IV secolo a.C.: l'epoca del filosofo greco Platone.

Platone: Il primo a parlare di Atlantide

Platone fu il primo a nominare questo continente in due suoi famosi dialoghi: Timeo e Crizia. <<[...] da che poi un'isola aveva innanzi dalla bocca, la quale chiamate voi colonne d'Ercole,ed era l'isola più grande che la Libia e l'Asia insieme, [...] era passaggio [...] a tutto il continente che è a dirimpetto. [...] Atlantide [...] teneva imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l'Europa infino a Tirrenia. [...] facendosi terremoti grandi e diluvii, sopravvenendo un dì ed una notte molto terribili, [...], e l'Atlantide isola [...] inabissando entro il mare, sì sparve. [...] ed è inesplorabile; essendo d'impedimento il profondo limo, il quale, all'inabissare dell'isola, si scommosse [...]>>. Trapelano quindi alcune informazioni preziose, che raccontano di una immensa civiltà - si presume ampiamente evoluta - che fu distrutta in un giorno ed una notte di cataclismi. La presenza di un continente perduto è comunque ravvisabile in diverse culture, sorte in epoche e luoghi molto diversi tra loro. Vediamo di schematizzare questo argomento.

Il Mito di Atlantide

I toltechi (popolazione messicana) sostenevano di discendere da una terra denominata Atlan o Aztlan (è solo una coincidenza la somiglianza dei nomi?).

I Dakota (popolazione americana) sostengono che un tempo abitavano in un isola che sorgeva più a ovest della loro odierna nazione, un isola che poi fu sommersa.

Nelle isole Antille, una leggenda narra di una distruzione in tutto e per tutto simile a quella che si riscontra nei racconti di Platone e Cayce.

Anche nel Galles si tramanda una leggenda simile.

Nel libro sacro dei Maya (altra popolazione sudamericana, controversa e misteriosa) si narra di una catastrofe, datata con precisione (i Maya erano degli esperti i termini di datazione), nella quale scomparve una civiltà.

Quindi abbiamo diversi elementi, senza alcun nesso geografico, a meno che non si ammettesse davvero l'esistenza di una grande isola al centro dell'Atlantico, che fungesse da ponte tra il vecchio ed il nuovo continente. Ammettendo che tale isola sia esistita, che tipo di civiltà vi era? Che grado di evoluzione aveva raggiunto? Queste domande sono in parte soddisfatte dalle risposte che si possono evincere dalle "letture" di Cayce.

L'Atlantide di Cayce

Cayce ci offre un quadro molto dettagliato di Atlantide. Era una civiltà molto evoluta che - a causa di questa evoluzione - cadde in preda delle più turpi tentazioni, voltò le spalle a Dio, rinnegando anni di preziosa ed intelligente evoluzione in nome di un gretto materialismo. Quando si avviò il processo distruttivo, nessuno fu in Atlantide in grado di controllarlo e, in una sola notte, Atlantide scomparve. Questa molto sinteticamente è la storia di Atlantide proposta da Cayce e ricavata sulla base di una lettura comporata delle "letture" del profeta dormiente. Un dato si nota su tutti, la fine proposta da Cayce è la stessa di cui ci parla Platone nel suo dialogo, e la stesa che più o meno velatamente, più o meno direttamente, trapela dalle leggende sparse per il mondo.

clicca qui per leggere altre informazioni su Cayce nel topic dedicato

L'importanza dell'esistenza di Atlantide

Perché potrebbe essere oltremisura interessante appurare o meno l'esistenza di Atlantide? Per un semplice motivo: è ragionevole pensare che questa grande civiltà, nel giorno della catastrofe perse contemporaneamente tutti i sui abitanti? Nessuno si salvò? Nessuno per caso fortuito si trasse in salvo? Nessuno fu in grado di - malgrado la tecnologia che pare avessero - prevedere la catastrofe e approntare qualche rimedio? E' difficile ammettere che quel lontano giorno, tutto il sapere di una grande civiltà si perse, tutti i suoi abitanti morirono. In termini statistici è illogico. La statistica, si sa, è l'unica certezza di cui si dispone quando si sconoscono le regole che presiedono a determinati eventi. Cioè, in un determinato numero di casi, molto vicino alla totalità degli stessi, un determinato evento è prodotto da una determinata causa. Quindi, esaminando le più gravi catastrofi di cui abbiamo memoria, nessuna di queste ebbe una forza distruttiva tale da porre nel nulla ogni forma di vita, qualche superstite c'è stato sempre, eccezion fatta per alcuni incidenti aerei, che per loro natura e per il ristretto numero dei soggetti interessati risulta più facile il prodursi di un esito totalmente fatale. Quindi, ammettendo che da Atlantide qualcuno si salvò, è interessante sapere dove andò a ripararsi e presso quali popoli trovò rifugio?

Gli sfuggiti alla catastrofe: i segreti archivi

Secondo i resoconti di Edgar Cayce, non tutti gli abitanti di Atlantide morirono nella catastrofe. Alcuni fuggirono su imbarcazioni, altri - prevedendo i funesti eventi - si erano già trasferiti altrove, ma dove? Appare ragionevole supporre che, trovandosi Atlantide nell'Atlantico, i superstiti della catastrofe trovarono rifugio presso le coste che si affacciavano su quel mare. Ma non solo, Cayce afferma che essi trovarono rifugio in Spagna, Portogallo, Francia e Britannia, ma anche in Egitto e addirittura in America centrale (Maya). Secondo Cayce, previdenti ed evoluti com'erano, gli Atlantidi superstiti portarono con se degli archivi che sistemarono presso i luoghi in cui trovarono rifugio. Uno di questi (sarebbero tre) si troverebbe sotto le zampe anteriori della Sfinge di Giza, recenti studi sismografici, hanno si rivelato la presenza di crepe sotto le zampe, ma non delle vere e proprie stanze. Tra l'altro Cayce aveva previsto ciò per la fine dell'anno 1999. Un altro segreto archivio, sarebbe stato conservato al sicuro ad Atlantide, nella speranza di un suo risorgere dalle acque. L'ultimo archivio pare sia stato sepolto nello Yucatan, in pieno territorio Maya.

Dove cercare Atlantide?

Dobbiamo ammettere che sapere dell'esistenza di un grande continente perduto e non sapere dove andare a cercarlo, non ci è molto d'aiuto, ma allo stesso tempo possiamo affidarci al prolisso Cayce, che ci ha tramandato anche delle possibili ipotesi. secondo i suoi racconti, le isole di Bimini sarebbero vette di montagne di quella che era un isola molto più vasta (n.b. si noti che l'area è quella adicente al Triangolo delle Bermude). Se questo resoconto è vero, possiamo credere che effettivamente si rifugiarono in Messico dopo la catastrofe, dato che il tragitto da affrontare, in questo caso, è piuttosto breve. Vi è una pseudo prova, nei fondali presso Bimini, è stata rinvenuta quella che a prima vista sembra una costruzione umana, se ciò fosse vero tale costruzione risalirebbe ad almeno 13000 anni fa [vedi parte quinta]. Ma questa non è l'unica teoria avvincente su Atlantide, ve n'è sono molte altre ciascuna avvincente ed affascinante.
Il mito di Atlantide nasce dal declino della civiltà cretese?

L'idea più accettabile sul piano archeologico e se si vuole anche storico, è quella secondo la quale la mitica civiltà di Atlantide di cui parla Platone, fosse la civiltà cretese. E' storicamente accettato - ormai - che la civiltà cretese conobbe una brusca fine, quando la vicina isola Santorini nel 1400 a.C. esplose in una violenta eruzione vulcanica. In seguito a quell'eruzione si sarebbero sollevate altissime onde di maremoto sufficienti a stravolgere e distruggere le coste cretesi. Creta, privata dei suoi sbocchi sul mare sarebbe andata in rapida ed inesorabile decadenza. Se si tiene conto che cretesi ed ateniesi erano nemici, il racconto fornito da Platone potrebbe effettivamente riferirsi alla civiltà cretese, e la nascita del mito di Atlantide sarebbe solo da imputarsi a progressivi rigonfiamenti della storia per via della tradizione orale. Tuttavia, non può tacersi che Platone nei due dialoghi - Timeo e Crizia - afferma categoricamente che Atlantide sorgeva oltre le Colonne d'Ercole (Stretto di Gibilterra) e che dominava l'Europa occidentale, la Libia senza riferimento alcuno, nemmeno allusivo, a Creta. Questa teoria, quindi, sebbene probabile sul piano storico non riesce a soddisfare la sete di certezza che aleggia intorno a questo argomento.

Donnely ed i nomi ricorrenti

Ignatius Donnely fu membro del congresso degli Stati uniti d'America che scrisse un'opera che - a tutt'oggi - è considerata una Bibbia del settore: " Atlantis the Ante-Diluvian World" (Atlantide, il mondo prima del diluvio). Egli era fermamente convinto che il continente di Atlantide si trovasse là dove affermava Platone, mise anche in luce una serie di circostanze che è oltremodo riduttivo definire semplici coincidenze:

Atlante: catene montuosa africana.

Città di Atlanta sulle coste americane.

Atlanti, popolazione che viveva lungo le coste dell'Africa.

Un oceano chiamato Atlantico.

Una divinità chiamata atlante.

In definitiva la tesi di Donnely era che Atlantide fosse abitata da uomini di razza bianca e negra che all'epoca della distruzione migrarono in diversi luoghi tra i quali anche il territorio Maya. Tuttavia gli restava un incolmabile dubbio: dove è finita Atlantide?

Otto Much e i profili dei continenti

Otto Muck è uno scrittore tedesco di discreta fama, la sua popolarità e nata dal modo in cui ha affrontato il problema di Atlantide. Egli partì dai riscontri oggettivi di cui poteva disporre elaborando una singolare teoria. La base della sua teoria stava tutta nella radicale contestazione della Deriva dei Continenti, stando alla quale doveva per forza negarsi l'esistenza di un continente perduto. Egli faceva notare che mentre i profili continentali dell'Africa e dell'America del Sud sembrano combaciare, quelli sulle sponde opposte dell'atlantico settentrionale non combaciavano affatto e - cosa più importante - alcune prove paleontologiche dimostrano che nel periodo dell'Era Glaciale in Europa non arrivava la Corrente del Golfo per via - stando alla teoria di Otto Muck - della <<ingombrante>> presenza di una massa continentale proprio al centro dell'Atlantico. Riprendeva poi il discorso dei profili dei continenti asseriva che se Africa e Brasile combaciavano, non poteva dirsi altrettanto per le regioni dell'Atlantico settentrionale, in questa zona - secondo Otto Muck - era come se esisteva un buco che egli non esitò a definire <<l'ombra di Atlantide>>. Continuò l'elaborazione della sua originalissima tesi, attribuendo la distruzione del continente a fenomeni celesti, come l'impatto con un asteroide, che sconvolse l'equilibrio di quel continente producendone rapidamente la scomparsa.

Charles Hapgood

Era un professore di Storia della Scienza presso il Keene College negli U.S.A. La sua brillantezza mentale e il suo spingersi oltre i canoni accademici furono ignorati da gran parte degli scienziati che lo trattarono con freddezza fino alla sua morte, ma venne senz'altro notato da un uomo che molto ha dato alla scienza, alla fisica e quindi al progresso della razza umana: Albert Einstein. <<[...] Ricevo spesso comunicazioni da persone desiderose di consultarmi in merito a loro idee [...] idee del genere sono ben di rado dotate di validità scientifica [...] la comunicazione pervenutami da Charles Hapgood ebbe il potere di elettrizzarmi [...]>>. La teoria che elettrizzò Einstein era semplice ma dirompente al tempo stesso. Secondo Hapgood l'Antartico non fu sempre coperto dai ghiacci, e addirittura in un tempo remoto godeva di un clima temperato, in quanto si trovava non nella zona in cui si trova adesso, ma circa 4000 chilometri più a nord. L'attuale posizione del continente antartico sarebbe da imputare al fenomeno dello scorrimento della crosta terrestre (= la litosfera subisce una dislocazione slittando sulla massa interna più morbida: come se staccando interamente una buccia d'arancia la si facesse muovere sul frutto interno) e quindi anche il progressivo raffreddamento del continente.

Einstein "aiutò" Hapgood per trovare un fondamento scientifico alla causa scatenante dello slittamento, individuata nel continuo ammassarsi dei ghiacci che inevitabilmente esercitano una pressione asimmetrica sul continente. Oltre a questo interessante studio sulla dinamica di slittamento della crosta terrestre, egli fu l'involontario - quasi - padre di una delle più interessanti teorie sul continente di Atlantide. Secondo questo studioso ci sarebbero delle antiche mappe che dimostrerebbero l'esistenza di una civiltà evoluta, vissuta migliaia di anni fa. Purtroppo la sua interessante teoria doveva aspettare per dimostrare il suo valore, in quanto le stesse premesse dalle quali partiva Hapgood, con un prezioso lavoro scientifico, furono alla base di un libro di un personaggio impreciso, approssimativo e con scarse conoscenze della materia trattata: Erich von Daniken. Nel suo libro zeppo di imprecisioni e vere e proprie improvvisazioni, attribuiva tutta la questione di Atlantide, delle mappe, delle piramidi egizie agli extraterrestri. Queste affermazioni lo qualificarono subito come un ciarlatano e di conseguenza vanificarono anche il prezioso lavoro di Hapgood. Tuttavia Hapgood era un ricercatore instancabile e un giorno mentre casualmente ascoltava una trasmissione radiofonica, sentì parlare di una misteriosa mappa.

La Mappa di Piri Reis

06 Luglio 1960 <<[...] la sua richiesta di valutazione di alcune singolari caratteristiche del mappamondo di Piri Reis, è stata accolta. L'ipotesi che la parte inferiore della Carta rappresenti la Costa della Principessa Martha della Terra della Regina Maud e la Penisola Antartica è la più ragionevole. [...] Il dettaglio geografico mostrato nella parte inferiore della carta concorda in modo straordinario con il profilo sismico effettuato sulla superficie della cappa di ghiaccio [...] del 1949. Ciò sta a indicare che la linea costiera era stata rilevata prima che fosse ricoperta dalla cappa di ghiaccio.[...]>> f.to Harold Z. Ohlmeyer. A Charles Hapgood.

Fa meno rumore lo scoppio di una granata che il tranquillo e pacato tono di questa importantissima missiva di circa 40 anni fa. Perché? Semplicemente perché afferma che ciò che è rappresentato nella mappa di Piri Reis è il continente antartico prima della sua completa glaciazione, che pare avvenne nelle ipotesi più recenti in termini di date non dopo il 5000 a.C. In sostanza come poteva una mappa risalente al 1513 circa riportare i confini di un continente che a quell'epoca era da circa 6.500 anni coperto da chilometri di ghiaccio? Ma c'è di più, l'ammiraglio Piri Reis - il disegnatore di questa mappa - affermò nei suoi diari, o nelle annotazioni a margine della mappa fatte di suo pugno, che tale mappa l'aveva ricavata dal confronto di tante altre mappe antichissime, alcune delle quali erano scampate al rovinoso incendio della biblioteca di Alessandria d'Egitto.

A questo punto si potrebbe senz'altro pensare che si tratti di una beffa ben organizzata da qualcuno, ma pareri di insigni scienziati e professori concordano nell'affermare che la mappa di Piri Reis è un documento autentico nel quale possono riconoscersi senza sforzo alcuno le coste occidentali dell'Africa, quelle orientali del Sud America e - ciò che fa scalpore - quelle settentrionali dell'Antartico. La circostanza che più di tutte deve fare riflettere è quella che essendo l'Antartico stato scoperto solo nel 1818, deve per forza escludersi che le fonti di Piri Reis siano provenienti da esploratori suoi contemporanei. Un'altra circostanza fa restare perplessi: la costa della Terra della Regina Maud, che appare nella mappa sgombera totalmente dai ghiacci. Da studi geologici pare possa affermarsi che l'ultima data utile in cui l'Antartico era sgombero dai ghiacci e quindi era possibile cartografarlo minuziosamente, come appare nella famosa mappa, è il 4000 a.C. (si noti che qualsiasi data prima del 4000 a.C. in cui era possibile trovare l'Antartico sgombero dai ghiacci si aggira dal 13.000 a.C. al 4000 a.C., poiché si presume che l'Antartico ebbe un periodo di circa 9000 di totale disgelo, prima di essere avvolto da una cappa di ghiaccio). La storia a questo punto resta interdetta, poiché non vi è traccia - almeno nel senso storico del termine - di alcuna civiltà avanzata al punto da poter rilevare cartograficamente le coste di quella terra, tra il13.000 ed il 4.000 a.C.

clicca qui per leggere il topic dedicato a Piri Reis

Cartografi prima della storia?

Nelle annotazioni di Piri Reis, non troviamo nulla - se non rapidi accenni a fonti di altri esploratori tra i quali anche Cristoforo Colombo - che possa far luce sulla reale origine della mappa, o meglio riguardo le fonti sulle quali si basa. Una valida teoria, a tal proposito, ci viene proposta da Charles Hapgood. Egli riteneva che molte delle carte fonti di cui parlava l'ammiraglio Piri Reis, e che lo stesso faceva risalire al IV sec. a.C., erano in realtà molto più antiche, e riportavano alla esistenza di una civiltà talmente evoluta da aver cartografato l'intero globo terrestre già prima del 4.000 a.C. Queste mappe - sempre secondo Hapgood - sarebbero state tramandate da popolo a popolo, passando dai Cretesi a i Fenici, agli Egizi, ai Greci e forse anche ai Romani. E' probabile che queste mappe furono conservate anche presso la biblioteca di Alessandria d'Egitto, e lì furono copiate e collazionate per una più capillare diffusione. Non è inverosimile che da Alessandria queste mappe furono inviate a diversi centri europei, tra i quali non si esclude Costantinopoli che - probabilmente - fu inconsapevole centro di diffusione di queste in tutta l'Europa per via delle Crociate che a partire dal 1204 videro protagonista questa città. E' proprio a Costantinopoli che fu ritrovata nel 1929 - negli archivi del palazzo Imperiale - la mappa di Piri Reis.

La mappa di Oronzio Fineo

E' una sorta di mappamondo risalente al 1531, fu studiato e accuratamente spiegato da Charles Hapgood. In questo mappamondo si vedevano rappresentate perfettamente le coste dell'Antartico, tutte. Ma non solo, potevano individuarsi - all'interno di detto continente - catene montuose costiere altre più arretrate, fiumi e sprazzi di vegetazione che lasciavano intendere, oltre ogni dubbio, che si trattava di una mappa disegnata quando l'antartico era sgombro dai ghiacci. Anche questa mappa sembra essere stata ricavata dalla consultazione di mappe e fonti ben più antiche del 1531. Quindi sia la mappa di Piri Reis e sia la mappa di Oronzio Fineo (per non parlare di alcune mappe realizzate da Mercatore), mostrano un dato in comune: il continente Antartico prima della glaciazione che pare sia avvenuta - con una certa rapidità - a partire da 4.000 a.C. La spiegazione a ciò può essere solo una, e ci riporta entro i confini del nostro discorso, l'esistenza di una civiltà evoluta, che viaggiava per mare, che aveva gli strumenti necessari per effettuare i rilevamenti cartografici, che in definitiva avvertì l'esigenza di cartografare l'Antartide, perché?


"Quando venne giù il cielo", dei coniugi Flem-Ath

Sono due cordiali coniugi canadesi, che nella loro opera, "Quando venne giù il cielo", danno una plausibilissima spiegazione riguardo al mito di Atlantide. La loro opera nacque da un attento e rigoroso - nonché metodico - studio durato per oltre 15 anni. Nonostante la qualità del lavoro da essi svolto, non riuscirono ad affermare subito i loro sforzi perché: <<[...] basta solo fare io nome di Atlantide e le menti si chiudono [..]>>. Qual era la reale portata della teoria dei coniugi Flem-Ath? La loro teoria prendeva le mosse dagli studi di Charles Hapgood, sullo slittamento della crosta terrestre.

Essi ritenevano che questo fenomeno poteva spiegare i repentini mutamenti climatici che - molto probabilmente hanno interessato - l'Antartide, ma non solo, anche molte parti dell'Europa, in definitiva essi attribuivano a questo spettacolare fenomeno anche le estinzioni di massa verificatesi nel corso dei millenni. I coniugi Flem-Ath, andavano oltre ammettendo che, malgrado tutto, i fenomeni glaciali potevano considerarsi ricorrenti, cioè c'era qualche causa che poteva scatenarli sollecitando lo scorrimento della crosta terrestre. Per dirla con loro, in realtà non si tratterebbe di fenomeni glaciali totali di tutto il pianeta, ma circoscritti alla zona continentale che si trova all'interno dei due circoli polari. In altre parole, mentre tutto il mondo abitato vive in continenti con un clima più o meno stabile e che permette la vita senza troppe difficoltà, vi è un vero e proprio periodo glaciale in atto, che sta interessando principalmente l'Antartide.

L'evidenza di ciò che è nascosto...

Di sicuro sarà capitato a molti di non trovare qualcosa, girare e girare per casa, ripercorrere i luoghi o le strade passate, chiedere i giro e dannarsi di non trovarla e poi - quando non ci si spera più - ecco apparire quel qualcosa proprio davanti ai nostri occhi magari nel punto più in vista della stanza, lì proprio lì, dove era scontato che non ci fosse. Ecco è proprio una situazione simile a questa, che è alla base della sconvolgente teoria dei coniugi Flem-Ath. Secondo loro, perché cercare Atlantide in fondo al mare, perché ostinarsi a credere e ritenere che l'intero continente deve essere andato perduto? Perché non cercarlo nell'unico luogo dove si ritiene per presunzione che non possa esserci? In altre parole, come può perdersi un continente?

Non è più semplice sostenere che probabilmente - in seguito allo scorrimento della crosta terrestre - un continente (patria di un'evolutissima civiltà) si sia improvvisamente trovato a fronteggiare un rapido raffreddamento del suo clima - accompagnato anche da sconvolgimenti geologici - e che abbia preferito emigrare in altre terre che avevano un clima più mite? Secondo i coniugi e gran parte degli studiosi aperti a nuove ed interessanti teorie, certamente si. Se a questa teoria uniamo gli elementi che via via, abbiamo esposto, ecco che tutto diventa più probabile. Abbiamo mappe risalenti a chissà quando che ritraggono l'Antartide sgombro dai ghiacci;

il mito ricorrente in tantissime civiltà [vedi parte seconda] di un continente perduto, patria di una civiltà evoluta;

prove paleontologiche dell'esistenza di un clima sostanzialmente diverso a quello che viviamo oggi;

le "letture" del profeta di Atlantide [vedi parte prima] Edgar Cayce, relative all'esistenza di questo continente;

le interessanti teorie di Hapgood - con la spiegazione di Einstain -, dei coniugi Flem-Ath che insieme sembrano tessere di un unico puzzle.

Su queste basi, sebbene manchi la certezza, si è senz'altro tolto un po' di "limo" dal fondale melmoso su cui si adagia tutto il mito di Atlantide.

Atlantide risorgerà

La resurrezione di Atlantide, chiude la trattazione di tutte quelle teorie che parlano di questo continente perduto. L'idea di una rinascita dalle acque ci viene dalle "letture" di Cayce, secondo il quale tra il 1968/69 a largo di Bimini, si sarebbe avviato il processo della resurrezione di Atlantide. Nel 1968, 23 anni dopo la morte di Cayce, a largo di Bimini furono trovate delle strane rovine che appaiono essere manufatti umani, risalenti a tempi remotissimi e comunque a quando erano fuori dall'acqua. Il ritrovamento più importante riguarda il famoso Muro di Bimini (vedi foto a lato) esso si presenta: <<come un esteso lastricato di pietre piatte rettangolari o poligonali[...]evidentemente adattate ed allineate con cura in modo da formare una disposizione che suggeriva, in modo convincente l'intervento dell'uomo>>.

Queste scoperte suscitarono, all'inizio, solo reazioni negative. Poi si scoprì che questa costruzione, il cui utilizzo resta nel campo delle supposizioni, si ramificava nel fondo oceanico, svoltando e seguendo degli immaginari confini di una terra che non si quale fosse. Ma non è ancora tutto, dal 1970 circa è in atto una fitta campagna di voli ricognitivi che hanno messo in evidenza la presenza di costruzioni di foggia umana, sui fondali attorno a Cuba, Haiti e Santo Domingo. Intorno a quegli anni fu scoperto, nelle vicinanze di Andros, una sorta di muro sommerso. Identica scoperta venne effettuata presso Cay Lobos. A nord di Puerto Rico furono visti sott'acqua degli scalini scavati nella roccia continentale, che almeno da 12.000 è sotto il livello del mare.

Al largo della costa dello Yucatan, è possibile scorgere dall'aria molte grandi strade che lasciano dritte il litorale e poi seguono una direzione verso il mare aperto. Sul fondale al largo della Florida si rinvenne una strada perfettamente lastricata e levigata al punto che vennero fissate delle ruote a un sottomarino, e questo percorse la strada sottomarina come fosse stato un'automobile. Adesso l'unico interrogativo che ci rimane è: la resurrezione di Atlantide sarà una resurrezione caratterizza dall'emersione del continente oppure, sarà una resurrezione morale, costituita dal recupero pressoché totale della cultura, conoscenze e storia di questa immensa civiltà? Quindi nell'attesa di risolvere quest'ennesimo enigma, non ci resta altro che preparare la mente alle nuove certezze che, forse, un giorno si potrebbero raggiungere.


FONTE
 
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jasmine23
view post Posted on 12/7/2007, 10:30




ATLANTIDE PERDUTA E RITROVATA
di Giuseppe Badalucco
per Edicolaweb


Il mito di Atlantide echeggia nella mente degli Uomini da oltre 2300 anni e si rinnova continuamente, spingendo gli studiosi, gli appassionati, i ricercatori a porsi mille domande sulla reale esistenza di questo continente che una catastrofe improvvisa fece affondare negli abissi del grande Oceano al di là delle colonne d’Ercole.
Il racconto è contenuto nei dialoghi Timeo e Crizia, scritti dal filosofo greco Platone ed è da qui che dobbiamo partire per poter capire l’origine del mito.
Platone nacque ad Atene nel 427 a.C.; la sua vita fu segnata da alterne vicende che lo videro protagonista nel periodo in cui la civiltà greca, raggiunto il suo massimo splendore, iniziava una lenta decadenza che ne avrebbe decretato la fine.
Secondo testimonianze dell’epoca Platone forse partecipò da giovanissimo ad alcune campagne militari (Tanagra, Corinto e Delio) e all’età di vent’anni divenne discepolo di Socrate dopo aver frequentato per qualche tempo Cratilo.
Erano anni difficili per la vita politica della polis greca e in quel periodo si verificano tragici eventi bellici che portano alla supremazia di Sparta. Proprio nel 404 a.C. si conclude la guerra del Peloponneso e ad Atene prendono il potere le oligarchie locali con la nascita del governo dei "Trenta tiranni", tra cui è possibile annoverare il vecchio Crizia, zio di Platone. L’anno successivo vi fu la rivolta dei democratici che portò alla caduta del governo dei tiranni e Crizia cade assassinato nella battaglia di Munichia.
In questo periodo Platone comprende che è meglio tenersi lontano dalla vita politica, scelta che si conferma dopo la condanna a morte del suo maestro Socrate (399 a.C.), voluta dai democratici.
Nei dieci anni successivi Platone si reca in Italia meridionale dove viene spinto dal desiderio di conoscere i circoli pitagorici (dove conosce Filolao) ma oltre a questo compie altri viaggi di cui si sa poco, probabilmente in Africa; a Cirene conosce il matematico Teodoro e si presuppone che viaggiò anche in Egitto dove avrebbe conosciuto i sacerdoti egizi.
Nel 387 a.C. Platone ritornò ad Atene e qui vi fondò l’Accademia che richiamò molti giovani e studiosi dell’epoca. Negli anni successivi tornò in Sicilia dove aveva conosciuto Dione e con il quale sperava di poter realizzare i suoi ideali di re-filosofo, ma le alterne vicende della città siracusana con la caduta di Dionigi I e l’ascesa del figlio portò al naufragio dei piani di Platone, che si concludono tragicamente con la caduta di Dione ucciso in una congiura. Dopo queste alterne vicende Platone si ritirò ad Atene dove morì nel 347 a.C.
È importante ricordare che le opere di Platone sono composte dall’Apologia di Socrate, da 34 dialoghi e da 13 lettere che furono ordinati dallo studioso greco Trasillo nel I sec. d.C. in 9 tetralogie.
Tra i dialoghi da lui composti, nella lunga e tormentata vita, ci restano anche il Timeo ed il Crizia in cui narra di un dialogo tra commensali dove si discute di quale siano i principi politici e filosofici che devono ispirare una grande nazione e di quali debbano essere le virtù che devono esprimere i suoi uomini più illustri.
In questo contesto viene narrato il racconto che un sacerdote egizio fece a Solone e che questi avrebbe poi trasmesso ad altri, quando Solone era ancora giovane. Nel racconto si narra che vi fu un tempo, circa novemila anni prima, in cui i padri della patria greca avevano nobilmente combattuto e vinto una grande potenza che aveva invaso il mediterraneo e che aveva la sua terra natia al di là delle colonne d’Ercole.
La narrazione del mito di Atlantide è uno dei misteri più belli e affascinanti dell’antichità, un enigma di grande portata che Platone ci ha lasciato in eredità. Tutto nel suo racconto suona enigmatico; l’origine del racconto, la fine di Atlantide, la descrizione dell’isola e delle sue peculiarità geomorfologiche, la descrizione delle architetture realizzate dai suoi abitanti, il senso di potenza e di ricchezza che emana dal racconto stesso. Sono state scritte migliaia di pagine su questo mito immortale, ma ancora una volta la nostra mente, tra fantasia e sogno, tra elementi reali e immaginari, viene catturata e costretta a porsi di fronte al mistero che lo stesso rappresenta.

LA LOCALIZZAZIONE DELL’ISOLA
L’isola di Atlantide è localizzata genericamente oltre le colonne d’Ercole, situate all’altezza dell’attuale stretto di Gibilterra. Per cui Atlantide viene situata nell’Oceano Atlantico.
Poiché il racconto vuole che l’isola sprofondasse negli abissi oceanici, si riteneva nell’antichità che il braccio di mare al largo delle coste del Portogallo e dell’Africa fosse impraticabile a causa del basso fondale che si era venuto a creare con la sommersione della terra atlantidea. L’impossibilità di ritrovare la terra sommersa nel fondo dell’Oceano diede l’avvio ad una ridda di ipotesi su quella che avrebbe potuto essere la vera localizzazione dell’isola.
Così alcuni studiosi nel corso degli anni, con prove più o meno convincenti hanno asserito che Atlantide fosse localizzabile nel mar Mediterraneao, che avrebbe subito dei cataclismi durante la fine dell’ultima era glaciale. Altri invece hanno trovato Atlantide nell’Oceano Indiano e altri ancora nell’Oceano Pacifico.
Per quanto riguarda l’ipotesi mediterranea occorre dire che la scoperta di una lastra di pietra di origine fenicia, nel corso degli anni 70, in cui si accennava alla terra di Tarsis (Tartessos in Spagna) riferita alla Sardegna, ha fatto supporre che le colonne d’Ercole non fossero all’altezza dello Stretto di Gibilterra ma bensì all’altezza del Canale di Sicilia, tra la punta meridionale dell’isola e la Tunisia.
Questa ipotesi permetterebbe di prendere in considerazione come terra di Atlantide la Sardegna o comunque una parte della piattaforma continentale che sarebbe stata sommersa dall’innalzamento del livello degli oceani avvenuto in occasione dell’ultimo scioglimento dei ghiacci, tra i dodicimila e diecimila anni fa.
Studiosi che hanno approfondito tale ipotesi hanno puntato l’attenzione sulle costruzioni megalitiche e misteriose dei Nuraghi sardi e sulla presenza di reperti archeologici risalenti ad almeno settemila anni fa, ritrovati nell’isola di Malta e che farebbero pensare alla presenza di una civiltà sconosciuta che aveva profonde conoscenze tecniche che gli permettevano di costruire templi con architetture sacre molto particolari.
Bisogna ammettere che qualunque tentativo di localizzare geograficamente il luogo esatto in cui si ergeva l’isola di Atlantide è destinato a fallire miseramente in quanto nessun passo particolare del racconto platonico permette di individuare perfettamente l’isola.
Ciò che Platone fornisce sono degli spunti che permettono allo studioso di riflettere sugli elementi stessi del racconto; per esempio dalla lettura del Timeo e Crizia si evince che l’isola doveva trovarsi ad una latitudine caratterizzata da un clima temperato caldo o subtropicale perché era possibile trovarvi gli elefanti ed era ricca di vegetazione rigogliosa oltre che di pascoli che fa comunque pensare ad un clima non freddo.

L’ATLANTIDE MINOICA
Tra le varie ipotesi in campo senz’altro degna di nota è quella secondo cui la perduta civiltà di Atlantide presenterebbe tratti culturali simili a quelli della civiltà minoica che dominò la l’area greca agli albori della sua storia, tra il 1500 e il 1400 a.C. circa. Questa infatti oltre ad averci lasciato importanti reperti della propria epoca, viene ricordata per essere una civiltà che subì gli effetti devastanti e improvvisi di cataclismi che si abbatterono nel bacino del mediterraneo intorno al XV sec. a.C.
Studi condotti in passato hanno dimostrato che eruzioni vulcaniche e attività sismica interessarono l’area dell’Egeo in quel periodo e potrebbero aver determinato il crollo o il ridimensionamento di tale civiltà. Mentre per quanto riguarda elementi riguardanti la tradizione e la cultura di questa civiltà è interessante notare l’analogia tra la pratica della tauromachia (di cui sono pervenute a noi splendide rappresentazioni pittoriche su vasi) nella civiltà minoica e i riti praticati con i tori di cui Platone attribuisce la pratica nella civiltà Atlantidea. Potrebbe trattarsi di un elemento fantasioso introdotto dal filosofo greco oppure di un riferimento reale a notizie di cui era in possesso.
Ciò che lascia perplesso è la datazione del racconto atlantideo, novemila anni prima dei protagonisti del racconto, che non combacia con la datazione della civiltà minoica che si ferma a novecento anni prima di Platone, mentre alcuni studiosi si sono sforzati di dimostrare che gli Egizi contavano gli anni come mesi, per cui novemila anni sarebbero in realtà novemila mesi, cioè 750 anni (quindi le due datazioni verrebbero riavvicinate), cosa che, a quanto pare non sarebbe vera.

ATLANTIDE O ANTARTIDE?
Le ipotesi si sprecano ma fra tutte le ipotesi possibili una che senz’altro ha colpito per la sua originalità e validità delle tesi sostenute è quella per cui la perduta civiltà di Atlantide possa nascondersi sotto la coltre di ghiacci dell’Antartide. Il polo sud, questa terra misteriosa e ancora tutta da scoprire, potrebbe davvero nascondere le vestigia di questa antica civiltà?
Una serie di considerazioni hanno portato a pensare che ciò sia possibile. Le dimensioni del continente, la sua geomorfologia e altri fattori hanno inciso su questa ipotesi; in particolare gli studi condotti sul clima hanno permesso di mettere in luce che in passato l’Antartide era sgombro dai ghiacci, poiché vi cresceva una vegetazione da clima temperato caldo e ciò fa supporre che possa essere stata la principale culla di una grandiosa civiltà che potesse rappresentare un "ponte" tra l’Europa, l’America e l’Asia.
Questa ipotesi fu elaborata dall’Ammiraglio italiano Flavio Barbiero che compì studi sui diversi scenari relativi al racconto di Platone, raccolti in un suo libro pubblicato nel 1974. Parte delle sue ipotesi, estremamente innovative, furono poi riprese dagli studiosi contemporanei.

LA DESCRIZIONE DI ATLANTIDE
Uno dei tanti particolari del racconto di Platone che desta meraviglia è la descrizione della geomorfologia di Atlantide, a cui si aggiunge quella della vegetazione e del clima dell’isola. Così come lascia senza fiato il senso di potenza e di opulenza che deriva dal resoconto delle costruzioni e delle architetture atlantidee.
Si parla di un’immensa pianura che si estende intorno alla metropoli che sta al centro dell’isola; vengono descritte montagne enormi che scendono a picco sul mare e che racchiudono la pianura centrale. Vengono poi descritti i canali di collegamento dal mare al centro dell’isola resi navigabili con opere ingegneristiche di alto livello fondate su scavi che permettono la navigazione interna, a cui si aggiungevano i sontuosi templi e palazzi che si trovavano nel centro della città, circondata da un canale circolare di dimensioni considerevoli. Questo resoconto è importante perché ci dice che la civiltà di Atlantide era in grado di costruire opere megalitiche.
In questo mistero sta la grandezza di Platone; l’aver descritto, come se l’avesse avuta davanti ai propri occhi, la perduta isola di Atlantide, cosa non facile da realizzare. Se Platone era a conoscenza della versione greca del racconto, ricevuta in eredità dai suoi maestri, tuttavia conosceva dei particolari notevoli che probabilmente provenivano dalle fonti originarie del mito, che si ritiene siano egizie.
Fondamentalmente si può dire che le varie ipotesi messe in campo nel corso dei secoli, che poggiano sull’idea di un collegamento o di un nesso tra Atlantide e la civiltà egizia, al di là della loro validità o meno, derivano proprio da una logica fondata sull’origine storica del mito atlantideo, che è nell’alveo della cultura sacerdotale egiziana.
Al filosofo greco il grande merito di aver preso questa fonte e averla perpetuata nel tempo.

LE EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
Nel corso del tempo gli studiosi non si sono più accontentati di leggere il resoconto leggendario di Platone ma si sono sforzati di rendere reale il mito atlantideo cercando di portare alla luce i resti di questa antica civiltà.
Innanzitutto occorre dire che la scoperta dell’America diede avvio, anche in campo culturale, ad un dibattito sulla possibilità di ritrovare la civiltà perduta, anche considerando il ruolo delle civiltà dell’America centrale e latina che erano improvvisamente entrate in contatto con l’Europa.
Ciò che turbava gli studiosi europei era il fatto di considerare degli esseri inferiori i popoli indigeni delle Americhe e la scoperta che essi vivevano ed erano a pieno titolo possessori di tesori archeologici che ancora oggi possiamo ammirare in quei lontani luoghi.
Come potevano quei popoli essere gli autori di quei sontuosi templi, palazzi e piramidi che riempivano quelle terre e come avevano fatto a costruire opere megalitiche di quella portata?
A quel tempo non esisteva l’archeologia in senso moderno, ma gli studiosi di storia antica si limitavano a catalogare testi antichi oppure a studiare le caratteristiche dei reperti archeologici, senza effettuare studi sistematici su varie ipotesi in campo.
Inoltre molti studiosi di matrice cattolica, o addirittura esponenti del mondo ecclesiastico fecero scempio di molto materiale che andò distrutto e che avrebbe potuto chiarire molti misteri delle civiltà precolombiane.
Il problema delle origini delle civiltà precolombiane fu semplicemente rimosso con grande imbarazzo ed è stato ripreso solo in epoca moderna, anche da studiosi che hanno messo in luce come le tradizioni di alcuni popoli precolombiani e i loro miti di fondazione facciano riferimento a uomini o dei che provenivano da oriente e che fondarono la loro civiltà dopo che vi era stato un cataclisma che aveva cancellato il mondo antidiluviano (per gli aztechi essi erano gli uomini che provenivano dalla terra di Aztlan).
La storia della ricerca archeologica di Atlantide inizia, per quanto riguarda l’interesse del mondo accademico, alla fine dell’800, quando i lavori per la posa di cavi telegrafici sul fondo dell’oceano atlantico portarono alla luce dei campioni di roccia magmatica che attirarono l’attenzione degli studiosi. Infatti l’allora Direttore dell’Istituto di geologia di Parigi, Paul Tremier, dopo attente analisi dimostrò che si trattava di una roccia che poteva risalire a circa 15.000 anni fa e si era solidificata all’aria aperta.
Possiamo immaginare lo scalpore di tali affermazioni che misero in subbuglio il mondo accademico in quell’epoca; infatti questa poteva essere una prima prova della veridicità, in linea di principio, del racconto platonico, in cui l’affermazione per cui un’isola come quella di Atlantide possa essersi inabissata sul fondo dell’oceano poteva essere reale. Tale ipotesi avrebbe potuto spiegare anche una serie di conseguenze, come una modifica della struttura idrodinamica delle correnti oceaniche che avrebbe permesso di modificare il clima sulla terra e determinare la fine dell’era glaciale con lo scioglimento dei ghiacciai sull’emisfero boreale, oppure alcune abitudini di specie acquatiche, come le anguille che periodicamente migravano verso il mar dei Sargassi dove un tempo avrebbe potuto esserci l’estuario di un fiume.
Il dibattito che si aprì in quell’epoca fu accesissimo e continuò per molto tempo anche se i geologi stroncarono ipotesi come queste in quanto cercarono di dimostrare che un’isola grande come un continente non può inabissarsi nel giro di una notte.
Nel frattempo furono introdotte nuove ipotesi come quella di Immanuel Velikovsky che si spinse ad affermare che la caduta di un enorme asteroide nell’oceano atlantico potrebbe aver spezzato la dorsale atlantica e determinato l’inabissamento dell’isola. Anche questa ipotesi fu stroncata in epoca moderna ma ottenne anche l’appoggio di eminenti accademici, come il Prof. R. Bass che verificò attentamente tale ipotesi e affermò che non poteva essere esclusa a priori.
Il dibattito su Atlantide da allora è sempre acceso, perché il contributo delle scienze moderne ha permesso di introdurre via via nuove ipotesi che sono state valutate dagli studiosi; ma il compito principale spetta all’archeologia che potrà svelare, con un colpo di piccone o una spedizione subacquea, quei misteri che ancora avvolgono il continente perduto.
È proprio l’archeologia subacquea che ha dato uno dei contributi più importanti alla ricerca dei resti della civiltà perduta; protagonisti di questa spettacolare avventura l’archeologo Manson Valentine insieme al suo staff. Nel 1968 Valentine scoprì poco al largo di Bimini, un piccolo gruppo di isolette vicino alle Bahamas, un allineamento di pietre rettangolari che formavano un percorso di oltre 100 metri, che divenne famoso come "Bimini road" o "Bimini wall", cioè strada o muro di Bimin, il tutto situato ad alcuni metri di profondità nelle acque caraibiche.
Questa sensazionale scoperta ha determinato la riapertura di un nuovo dibattito sulla possibile esistenza di resti di una civiltà antidiluviana sommersa da una catastrofe migliaia di anni fa.
La scienza ufficiale si è subito divisa fra coloro che asseriscono che si tratta di formazioni naturali provocate dall’erosione marina e coloro che invece sospettano che si tratti di ciò che resta di manufatti umani molto antichi.
In particolare il sito di Bimini è formato da un primo allineamento retto di pietre rettangolari lungo diverse centinaia di metri, a cui si affianca un secondo gruppo di pietre che curva ad angolo retto verso la costa. È poi presente una terza struttura più piccola di forma regolare ed infine una quarta struttura costituita da pietre rettangolari distanziate sistematicamente in linea retta per 2400 metri che taglia in diagonale l’antica linea costiera.
Gli studiosi, a partire dallo stesso Valentine, hanno formulato diverse ipotesi su queste formazioni situate nell’oceano atlantico. Prima di tutto si è pensato ad una strada lastricata, che formava un percorso di una città antica, ma si è ipotizzato anche che possa trattarsi di una muraglia sommersa, oppure del basamento di un edificio od anche di un antico molo. Ciò che sorprende e che lascia spiazzati gli studiosi accademici è la regolarità di questi blocchi rettangolari che difficilmente possono trovarsi in natura nelle acque oceaniche per effetto dell’azione erosiva dell’acqua marina; tutto fa pensare alla mano dell’Uomo.
È stato fatto notare che è molto insolito trovare in natura delle formazioni di blocchi di pietre che curvano ad angolo retto.
Sempre nella zona circostante fu poi ritrovata una grossa formazione rettangolare che sembra la pianta di un edificio rettangolare, forse un tempio, che fu denominato "tempio di Atlantide".
Le scoperte di Manson Valentine hanno rappresentato un evento storico, in parte sottovalutato dalla scienza ufficiale, arroccata su posizioni di totale scetticismo, in quanto hanno messo in luce le vestigia di quella che potrebbe essere realmente la civiltà perduta di Atlantide. La sua localizzazione al largo delle coste caraibiche, in piene acque oceaniche può dar ragione al racconto di Platone sull’esistenza della civiltà perduta oltre le colonne d’Ercole, anche se non vi sono gli elementi per poter giudicare i dati forniti da Platone nel Timeo e Crizia.
Certo bisogna ammettere che le ricerche di Valentine hanno risvegliato l’interesse dell’archeologia verso la mitica civiltà sommersa, tant’è vero che da circa 30 anni a questa parte l’archeologia ha assunto due tendenze fondamentali nei confronti del mito Atlantideo.
Da un lato vi sono quegli studiosi che hanno puntato l’attenzione sul ruolo delle civiltà precolombiane e sui presunti collegamenti con gli eredi di Atlantide, per cui molte spedizioni sono partite alla volta dell’America Latina nella speranza di ritrovare gli elementi utili per ricostruire la storia di Atlantide. Dall’altro lato è scesa in campo l’archeologia subacquea nel tentativo di ritrovare, in diversi punti del globo, le tracce della civiltà perduta, che ha creato negli studiosi la convinzione che si trattasse di una civiltà planetaria, in grado cioè di lasciare ovunque tracce di sé.
La discesa in campo dell’archeologia subacquea ha dato frutti insperati, poiché si è giunti in epoca recente a risultati sorprendenti.
In particolare nel maggio del 2001 una spedizione internazionale guidata dall’Ingegnere Paulina Zelitzki, ha scoperto al largo delle coste di Cuba, a circa 660 metri di profondità i resti di strutture architettoniche che hanno caratteristiche tipiche dei manufatti umani.
Si tratterebbe di edifici geometrici, di piramidi e palazzi, contornati da strade di collegamento.
Come possibile che possano trovarsi resti di siffatta portata a oltre 600 metri di profondità?
Anche ipotizzando che il livello degli oceani sia cresciuto di un metro ogni secolo, quanto antichi potrebbero essere questi resti archeologici, oltre 60.000 anni?
Allo stesso tempo, recentemente, un altro staff di studiosi ha individuato quello che probabilmente potrebbe essere il grande canale circolare che circondava la città di Atlantide, sempre al largo delle isole caraibiche, a dimostrazione che l’intero complesso archeologico può rappresentare ciò che resta del nucleo centrale di Atlantide.
Notizie di siffatta portata dovrebbero far cadere i giornalisti dalle sedie ma per diversi motivi, compreso il boicottaggio della scienza ufficiale che spesso lavora per una verità di parte, sovente passano inosservate e occorrono molti anni prima che una scoperta venga ufficializzata o entri nell’area di interesse dei mass media.
Tutto questo dimostra comunque come ancora notevoli sorprese possano giungerci dai fondali marini che nascondono ciò che resta di questa antica civiltà.

RECENTI SCOPERTE DI CIVILTÀ SOMMERSE
Importanti scoperte hanno riacceso il dibattito su Atlantide negli ultimi anni. Tra queste senza dubbio quella che ha lasciato interdetti gli studiosi di tutto il mondo è quella della piramide sommersa di Yonagumi, al largo delle coste del Giappone.
Scoperta nel 1987 da un sub, Kihachiro Aratake, per alcuni anni passò inosservata fin quando il Prof. Kimura dell’Università di Okinawa fece ricadere l’attenzione dei colleghi e degli archeologi su quell’importante struttura a gradoni che si trova ad una profondità di circa 27 metri sotto la superficie del mare e che si erge fino a 5 metri sotto il livello del mare.
Questo incredibile monumento è formato da una serie di gradoni che ricordano le ziggurat babilonesi a cui si sovrappone una piattaforma e in cui è possibile individuare diverse scanalature e canali che attraversano la struttura.
In particolare la piattaforma rettangolare che si trova ad una profondità di 12 metri sembra formata da pietre tagliate manualmente con motivi triangolari e romboidali; più sotto si trova un intricato sistema di gradini e terrazze che sembrano condurre a livelli superiori e inferiori. Nella parte orientale della piattaforma si trova un canale largo 75 centimetri che corre per otto metri dentro la struttura. Vi sono poi, al centro, quattro terrazze scavate nella roccia che puntano in direzioni diverse e una di queste termina in un fossato aperto che scende fino al fondale, con un orientamento est-ovest.
La comunità internazionale si è divisa e alcuni studiosi hanno sentenziato che si tratta di una struttura naturale che ha subito nel corso di milioni di anni l’erosione del vento e poi dell’acqua marina. Ma il Prof. Kimura ha messo in gioco la propria reputazione per dimostrare che si tratta di un manufatto umano antichissimo che fa sorgere il sospetto che il Giappone possa essere una delle terre in cui la civiltà perduta abbia albergato.
Essendo Kimura il massimo conoscitore di quest’opera dopo aver studiato le caratteristiche geologiche della struttura e la sua topografia, dopo aver considerato le caratteristiche delle altre strutture che si trovano in zona e dopo aver studiato l’idrodinamica delle correnti marine, dell’azione erosiva dell’acqua, è giunto ad una serie di conclusioni molto importanti che hanno convinto molti colleghi.
Innanzitutto occorre dire che alcuni blocchi tagliati per la sua presunta costruzione sono stati trovati in punti diversi rispetto a quelli che ci sarebbe aspettati, come se fossero stati deliberatamente posati in un certo punto del fondale. Inoltre alcune aree del monumento presentano caratteristiche topografiche contrastanti fra di loro, come ad esempio un punto in cui compare un bordo sollevato, oppure due buchi circolari profondi 90 cm, o ancora un fossato che scende a strettoia.
Se queste aree fossero state oggetto di erosione dell’acqua ci si aspetterebbe che la forza erosiva avesse agito uniformemente sugli stessi punti della struttura, mentre queste forti differenze dimostrano che la struttura ha caratteristiche che ricordano la manipolazione umana e non di forze naturali.
Ancora Kimura ha fatto notare che nella parte più alta della superficie della struttura vi sono dei fossati che presentano una direzione verso sud che hanno caratteristiche a livello di erosione che non potrebbero essere state determinate da alcun processo naturale, quanto piuttosto da un processo di scavo manuale.
Così pure è stato fatto notare che la serie di gradoni che sale dal punto più basso della struttura a 27 metri di profondità fino a circa 6 metri dalla superficie dell’oceano non può essere il risultato di un processo di erosione, essendo essi a intervalli regolari.
Inoltre è stato individuato un muro o recinto che racchiude il lato occidentale della struttura, formato da grossi blocchi di pietra calcarea che non è originaria della zona. Questa viene considerata la prova definitiva che si tratta di una struttura artificiale.
Sono state fatte diverse ipotesi su questa struttura tra cui quella che si tratta solo di un monumento artificiale, mentre l’altra ipotesi è che sia un misto tra una struttura megalitica innestata su una struttura naturale, o comunque scavata nella roccia originaria che formava il blocco rettangolare.
Entrambe le ipotesi sono valide, in quanto dimostrano l’antichità del monumento, ma in particolare la seconda fa pensare al fatto che tale monumento possa avere caratteristiche simili alla Sfinge, nel senso che anche la Sfinge fu scavata da una roccia naturale.
Ciò che è importante sottolineare è la notevole antichità del monumento, forse risalente a oltre 6000 anni fa, e il fatto che esso è ciò che resta, forse insieme ad altri non ancora individuati, delle vestigia di un’antichissima civiltà, diffusa in tutto il pianeta, di cui il tratto comune in nostro possesso è la costruzione di monumenti megalitici (questo è lungo 200 metri).
Ciò che bisogna capire è che nel momento in cui è possibile individuare monumenti megalitici con caratteristiche simili alle piramidi a gradoni o a facce lisce, sparse per il mondo, e alcune sotto la superficie del mare, occorre mettere da parte qualunque remora e prendere la lezione di studiosi come Leo Frobenius e farla nostra.
Non è possibile che tutto questo sia casuale, ma è l’indice di una affinità culturale e tecnica che accomuna queste antiche culture anche se separate dal tempo.
Quello che abbiamo davanti ai nostri occhi è l’espressione di un antico retaggio che si trasmise dalla civiltà perduta, tramite i suoi sopravvissuti, alle civiltà sorte nei millenni a venire.
Questo è il buco nero della storia dell’Umanità, difficile da individuare, ma da cui ogni tanto sbucano fuori alcuni pezzi di questo passato ormai lontano.
Oltre a quanto detto più sopra occorre aggiungere che generalmente siamo abituati a pensare che una scoperta archeologica relativa ad una antica civiltà sconosciuta possa consistere nell’individuare un’antica città o una necropoli o altri reperti e che questi siano integri (come la scoperta di Troia, individuata nella sua interezza).
Un discorso di questo genere non può valere per la civiltà perduta, perché qui stiamo parlando di una civiltà che scomparve nel giro di poco tempo oltre 12.000 anni fa e i cui resti sarebbero stati inghiottiti dalle acque oceaniche, in cui vi sono profondità medie superiori ai 1000 metri.
Proviamo a pensare cosa significhi scandagliare il fondo dell’oceano nella sua infinita grandezza, palmo per palmo, a quelle profondità.
Possiamo immaginare quale fortuna abbia rappresentato la scoperta di Bimini da parte di Valentine in cui quello che è stato individuato potrebbe essere un pezzo di una muraglia; quindi proviamo a immaginare cosa possa esserci sotto a quei resti.
Se si riesce ad individuare anche un solo mattone utilizzato per costruire un tempio o palazzo, sarebbe già una fortuna, perché il disastro descritto dal mito è di proporzioni planetarie, tali da frantumare la struttura di grandi opere architettoniche e scioglierle in mezzo al mare.
Parliamo di diverse ipotesi in campo, come repentino cambiamento delle geometrie orbitali del pianeta che possono aver determinato lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai con un aumento della piovosità su scala mondiale e onde oceaniche di centinaia di metri di altezza che sbattono contro le montagne; inversione del campo magnetico della terra con effetti sulla rotazione e sul clima, impatto di una cometa, tutti eventi in grado di polverizzare la vita sulla terra, o comunque portarla sull’orlo dell’estinzione.
Il diluvio descritto da Platone, voluto dagli dei per punire la potenza malefica acquisita da Atlantide, non si discosta molto dalle descrizione fornite dai miti di fondazione più antichi, come quello sumero-accadico o altri ancora, perché è accentuata la dimensione cosmica del disastro e la sua caratterizzazione temporale, che è repentina.
Tuttavia ciò che differisce è la finalità del racconto, di tipo cosmologico e cosmogonico, nel caso dei miti di fondazione, di tipo politico, nel caso di Platone, che vuole illustrare le virtù storiche della madrepatria greca le cui nobili origini erano state dimenticate.
Nonostante tutto questo il racconto si distaccò dal contesto in cui fu scritto e divenne il più antico e nobile mito di tutti i tempi.
Difficile dire se Platone si rese conto di quello che aveva fatto. Egli prese la matrice originaria di questo mito, di derivazione egizia, che avrebbe potuto rimanere nel chiuso della terra dei Faraoni, e la trasmise al mondo e ci parlò di questa mitica civiltà che un tempo estese il suo dominio in tutto il mondo allora conosciuto e che era ricca e potente e fertile come terra. Un Eden i cui abitanti di stirpe divina, tuttavia, si corruppero rispetto alle origini e cercarono di dominare il mondo, ma furono cancellati di colpo in una notte, dopo tremendi terremoti ed eruzioni vulcaniche.
Non abbiamo la possibilità di andare oltre, con il mito Atlantideo di Platone, perché Platone si ferma qui.
A dispetto di quanto detto più sopra occorre ricordare che altri scrittori e filosofi dell’epoca greca si occuparono, anche se in modo meno sistematico, del mito atlantideo; tra questi si possono annoverare il geografo Strabone e Erodoto nelle loro opere "Descrizione della terra" e "Istorie". Essi però avevano identificato Atlantide con l’Africa settentrionale, andando in direzione diversa da quella di Platone.
Ciò che lascia ancora oggi perplessi è la mancanza di un riferimento preciso negli archivi egiziani all’isola di Atlantide, stante il racconto dei sacerdoti egizi trasmesso oralmente ai padri greci. Questa, forse, è la chiave di volta del mistero di Atlantide.
Il ritrovamento di questi presunti archivi dovrebbe mettere fine alla leggenda atlantidea per farla divenire una splendida realtà, e da più parti si è invocato la presenza di questi archivi cartacei nei meandri dei grandi monumenti della piana di Giza.
Fino a quando questi non saranno ritrovati dovremo accontentarci di una serie di leggende anche di origine egizia in cui si parla di presunti contatti della civiltà del Nilo con popoli provenienti da terre lontanissime (la leggenda del drago d’oro del Medio Regno che risale almeno al 2000-1750 a.C.).
Quello che ci preme mettere in luce è la difficoltà che si riscontra nella ricerca archeologica, perché se si fosse trattato di una terra rasa al suolo da un terremoto si sarebbero trovati i resti, ma ciò che viene inghiottito dagli oceani è difficile da ritrovare.
Questa è la tragica conseguenza del mito atlantideo che rende scettici molti studiosi; eppure già molto è stato ritrovato, a cui si aggiunge il contributo dell’archeologia precolombiana che ha dato molti frutti, perché si è iniziato affermando che le civiltà precolombiane avevano avuto inizio intorno al 500 d.C., e poi gli studiosi hanno corretto il tiro andando sempre più indietro nel tempo.

L’EVOLUZIONE STORICA DEL MITO ATLANTIDEO
È importante sottolineare anche l’evoluzione storica che ha subito il mito platonico dell’Atlantide.
Per molti secoli è rimasto immutato e addirittura ha influito sul tentativo di navigare oltre le coste occidentali dell’Europa, poiché si riteneva che quel tratto di oceano fosse impraticabile a causa della fanghiglia provocata dal cataclisma atlantico.
Ovviamente con l’evoluzione del quadro politico e storico che riguardò l’Europa tra il 300 e il 400, si riaccese l’interesse per la navigazione oltre il mediterraneo nella speranza di trovare nuovi sbocchi che permettessero di raggiungere le Indie orientali, essendo le vie di terra comunque bloccate dalla dominazione islamica sul vicino oriente.
Si ritiene che scoperte come quelle di Magellano, di Colombo e degli altri grandi navigatori di quella grandiosa epoca siano un misto tra una sfida intellettuale e tecnologica da un lato e un’esigenza economica dall’altro, considerando che queste sfide erano coperte dalle finanze del Re di turno, con grande dispendio di denaro statale.
È proprio a partire da quest’epoca che il mito Atlantideo cominciò a subire una lenta evoluzione che lentamente lo distaccò dal racconto platonico per portarlo verso una nuova dimensione che è stata data dalla fruttuosa mente umana.
Cominciamo col dire che gli uomini che toccarono il suolo americano e che negli anni successivi scoprirono le civiltà precolombiane ebbero la sensazione di trovarsi di fronte ad indigeni (uomini o animali che fossero) che occupavano le vestigia di civiltà antichissime che avevano preceduto tali popoli primitivi.
Possiamo immaginare il fervore con cui uomini di cultura, ecclesiastici e autori di cronache del tempo possano aver descritto i ritrovamenti dell’epoca a cui fece seguito non solo la totale distruzione di documenti originari e testimonianze che andarono perdute per sempre, ma anche il più o meno repentino genocidio ci milioni di persone innocenti che la storia sembra avere dimenticato.
Una volta preso possesso di queste terre, i vincitori hanno riscritto la storia, hanno contraffatto documenti e vergato sulla carta tradizioni dei popoli locali, modificando deliberatamente i miti di fondazione di molti di questi popoli, per cui è molto difficile stabilire l’esatta origine di molti di questi.
Tuttavia la follia umana non arriva fino al punto di distruggere grandi opere come le piramidi e i templi e palazzi che ci sono rimasti a testimoniare le affinità culturali tra le due sponde dell’oceano atlantico.
Questo ci è bastato per capire che vi era un collegamento anche se è molto difficile da ricostruire.
La sensazione che quindi provarono questi uomini che affacciavano il loro sguardo sulle civiltà dell’America Latina fu quello di trovarsi di fronte alla mitica civiltà di Atlantide, di cui una parte non era affondata nel gorgo oceanico e quindi di essere di fronte ad un pezzo dell’Eden antidiluviano.
Già da questo momento il mito platonico viene intaccato per subire una deviazione rispetto alle sue origini. Ma è nell’epoca moderna che il mito atlantideo subisce l’evoluzione più forte che ne modifica gli aspetti essenziali, riportando l’alveo del mito stesso alla civiltà egiziana, dopo che il baricentro della ricerca archeologica si era spostato verso l’America.
Alla fine dell’800 si assiste in Europa alla nascita di uno dei movimenti culturali più importanti che siano mai sorti nell’ultimo secolo; la società teosofica creata da Helena Blavatskiy che ebbe il compito di unire la cultura esoterica occidentale con quella orientale di matrice prettamente indiana. Questa società segreta ebbe un rapido sviluppo, grazie anche al contributo economico di decine di persone interessate, anche di rango elevato, e contribuì ad elaborare una pesante mole di opere letterarie che divennero dei classici della teosofia moderna.
Nei circoli culturali sparsi in tutta l’Europa e in America si abbeverarono alla "fonte" esoterica di questo scorcio di fine secolo diversi personaggi, tra cui, in Europa anche personaggi che furono protagonisti della scena politica europea dell’inizio del 900.
Tra lo sterminato panorama della letteratura esoterica elaborata da H. Blavatskiy, che aveva avuto a sua volta come maestro George H. Felt, della Confraternita di Luxor (la Società segreta più importante in America), insieme ai suoi collaboratori, vi è un testo "Iside svelata" in cui si parla di Atlantide. In questo testo ci si spinge ad attribuire origini atlantidee alla civiltà della Valle dell’Indo e si conclude che le speculazioni di Platone sulla creazione degli uomini primordiali e la vicenda atlantidea debbano essere interpretate in senso allegorico per poter essere comprese.
In un altro testo "Dottrina segreta" viene ideata l’identificazione degli atlantidei con i giganti biblici e si profetizza la "resurrezione" di Atlantide insieme all’altro continente perduto, quello di Lemuria.
Qui è interessante notare lo sforzo notevole messo in atto dalla teosofia per coniugare la letteratura filosofica precristiana con la letteratura religiosa cristiana, in cui l’accostamento tra il disastro atlantideo di matrice platonica e il diluvio biblico è importante, perché pone sullo stesso piano gli uomini antidiluviani atlantidei, caduti a causa del loro stesso male, e gli uomini che riempivano la terra al tempo di Noè, corrotti e malefici.
Il contributo di Blavatskiy si fermò qui, ma da allora la leggenda di Atlantide andò di pari passo con il diluvio universale, di cui, man mano che passava il tempo, si individuavano sempre nuovi pezzi fino a giungere alla scoperta delle tavolette babilonesi su cui è inciso il poema di Gilgamesh che narra del mitico diluvio e che risale almeno al 2.000 a.C.
Nel XX secolo quindi la leggenda di Atlantide conosce una nuova vita, una sorta di resurrezione che amplia le fonti di riferimento della sua origine, non fondandola solo sullo scritto platonico ma allargando tali fonti alla presunta capacità degli studiosi di esoterismo di interpretare le nuove fonti scoperte, o quelle ancora da scoprire, grazie al contributo della teosofia e degli esoteristi puri.
In questo contesto si muove il medium Edgard Cayce, il quale sfruttando le sue doti naturali che si ampliavano in stato di trance, riscrisse la storia di Atlantide, asserendo egli stesso di essere la reincarnazione di un sacerdote di Atlantide vissuto all’epoca del diluvio.
Secondo questa versione del racconto di Cayce, che non contesta il racconto platonico, Atlantide era una civiltà evoluta che era in grado di governare il mondo antidiluviano.
In particolare conosceva l’uso dell’energia atomica, era in grado di viaggiare su mezzi di trasporto simili a quelli moderni, conosceva le tecnologie moderne relative alle tecniche ingegneristiche e a quelle di costruzione.
Una vera civiltà evoluta in senso moderno che si autodistrusse con diverse guerre in cui fu impiegata anche l’energia atomica per poi inabissarsi intorno al 10.000 a.C.
I sopravvissuti di Atlantide sarebbero emigrati in parte verso l’Egitto e in parte verso l’America latina dando origine alle civiltà megalitiche e delle piramidi, dovendo comunque subire un regresso tecnologico che riportò gli uomini all’età della pietra.
Cayce (deceduto nel 1945) riscrisse quindi in chiave moderna l’epopea di Atlantide e profetizzò che l’isola più importante del continente atlantideo sarebbe risorta dalle acque della zona caraibica intorno al 1968, profezia che secondo alcuni si è avverata con le scoperte di Bimini.
L’evoluzione subita dal mito atlantideo dimostra come esso sia da considerarsi un paradigma relativo agli orizzonti della storia umana che possono essere cicilici, cioè ripetersi ad intervalli di tempo, per cui quanto accaduto nel passato lontano può essere espressione di un destino comune dell’uomo che prima o poi si ripeterà.
Comunque la si pensi bisogna ammettere che questo mito immortale affascina gli uomini da sempre e continuerà a spingere l’uomo a porsi inquietanti interrogativi su quello che possa essere il proprio destino futuro.
Che questo mito sia l’ombra di una verità storica spetta all’archeologia dimostrarlo, perché se è vero che sembra impensabile che novemila anni prima di Platone potesse esistere uno stato greco organizzato è pur vero che ciò che sembra impossibile può sempre avverarsi, come dimostrò Heinrich Schliemann che scoprì i resti di Troia.
A Platone, da grande pensatore quale era, il merito di aver raccolto e trasmesso all’Umanità questa importante eredità del passato perduto e di averla perpetuata come monito per le generazioni future.

FONTE
 
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jasmine23
view post Posted on 12/7/2007, 11:11




Per tutti coloro che si sono letti tutte le teorie riguardanti Atlantide, ma si sono sempre chiesti: " Ma Platone, cos'ha veramente scritto in proposito?", riporto per intero i passi, tradotti dal greco, del dialogo filosofico Crizia di Platone, in cui si parla di Atlantide:

ERMOCRATE: Ebbene, o Socrate, tu mi dai lo stesso avvertimento che dai a costui. Ed effettivamente uomini privi
di coraggio non innalzarono mai un trofeo, o Crizia: bisogna dunque andare avanti coraggiosamente nel discorso, e,
rivolta l'invocazione a Peone e alle Muse, proclamare e celebrare le virtù degli antichi cittadini.

CRIZIA: Caro Ermocrate, tu sei stato assegnato all'ultima fila e hai un altro davanti a te, ed è per questo che sei
ancora pieno di baldanza.
Di che natura sia dunque questa impresa, presto sarà essa stessa a chiarirtelo: bisogna quindi prestare ascolto alle tue
esortazioni e ai tuoi incoraggiamenti e oltre agli dèi che tu hai menzionato dobbiamo invocare anche gli altri e
soprattutto Mnemosine. Infatti quello che, per così dire, è l'aspetto più importante delle nostre parole dipende
interamente da questa divinità: se abbiamo sufficiente memoria e avremo riferito più o meno ciò che sia stato detto dai
sacerdoti e riportato qui da Solone, io sono più o meno sicuro che a questo uditorio daremo l'impressione di aver
svolto adeguatamente i nostri compiti.
Questo dunque è ciò che bisogna fare e non indugiare oltre.
Per prima cosa ricordiamoci che in totale erano novemila anni da quando, come si racconta, scoppiò la guerra
tra i popoli che abitavano al di là rispetto alle Colonne di Eracle e tutti quelli che abitano al di qua; e questa guerra
bisogna ora descriverla compiutamente. A capo degli uni dunque, si diceva, era questa città, che sostenne la guerra
per tutto il tempo, gli altri invece erano sotto il comando dei re dell'isola di Atlantide, la quale, come dicemmo, era
a quel tempo più grande della Libia e dell'Asia, mentre adesso, sommersa da terremoti, è una melma insormontabile
che impedisce il passo a coloro che navigano da qui per raggiungere il mare aperto, per cui il viaggio non va oltre.
Quanto ai numerosi popoli barbari e a tutte le stirpi greche che esistevano allora, per ciascuna lo sviluppo del discorso
nel suo svolgersi mostrerà ciò che accadde; quanto invece alla stirpe degli Ateniesi di allora e degli avversari contro i
quali guerreggiarono, è necessario innanzi tutto esporre da principio la potenza di ciascuno e le loro costituzioni. E tra
questi stessi popoli dobbiamo dare la priorità, nel racconto, a quelli che abitarono qui.
Gli dèi infatti un tempo si divisero a sorte tutta quanta la terra secondo i luoghi - non per contesa: sarebbe difatti
un ragionamento non giusto pensare che gli dèi ignorino ciò che conviene a ciascuno di loro e che poi, conoscendo ciò
che conviene meglio ad altri, avessero cercato di procurarselo per se stessi a forza di contese - ottenendo dunque con
sorteggi di giustizia ciò che era loro gradito, prendevano dimora in quelle regioni e, dopo esservisi stabiliti, come i
pastori le greggi, ci allevavano beni propri e proprie creature, senza usare violenza sul corpo con la forza fisica, come i
pastori che conducono al pascolo le bestie sotto i colpi della sferza, ma nel modo in cui, in particolare, si tratta un
animale docile, guidando da poppa, attaccandosi all'anima con la persuasione come un timone, secondo il loro disegno:
in questo modo guidavano e governavano tutto il genere umano. Gli dèi, avendo dunque ottenuto in sorte chi questi
luoghi chi altri, li amministravano. Efesto e Atena,(16) che hanno una natura comune, sia in quanto fratello e sorella
nati dallo stesso padre sia in quanto pervenuti al medesimo fine per il loro amore della sapienza e dell'arte, così
ricevettero entrambi un unico lotto, questa regione, come congeniale e naturalmente adatta per la virtù e il pensiero, e
avendovi fatto nascere come autoctoni uomini virtuosi, stabilirono nella loro mente l'ordinamento politico; i loro
nomi sono conservati, ma le loro opere a causa delle distruzioni dei successori e per la lunghezza del tempo trascorso,
sono svanite. Infatti la stirpe che sempre sopravviveva, come si è detto precedentemente, rimaneva montanara e
illetterata, e conosceva solo per sentito dire i nomi dei signori di quella regione e, oltre a questi, poche delle loro opere.
Essi dunque, si accontentavano di assegnare questi nomi ai figli, ma ignoravano le virtù e le leggi dei predecessori,
tranne alcune oscure informazioni su ognuno di loro e trovandosi, essi e i loro figli per molte generazioni, sprovvisti
dei beni di necessità, rivolgendo la mente a ciò di cui mancavano, e a questo dedicando inoltre i loro discorsi, non si
curavano dei fatti avvenuti nei tempi precedenti e anticamente. Il racconto e la ricerca degli avvenimenti antichi infatti
entrano nelle città insieme con il tempo libero, quando si comincia a vedere qualcuno già rifornito dei beni necessari
per vivere, prima no.
Così i nomi degli antichi si sono conservati, senza il ricordo delle loro opere. Dico questo basandomi sul fatto che
tra le moltissime imprese che appunto si ricordano associate ai nomi di ciascuno, di Cecrope, Eretteo, Erittonio,
Erisittone e degli altri eroi anteriori a Teseo, tra queste imprese Solone dice che i sacerdoti, menzionando per
lo più i nomi di quei personaggi, raccontarono la guerra che si combatté a quel tempo, e allo stesso modo per i nomi
delle donne. Quanto poi all'immagine e alla statua della dea, dal momento che a quel tempo le occupazioni militari
erano comuni sia alle donne sia agli uomini, così , conformemente a quella consuetudine, essi avevano una statua votiva
della dea armata, prova che tutti gli esseri viventi che vivono associati, femmine e maschi, sono per natura capaci di
esercitare in comune la virtù che compete a ciascun sesso. A quel tempo dunque abitavano in questa regione le
altre classi di cittadini impegnate nei mestieri e a trarre nutrimento dalla terra, mentre la classe dei guerrieri, fin dal
principio distinta per volere di uomini divini, viveva separatamente, provvista di tutto ciò che fosse necessario per il
sostentamento e per l'educazione; nessuno di loro possedeva nulla di proprio, ma consideravano tutto in comune, e non
ritenevano giusto accettare nulla dagli altri cittadini che fosse più del nutrimento sufficiente ed esercitavano tutte le
attività descritte ieri, che sono state menzionate a proposito dei guardiani che abbiamo ipotizzato. Inoltre la storia
che veniva riportata sulla nostra regione era credibile e vera: per prima cosa, per quel che concerne i confini a quel
tempo arrivavano fino all'Istmo e, nella parte lungo il resto del continente, fino alle cime del Citerone e del
Parnete, scendevano poi avendo a destra l'Oropia e a sinistra fino al mare escludendo l'Asopo: questa
nostra regione superava per fertilità tutte le altre, per cui a quel tempo poteva anche nutrire un grande esercito
inoperoso nei lavori dei campi. Una valida prova del suo valore: ciò che ora resta di essa sostiene il confronto con
qualunque terra, perché produce di tutto, molti frutti e abbondanti pascoli per tutti gli animali. A quel tempo invece,
oltre alla fine qualità di quei frutti, ne produceva anche in grande abbondanza.
Come è possibile dunque questo e sulla base di quale residuo attuale della terra di allora può esser detto a ragione?
Essa, staccata interamente dal resto del continente, giace allungandosi fino al mare come la punta di un promontorio; il
bacino di mare che la comprende sprofonda rapidamente da ogni parte. Essendoci dunque stati molti e terribili
cataclismi in questi novemila anni - perché tanti sono gli anni che intercorrono da quel tempo fino a oggi - la parte di
terra che in questi anni e in tanti accidenti si è staccata dalle alture non accumulava sedimenti di terra di una certa
consistenza, come in altri luoghi e, scivolando giù in un processo continuo tutt'intorno, scompariva nella profondità del
mare; dunque, come avviene nelle piccole isole, a confronto con ciò che c'era a quel tempo, le parti che oggi restano
sono come ossa di un corpo che è stato colpito da una malattia, perché la terra intorno, ciò che di essa era grasso e
molle, è scivolata via, ed è rimasto soltanto, della regione, l'esile corpo. A quel tempo invece, quando era integra,
aveva per monti colline e levate e ricche di terra grassa, le pianure oggi dette di Felleo, e sui monti aveva vasti
boschi, dei quali sussistono testimonianze visibili ancora oggi. E di quei monti ve ne sono alcuni che attualmente
forniscono nutrimento soltanto alle api, ma non è poi moltissimo tempo che, ricavati dagli alberi tagliati via da qui per
fare da riparo in costruzioni imponenti, si conservavano ancora i tetti. Vi crescevano, numerosi, alti alberi coltivati, ma
fornivano anche pascoli inesauribili per il bestiame. Inoltre ogni anno godeva dell'acqua che veniva da Zeus, e non la
perdeva, come avviene ai nostri giorni, quando scompare defluendo via dalla terra spoglia fino al mare; poiché ne aveva
in abbondanza la accoglieva nel suo seno, la teneva in serbo nella terra argillosa e impermeabile, lasciando poi cadere
l'acqua dall'alto dalle alture fino alle cavità, offriva dappertutto abbondante flusso di sorgenti e di fiumi, e i santuari
che ancora oggi rimangono presso le sorgenti che esistevano un tempo sono una testimonianza del fatto che i racconti
odierni su di essa corrispondono a verità.

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Queste dunque le condizioni naturali del resto del paese. E, come conviene, era tenuta in bell'ordine, da veri
agricoltori, che facevano proprio questo mestiere, amanti del bello e dotati di buone qualità, disponevano di terra
eccellente, acqua in notevole abbondanza e, su quella terra, godevano di stagioni decisamente temperate. Ed ecco come
era abitata a quel tempo la città. Innanzi tutto la parte dell'acropoli non era allora come è oggi. Ci fu infatti una sola
notte di pioggia, in cui piovve più di quanto la terra potesse sopportare, che l'ha liquefatta tutt'intorno e resa oggi
terribilmente spoglia, e nello stesso tempo vi furono terremoti e una straordinaria alluvione, la terza prima della
catastrofe di Deucalione; ma precedentemente, in un altro tempo, per grandezza si estendeva fino all'Eridano e
all'Ilisso, abbracciava al suo interno la Pnice e comprendeva, dalla parte opposta rispetto alla Pnice, il monte
Licabetto, ed era tutta di terra e, salvo che in un piccolo tratto sulla sommità, pianeggiante. Le zone periferiche,
sotto i fianchi stessi dell'Acropoli, erano abitate dagli artigiani e dagli agricoltori che lavoravano la terra circostante; la
zona superiore la abitava, intorno al santuario di Atena e di Efesto, la sola classe dei guerrieri, i quali l'avevano
circondata da un muro come il giardino di un'unica dimora. Abitavano i fianchi di questa rivolti a settentrione, in
dimore comuni. Vi avevano allestito mense per i mesi invernali; tutto ciò che si addiceva alla vita in comune, per le
loro costruzioni e per i santuari, essi lo possedevano, fatta eccezione per l'oro e l'argento - di questi metalli infatti non
facevano assolutamente uso, e perseguivano piuttosto una via di mezzo tra sfarzo arrogante e illiberale spilorceria,
abitando case dignitose, nelle quali essi stessi e i figli dei loro figli invecchiavano e che lasciavano via via in eredità ad
altri uguali a loro -, i fianchi esposti a sud invece, quando abbandonavano giardini, ginnasi e mense, ad esempio
durante la stagione estiva, li utilizzavano per questi scopi. C'era una sola fonte, nel luogo dove oggi è l'acropoli, della
quale, inaridita a causa dei terremoti, restano attualmente piccoli rivoli tutt'intorno, e che invece agli uomini di quel
tempo forniva, a tutti, un flusso abbondante, ed era temperata sia in inverno sia in estate. Questo dunque il modo in cui
abitavano la città, fungendo da custodi dei loro propri concittadini e d'altra parte da capi, liberamente accolti, degli altri
Greci, sempre però vegliando che al loro interno fosse quanto più possibile lo stesso in tutti i tempi il numero degli
uomini e delle donne, di quelli già in grado di combattere e di quelli che lo fossero ancora, circa ventimila al
massimo. Tali dunque essendo questi uomini e in tal modo sempre amministrando secondo giustizia la propria città
e la Grecia, erano stimati in tutta l'Europa e in tutta l'Asia per la bellezza del corpo e per ogni tipo dì virtù dell'animo,
ed erano fra tutti gli uomini del loro tempo i più famosi. Quanto poi ai loro avversari, quali fossero le loro condizioni e
come andassero le cose in origine, se in noi non è spento il ricordo di ciò che udimmo quando eravamo ancora bambini,
ve lo spiegheremo: e ciò che sappiamo sia in comune con gli amici.
è d'uopo tuttavia, prima di iniziare il discorso, fornire ancora una breve chiarificazione, perché non vi sorprendiate
di sentire pronunciare nomi greci per uomini barbari: ne apprenderete la causa. Solone, poiché aveva in mente di usare
questo racconto per la sua poesia, cercando informazioni sul senso di questi nomi, trovò che quegli Egiziani che per
primi avevano scritto questi nomi, li avevano tradotti nella propria lingua, e di nuovo egli, a sua volta, recuperando il
significato di ciascun nome, li trascrisse trasferendoli nella nostra lingua. E questi scritti appunto si trovavano in
possesso di mio nonno, attualmente sono ancora in mio possesso, e me ne sono molto occupato quando ero un
ragazzo. Se dunque udrete tali nomi, simili a questi nostri, non vi sembri strano: ne conoscete la ragione. Ed ecco
dunque qual era press'a poco l'inizio di questo lungo racconto.
Come si è detto prima, a proposito del sorteggio degli dèi, che si spartirono tutta la terra, in lotti dove più grandi
dove più piccoli, e istituirono in proprio onore offerte e sacrifici, così anche Poseidone, che aveva ricevuto in sorte
l'isola di Atlantide, stabilì i propri figli, generati da una donna mortale, in un certo luogo dell'isola.
Vicino al mare, ma nella parte centrale dell'intera isola, c'era una pianura, che si dice fosse di tutte la più bella e
garanzia di prosperità, vicino poi alla pianura, ma al centro di essa, a una distanza di circa cinquanta stadi, c'era un
monte, di modeste dimensioni da ogni lato. Questo monte era abitato da uno degli uomini nati qui in origine dalla terra,
il cui nome era Euenore e che abitava lì insieme a una donna, Leucippe. Generarono un'unica figlia, Clito. La fanciulla
era ormai in età da marito, quando la madre e il padre morirono. Poseidone, avendo concepito il desiderio di lei, sì unì
con la fanciulla e rese ben fortificata la collina nella quale viveva, la fece scoscesa tutt'intorno, formando cinte di mare e
di terra, alternativamente, più piccole e più grandi, l'una intorno all'altra, due di terra, tre di mare, come se lavorasse al
tornio, a partire dal centro dell'isola, dovunque a uguale distanza, in modo che l'isola fosse inaccessibile agli uomini: a
quel tempo infatti non esistevano né imbarcazioni né navigazione. Egli stesso poi abbellì facilmente, come può un dio,
l'isola nella sua parte centrale, facendo scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una che sgorgava calda dalla fonte,
l'altra fredda; fece poi produrre dalla terra nutrimento d'ogni sorta e in abbondanza. Generò cinque coppie di figli
maschi, li allevò e dopo aver diviso in dieci parti tutta l'isola di Atlantide, al figlio nato per primo dei due più vecchi
assegnò la dimora della madre e il lotto circostante, che era il più esteso e il migliore, e lo fece re degli altri, gli altri li
fece capi e a ciascuno diede potere su un gran numero di uomini e su un vasto territorio. Diede a tutti dei nomi, a colui
che era il più anziano e re assegnò questo nome, che è poi quello che ha tutta l'isola e il mare, chiamato Atlantico perché
il nome di colui che per primo regnò allora era appunto Atlante; il fratello gemello nato dopo di lui, che aveva
ricevuto in sorte l'estremità dell'isola verso le Colonne di Eracle, di fronte alla regione oggi chiamata Gadirica dal nome
di quella località, in greco era Eumelo, mentre nella lingua del luogo Gadiro, il nome che avrebbe appunto fornito la
denominazione a questa regione. Ai due figli che nacquero nel secondo parto Poseidone diede, al primo, il nome
Amfere e al secondo il nome Euemone; ai figli di terza nascita diede nome Mnesea, a quello nato per primo, Autoctone
a quello nato dopo; dei figli di quarta nascita Elasippo fu il primo e Mestore il secondo; ai figli di quinta nascita fu dato
il nome di Azae al primo, di Diaprepe al secondo. Tutti costoro, essi stessi e i loro discendenti, per molte generazioni
abitarono qui, esercitando il comando su molte altre isole di quel mare, ed inoltre, come si disse anche prima,

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governando regioni al di qua, fino all'Egitto e alla Tirrenia.
La stirpe di Atlante dunque fu numerosa e onorata, e poiché era sempre il re più vecchio a trasmettere al più vecchio
dei suoi figli il potere, preservarono il regno per molte generazioni, acquistando ricchezze in quantità tale quante mai
ve n'erano state prima in nessun dominio di re, né mai facilmente ve ne saranno in avvenire, e d'altra parte potendo
disporre di tutto ciò di cui fosse necessario disporre nella città e nel resto del paese. Infatti molte risorse, grazie al loro
predominio, provenivano loro dall'esterno, ma la maggior parte le offriva l'isola stessa per le necessità della vita: in
primo luogo tutti i metalli, allo stato solido o fuso, che vengono estratti dalle miniere, sia quello del quale oggi si
conosce solo il nome - a quel tempo invece la sostanza era più di un nome, l'oricalco, estratto dalla terra in molti
luoghi dell'isola, ed era il più prezioso, a parte l'oro, tra i metalli che esistevano allora - sia tutto ciò che le foreste
offrono per i lavori dei carpentieri: tutto produceva in abbondanza, e nutriva poi a sufficienza animali domestici e
selvaggi.
In particolare era qui ben rappresentata la specie degli elefanti. Difatti i pascoli per gli altri animali, per quelli che
vivono nelle paludi, nei laghi e nei fiumi e così per quelli che pascolano sui monti e nelle pianure, erano per tutti
abbondanti e altrettanto lo erano per questo animale, nonostante sia il più grosso e il più vorace. A ciò si aggiunga che
le essenze profumate che la terra produce ai nostri giorni, di radici, di germoglio, di legni, di succhi trasudanti da fiori o
da frutti, le produceva tutte e le faceva crescere bene; e ancora, forniva il frutto coltivato e quello secco che ci fa
da nutrimento e quei frutti dei quali ci serviamo per fare il pane - tutte quante le specie di questo prodotto le chiamiamo
cereali - e il frutto legnoso che offre bevande, alimenti e oli profumati, il frutto dalla dura scorza, usato per
divertimento e per piacere, difficile da conservare, così quelli che serviamo dopo la cena come rimedi graditi a chi
è affaticato dalla sazietà: tali prodotti l'isola sacra che esisteva allora sotto il sole, offriva, belli e meravigliosi, in
una abbondanza senza fine. Prendendo dunque dalla terra tutte queste ricchezze, costruivano i templi, le dimore regali,
i porti, i cantieri navali e il resto della regione, ordinando ogni cosa nel seguente modo.
Le cinte di mare che si trovavano intorno all'antica metropoli per prima cosa le resero praticabili per mezzo di ponti,
formando una via all'esterno e verso il palazzo reale. Il palazzo reale lo realizzarono fin da principio in questa stessa
residenza del dio e degli antenati, ricevendolo in eredità l'uno dall'altro, e aggiungendo ornamenti a ornamenti
cercavano sempre di superare, per quanto potevano, il predecessore, finché realizzarono una dimora straordinaria a
vedersi per la grandiosità e la bellezza dei lavori.
Realizzarono, partendo dal mare, un canale di collegamento largo tre plettri, profondo cento piedi e lungo
cinquanta stadi fino alla cinta di mare più esterna: crearono così il passaggio dal mare fino a quella cinta, come in un
porto, dopo aver formato un'imboccatura sufficiente per l'ingresso delle navi di maggiori dimensioni. Inoltre tagliarono
le cinte di terra che dividevano tra loro le cinte di mare all'altezza dei ponti, tanto da poter passare, a bordo di una sola
trireme, da una cinta all'altra, e coprirono i passaggi con tetti, in modo tale che la navigazione avvenisse al di sotto: e
infatti le sponde delle cinte di terra si elevavano sufficientemente sul livello del mare. La cinta maggiore, con la quale
era in comunicazione il mare, era di tre stadi di larghezza e di pari larghezza era la cinta di terra a ridosso; delle due
cinte successive quella di mare era larga due stadi, quella di terra aveva ancora una volta una larghezza pari alla cinta di
mare; di uno stadio era invece la cinta di mare che correva intorno all'isola stessa, nel mezzo. L'isola, nella quale si
trovava la dimora dei re, aveva un diametro di cinque stadi. Questa, tutt'intorno, e le cinte, e il ponte, largo un plettro,
li circondarono da una parte e dall'altra con un muro di pietra, facendo sovrastare il ponte, da entrambe le parti, da torri
e porte, lungo i passaggi che portavano al mare; tagliarono la pietra tutt'intorno, al di sotto dell'isola centrale, e sotto le
cinte, nella parte esterna e in quella interna, bianca, nera, rossa, e mentre tagliavano creavano all'interno due
profondi arsenali la cui copertura era di quella stessa pietra. Quanto alle costruzioni, alcune erano semplici, mentre altre
le realizzavano variopinte, mescolando, per il piacere della vista, le pietre: e così rendevano loro una grazia naturale;
rivestirono tutto il perimetro del muro che correva lungo la cinta esterna con il bronzo, servendosene a guisa di
intonaco, mentre quello della cinta interna lo spalmarono con stagno fuso, e infine quello che circondava la stessa
acropoli con oricalco dai riflessi di fuoco.
Il palazzo reale, all'interno dell'acropoli, era sistemato nel seguente modo. Al centro il santuario, consacrato in
quello stesso luogo a Clito e a Poseidone, era lasciato inaccessibile, circondato da un muro d'oro, e fu là che in origine
concepirono e misero al mondo la stirpe dei dieci capi delle dinastie reali; ed era ancora là che ogni anno venivano, da
tutte e dieci le sedi del paese, le offerte stagionali per ognuno di quelle divinità. Il tempio dello stesso Poseidone era
lungo uno stadio, largo tre plettri, proporzionato in altezza a queste dimensioni, e aveva nella figura un che di
barbarico. Rivestirono d'argento tutta la parte esterna del tempio, ad eccezione degli acroterii, e gli acroterii erano
d'oro; quanto agli interni, il soffitto era a vedersi interamente d'avorio, variegato d'oro, argento e oricalco; tutte le altre
parti, pareti, colonne e pavimento, le rivestirono di oricalco. Vi collocarono statue d'oro, il dio in piedi su un carro,
auriga di sei cavalli alati, egli stesso tanto grande da toccare con la testa il soffitto del tempio, tutt'intorno cento Nereidi
su delfini - perché tante pensavano allora che fossero le Nereidi - e vi erano molte altre statue, doni votivi di
privati. Intorno al santuario, all'esterno, si trovavano immagini d'oro di tutti, le donne e quei re che nacquero dai dieci, e
molte altre offerte votive di grandi dimensioni, di re e privati, originari della città stessa e di altri paesi esterni, quelli sui
quali governavano. L'altare, per la grandezza e la raffinatezza del lavoro, era in armonia con questo apparato, e la
reggia, allo stesso modo, ben rispondeva da una parte alla grandezza dell'impero, dall'altra allo splendore del tempio
stesso. Quanto alle fonti, quella della sorgente di acqua fredda e quella della sorgente di acqua calda, di generosa
abbondanza, ognuna straordinariamente adatta all'uso per la gradevolezza e la virtù delle acque, le utilizzavano
disponendo intorno abitazioni e piantagioni di alberi adatte a quelle acque e installandovi intorno cisterne, alcune a cielo Platone Crizia

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aperto, altre coperte usate in inverno per i bagni caldi, da una parte quelle del re, dall'altra quelle dei privati, altre ancora
per le donne, altre per i cavalli e per le altre bestie da soma, attribuendo a ciascuna la decorazione appropriata. L'acqua
che sgorgava da qui la portavano fino al bosco sacro di Poseidone, alberi d'ogni sorta, che avevano, grazie alla virtù
della terra, bellezza ed altezza straordinarie, e facevano scorrere l'acqua fino ai cerchi esterni attraverso canalizzazioni
costruite lungo i ponti. E qui erano stati costruiti molti templi, in onore di molte divinità, molti giardini e molti ginnasi,
alcuni per gli uomini, altri per i cavalli, a parte, in ognuna delle due isole circolari. Inoltre, al centro dell'isola
maggiore, per sé si erano riservati un ippodromo, largo uno stadio e tanto lungo da permettere ai cavalli di percorrere
per la gara l'intera circonferenza. Intorno a questo, dall'una e dall'altra parte, vi erano costruzioni per le guardie, per la
gran massa dei dorifori; ai più fedeli era stato assegnato il presidio nella cerchia minore, che si trovava più vicino
all'acropoli, mentre a coloro che fra tutti si distinguevano per fedeltà erano stati dati alloggi all'interno dell'acropoli,
vicino ai re. Gli arsenali erano pieni di triremi e delle suppellettili necessari alle triremi, tutte preparate in quantità
sufficiente. E nel modo seguente erano poi sistemate le cose intorno alla residenza dei re: per chi attraversava i porti
esterni, in numero di tre, a partire dal mare correva in cerchio un muro, distante cinquanta stadi in ogni parte dalla cinta
maggiore e dal porto. Tale muro si chiudeva in se stesso in uno stesso punto, presso l'imboccatura del canale dalla parte
del mare. Tutta questa estensione era coperta di numerose e fitte abitazioni, mentre il canale e il porto maggiore
pullulavano di imbarcazioni e di mercanti che giungevano da ogni parte e che, per il gran numero, riversavano giorno e
notte voci e tumulto e fragore d'ogni genere.
Abbiamo dunque riferito ora press'a poco quanto a quel tempo si disse della città e dell'antica dimora; cerchiamo
allora di richiamare alla mente quale fosse la natura del resto del paese e come fosse organizzato. In primo luogo tutto
quanto il territorio si diceva che fosse alto e a picco sul mare, mentre tutt'intorno alla città vi era una pianura, che
abbracciava la città ed era essa stessa circondata da monti che discendevano fino al mare, piana e uniforme, tutta
allungata, lunga tremila stadi sui due lati e al centro duemila stadi dal mare fin giù. Questa parte dell'intera isola era
rivolta a mezzogiorno e al riparo dai venti del nord. I monti che la circondavano erano rinomati a quel tempo, in
numero, grandezza e bellezza superiori ai monti che esistono oggi, per i molti villaggi ricchi di abitanti che vi si trovano
e d'altra parte per i fiumi, i laghi, i prati, capaci di nutrire ogni sorta di animali domestici e selvaggi, per le foreste
numerose e varie, inesauribili per l'insieme dei lavori e per ciascuno in particolare. Questa pianura in un lungo lasso di
tempo, per opera della natura e di molti re, prese dunque la seguente sistemazione. Aveva, come ho già detto, la forma
di un quadrilatero, rettilineo per la maggior parte, e allungato, ma là dove si discostava dalla linea retta lo raddrizzarono
per mezzo di un fossato scavato tutt'intorno: ciò che si dice della profondità, larghezza e lunghezza di questo fossato
non è credibile, che cioè opera realizzata dalla mano dell'uomo potesse essere di tali dimensioni, oltre agli altri duri
lavori che aveva comportato. Bisogna tuttavia riferire ciò che udimmo: ebbene, era stata scavata per una profondità di
un plettro, mentre la sua larghezza era in ogni punto di uno stadio, e poiché era stata scavata tutto intorno alla pianura,
ne risultava una lunghezza di diecimila stadi. Riceveva i corsi d'acqua che discendevano dai monti e girava intorno alla
pianura, arrivando da entrambi i lati fino alla città, da lì poi andava a gettarsi nel mare. Dalla parte superiore di questo
fossato canali rettilinei, larghi circa cento piedi, tagliati attraverso la pianura, tornavano a gettarsi nel fossato presso il
mare, a una distanza l'uno dall'altro di cento stadi. Ed era per questa via dunque che facevano scendere fino alla città il
legname dalle montagne e su imbarcazioni trasportavano verso la costa altri prodotti di stagione, scavando, a partire da
questi canali passaggi navigabili e tagliandoli trasversalmente l'uno con l'altro e rispetto alla città. Due volte l'anno
raccoglievano i prodotti della terra, in inverno utilizzando le piogge, in estate irrigando tutto ciò che offre la terra con
l'acqua attinta dai canali. Quanto al numero degli uomini abitanti la pianura che fossero utili per la guerra, era stato
stabilito che ogni lotto fornisse un capo: la grandezza di un lotto era di dieci stadi per dieci e in tutto i lotti erano
sessantamila; per quel che concerne invece il numero degli uomini che venivano dalle montagne e dal resto del paese,
si diceva che fosse infinito e tutti, secondo le località e i villaggi, venivano poi ripartiti in questi distretti, sotto il
comando dei loro capi. Era dunque stabilito che il comandante fornisse per la guerra la sesta parte di un carro da
combattimento fino a raggiungere il numero di diecimila carri, due cavalli e i relativi cavalieri, inoltre un carro a due
cavalli senza sedile, che avesse un soldato capace all'occasione di combattere a piedi, munito di un piccolo scudo, e
assieme al combattente un auriga per entrambi i cavalli; due opliti, due arcieri e due frombolieri, tre soldati armati alla
leggera che lanciano pietre e tre lanciatori di giavellotto, quattro marinai per completare l'equipaggio di milleduecento
navi. Questa era dunque l'organizzazione militare della città regia; diversa invece quella in ognuna delle altre nove
province, che tuttavia sarebbe troppo lungo spiegare.
Quanto alle magistrature e alle cariche pubbliche, furono così ordinate fin da principio. Ciascuno dei dieci re
esercitava il comando nella propria parte e nella sua città sugli uomini e sulla maggior parte delle leggi, punendo e
mettendo a morte chiunque volesse; ma il potere che avevano l'uno sull'altro e i rapporti reciproci erano regolati dalle
prescrizioni di Poseidone, così come li avevano tramandati la tradizione e le lettere incise dai primi re su una stele di
oricalco, che era posta nel centro dell'isola, nel santuario di Poseidone, dove ogni cinque anni e talvolta, alternando,
ogni sei si riunivano, assegnando uguale importanza all'anno pari e all'anno dispari. In tali adunanze deliberavano degli
affari comuni, esaminavano se qualcuno avesse trasgredito qualche legge e formulavano il giudizio. Quando dovevano
giudicare, prima si scambiavano tra loro assicurazioni secondo il seguente rituale.
Alcuni tori venivano lasciati liberi nel santuario di Poseidone, e i dieci re, rimasti soli, dopo aver rivolto al dio
la preghiera di scegliere la vittima che gli fosse gradita, davano inizio alla caccia, armati non di armi di ferro, ma solo di
bastoni e di lacci; il toro che riuscivano a catturare, lo conducevano davanti alla colonna e lì , sulla cima di questa, lo
sgozzavano proprio sopra l'iscrizione.

7

Sulla stele, oltre alle leggi, v'era inciso un giuramento che lanciava terribili anatemi contro i trasgressori. Così ,
compiuti i sacrifici conformemente alle loro leggi, quando passavano a consacrare tutte le parti del toro, mescolavano
in un cratere il sangue e ne versavano un grumo per ciascuno, mentre il resto, purificata la stele, lo ponevano accanto
al fuoco; dopodiché, attingendo con coppe d'oro dal cratere e offrendo libagioni sul fuoco, giuravano di giudicare
conformemente alle leggi scritte sulla stele, di punire chi in precedenza tali leggi avesse trasgredito e, d'altra parte, di
non trasgredire per precisa volontà in avvenire nessuna delle norme dell'iscrizione, che non avrebbero governato né
obbedito a chi governasse se non esercitava il suo comando secondo le leggi del padre. Ciascuno di loro, dopo aver
innalzato queste preghiere, per sé e per la propria discendenza, beveva e consacrava la coppa nel santuario del dio, poi
attendeva al pranzo e alle occupazioni necessarie, e quando scendevano le tenebre e il fuoco dei sacrifici si era
consumato, indossavano tutti una veste azzurra, bella quant'altre mai, sedendo in terra, accanto alle ceneri dei sacrifici
per il giuramento. Di notte, quando ormai il fuoco intorno al tempio era completamente spento, venivano giudicati e
giudicavano se uno di loro avesse accusato un altro di violare qualche legge; dopo aver formulato il giudizio,
all'apparire del giorno, incidevano la sentenza su una tavola d'oro che dedicavano in ricordo insieme alle vesti. Vi erano
altre leggi, numerose e particolari, che concernevano i privilegi di ciascun re, tra le quali le più importanti: che non
avrebbero mai impugnato le armi l'uno contro l'altro e che si sarebbero aiutati vicendevolmente, e se uno di loro in
qualche città tentava di cacciare la stirpe regia, avrebbero deliberato in comune, come i loro antenati, le decisioni che
giudicassero opportuno prendere riguardo alla guerra e alle altre faccende, affidando il comando supremo alla stirpe di
Atlante. Un re non era padrone di condannare a morte nessuno dei consanguinei senza il consenso di più della metà dei
dieci. Tanta e tale potenza, viva allora in quei luoghi, il dio raccolse e diresse poi contro queste nostre regioni, dietro
siffatto pretesto, come vuole la tradizione. Per molte generazioni, finché fu abbastanza forte in loro la natura divina,
erano obbedienti alle leggi e bendisposti nell'animo verso la divinità che aveva con loro comunanza di stirpe: avevano
infatti pensieri veri e grandi in tutto, usando mitezza mista a saggezza negli eventi che di volta in volta si presentavano
e nei rapporti reciproci. Di conseguenza, avendo tutto a disdegno fuorché la virtù, Stimavano poca cosa i beni che
avevano a disposizione, sopportavano con serenità, quasi fosse un peso, la massa di oro e delle altre ricchezze, e non
vacillavano, ebbri per effetto del lusso e senza più padronanza di sé per via della ricchezza; al contrario, rimanendo
vigili, vedevano con acutezza che tutti questi beni si accrescono con l'affetto reciproco unito alla virtù, mentre si
logorano per eccessivo zelo e stima e con loro perisce anche la virtù.
Ebbene, come risultato di un tale ragionamento e finché persisteva in loro la natura divina, tutti i beni che abbiamo
precedentemente enumerato si accrebbero. Quando però la parte di divino venne estinguendosi in loro, mescolata più
volte con un forte elemento di mortalità e il carattere umano ebbe il sopravvento, allora, ormai incapaci di sostenere
adeguatamente il carico del benessere di cui disponevano, si diedero a comportamenti sconvenienti, e a chi era capace
di vedere apparivano laidi, perché avevano perduto i più belli tra i beni più preziosi, mentre agli occhi di coloro che
non avevano la capacità di discernere la vera vita che porta alla felicità allora soprattutto apparivano bellissimi e beati,
pieni di ingiusta bramosia e di potenza. Tuttavia il dio degli dèi, Zeus, che governa secondo le leggi, poiché poteva
vedere simili cose, avendo compreso che questa stirpe giusta stava degenerando verso uno stato miserevole, volendo
punirli, affinché, ricondotti alla ragione, divenissero più moderati, convocò tutti gli dèi nella loro più augusta dimora, la
quale, al centro dell'intero universo, vede tutte le cose che partecipano del divenire, e dopo averli convocati disse...

Platone Crizia
 
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jasmine23
view post Posted on 12/7/2007, 11:46




E, dulcis in fundo, eccovi i passi dell'altro dialogo filosofico, il Timeo, sempre su Atlantide (n.b.: ho voluto riportare il brano riguardante Atlantide, mantenendolo all'interno del contesto in cui è stato scritto, quindi ho riportato l'intero capitolo e mezzo, mettendo in neretto il passo specifico su Atlantide):

4

Per gli abitanti una dea fu la fondatrice della città, e il suo nome in Egiziano è Neith, mentre in Greco, come dicono
loro, Atena: sono molto amici degli Ateniesi e in un certo senso dicono di essere ancora parenti con loro. Solone disse
che, giunto in quel luogo, venne accolto con grandi onori presso di loro, e che avendo una volta domandato sui fatti
antichi i sacerdoti più preparati intorno a tali questioni, scoprì che né lui stesso, né nessun altro greco era per così dire al
corrente di tali fatti. E allora volendo spingerli verso i discorsi riguardanti eventi antichi cominciò a partare di quei fatti
che qui si pensa che siano i più antichi, e narrò di Foroneo che si dice che sia il primo uomo, e di Niobe, e dopo il
diluvio, di come Deucalione e Pirra trascorsero la vita, e fece la genealogia dei loro discendenti, e ricordando i tempi
cercò di calcolare in quali anni erano accaduti gli eventi di cui parlava. Allora uno dei sacerdoti assai vecchio disse:
"Solone, Solone, voi Greci siete sempre bambini, e non esiste un Greco vecchio". E Solone, dopo aver ascoltato,
chiese: "Come? Che cos'è questa cosa che dici?" "Siete tutti giovani", rispose il sacerdote, "nelle anime: infatti in esse
non avete alcuna antica opinione che provenga da una primitiva tradizione e neppure alcun insegnamento che sia canuto
per l'età. E questa è la ragione. Molte sono e in molti modi sono avvenute e avverranno le perdite degli uomini, le più
grandi per mezzo del fuoco e dell'acqua, per moltissime altre ragioni altre minori. Quella storia che presso di voi si
racconta, vale a dire che un giorno Fetonte, figlio del Sole, dopo aver aggiogato il carro del padre, poiché non era
capace di guidarlo lungo la strada del padre, incendiò tutto quel che c'era sulla terra, e lui stesso fu ucciso colpito da un
fulmine, viene raccontata sotto forma di mito, ma in realtà si tratta della deviazione dei corpi celesti che girano intorno
alla terra e che determina in lunghi intervalli di tempo la distruzione, mediante una grande quantità di fuoco, di tutto ciò
che è sulla terra. Allora quanti abitano sui monti e in luoghi elevati e secchi muoiono più facilmente di quanti abitano
presso i fiumi e il mare: e il Nilo, che ci è salvatore nelle altre cose, anche in quel caso ci salva da quella calamità
mediante l'inondazione. Quando invece gli dèi, purificando la terra con l'acqua, la sommergono, i bifolchi e i pastori che
sono sui monti si salvano, mentre coloro che abitano nelle vostre città vengono trasportati dai fiumi nel mare. In questa
regione né in quel tempo né mai l'acqua scorre dalle alture ai campi arati, ma, al contrario, scaturisce per natura tutta
dalla terra. Di qui e per queste ragioni si dice che siano state conservate le più antiche tradizioni, ma in realtà in tutti i
luoghi in cui il freddo eccessivo o il calore soffocante non lo impedisca, sempre esiste, ora di più ora di meno, la stirpe
degli uomini. E tutte quante le cose che sono accadute presso di voi o qui o in altro luogo di cui abbiamo sentito notizia,
se ve ne sia qualcuna che sia onorevole, o grande, o che si sia distinta per qualche altra ragione, sono state scritte qui nei
templi e vengono conservate: ma non appena presso di voi e presso altri popoli viene inventato l'uso della scrittura e di
tutto ciò che serve per la città, ecco che di nuovo, nel solito spazio di anni, come una malattia giunge il terribile diluvio
dal cielo, e di voi lascia coloro che sono inesperti di lettere e di arti, sicché diventate di nuovo dal principio come
giovani, non sapendo nulla né di ciò che accadde qui, né di ciò che accadde presso di voi, e che avvenne in tempi
antichi. Dunque queste vostre genealogie che hai ora esposto, Solone, sono poco diverse dalle favole dei bambini,
perché in primo luogo voi ricordate un solo diluvio della terra, mentre in precedenza ve ne sono stati molti, e in secondo
luogo non sapete che nella vostra regione, presso di voi, ha avuto origine la stirpe più onorevole e più nobile di uomini,
dai quali provenite tu e tutta la città che adesso è vostra, essendo allora rimasto un piccolo seme; ma voi lo ignorate
perché i superstiti per molte generazioni morirono muti per non conoscere le lettere. In quel tempo, Solone, prima
dell'immane rovina causata dalle acque, la città degli Ateniesi era la migliore in guerra e, soprattutto, sotto ogni punto di
vista, era governata da ottime leggi: ad essa si attribuiscono le imprese più belle e le costituzioni migliori fra quelle di
cui noi abbiamo accolto la tradizione sotto il cielo". Dopo aver ascoltato queste parole, Solone disse di meravigliarsi e
di pregare con fervore i sacerdoti di esporgli con esattezza il seguito delle storie riguardanti i suoi antichi concittadini. Il
sacerdote rispose: "Non vi è nessun problema, Solone, ma parlerò per te e per la vostra città, e soprattutto in onore alla
dea che ebbe in sorte la vostra e questa città, e le allevò ed educò, per prima la vostra mille anni fa, ricevendo il vostro
seme da Gea ed Efesto, e in seguito questa città qui. Per quanto riguarda l'ordinamento di questa nostra città, nelle
sacre scritture, vi è scritto il numero di ottomila anni. Quindi riguardo ai cittadini vissuti novemila anni fa ti mostrerò
brevemente le leggi, e l'impresa più bella che essi compirono: un'altra volta con maggior precisione te le spiegherò tutte
con maggior tranquillità, una dopo l'altra, ricavandole dagli scritti stessi. Presta dunque attenzione alle leggi mettendole
in relazione a quelle di qui: infatti ora, in questo luogo, troverai molti esempi di quelle che allora erano presso di voi, in
primo luogo la classe dei sacerdoti separata dalle altre, dopo di questa la classe degli artigiani, poiché ciascuna di per sé
esercita il proprio mestiere senza mescolarsi ad un'altra, e ancora la classe dei pastori, dei cacciatori, dei contadini. E ti
sei reso conto che la classe dei guerrieri è qui separata da tutte le classi: ad essi è stato ordinato dalla legge di non
occuparsi di nient'altro se non delle questioni concernenti la guerra. E ancora, per quanto riguarda la forma della loro
armatura, degli scudi e delle lance, con cui noi per primi fra i popoli dell'Asia ci siamo armati, fu la dea che ce la
mostrò, come in quei luoghi a voi per primi. Quanto alla scienza, poi, puoi renderti conto di quanto impegno vi abbia
profuso qui subito sin dal principio la legge riguardo a tutto l'ordinamento dell'universo fino all'arte divinatoria e medica
volte alla salvaguardia della salute, ricavando da queste scienze divine quel che giova alle cose umane, e procurando
tutte quelle altre discipline che seguono a queste. Allora la dea, dopo che fornì a voi per primi tutto questo ordinamento
e disposizione vi diede una dimora, scegliendo il luogo in cui siete nati, tenendo conto del fatto che il clima mite delle
stagioni che vi è in esso avrebbe fatto nascere uomini assai saggi: poiché la dea era amante della guerra e anche della
scienza, dopo aver scelto quel luogo che potesse far nascere uomini il più possibile affini ad essa, in quel luogo
dapprima li fece abitare. Dunque vivevate facendo uso di tali leggi, e ancor meglio eravate governati, superando tutti gli
uomini in ogni virtù, com'era conveniente per la prole e gli allievi degli dèi. Molte e grandi, pertanto, sono le imprese
della vostra città che noi ammiriamo e che sono scritte qui, ma fra tutte ve n'è una che le supera per grandezza e valore:
dicono infatti le scritture quanto grande fu quella potenza che la vostra città sconfisse, la quale invadeva tutta l'Europa e

5

l'Asia nel contempo, procedendo dal di fuori dell'Oceano Atlantico.
Allora infatti quel mare era navigabile, e davanti a quell'imboccatura che, come dite, voi chiamate colonne d'Ercole,
aveva un'isola, e quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia messe insieme: partendo da quella era
possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate, e dalle isole a tutto il continente
opposto che si trovava intorno a quel vero mare. Infatti tutto quanto è compreso nei limiti dell'imboccatura di cui ho
parlato appare come un porto caratterizzato da una stretta entrata: quell'altro mare, invece, puoi effettivamente
chiamarlo mare e quella terra che interamente lo circonda puoi veramente e assai giustamente chiamarla continente.
In quest'isola di Atlantide vi era una grande e meravigliosa dinastia regale che dominava tutta l'isola e molte altre
isole e parti del continente: inoltre governavano le regioni della Libia che sono al di qua dello stretto sino all'Egitto, e
l'Europa sino alla Tirrenia. Tutta questa potenza, radunatasi insieme, tentò allora di colonizzare con un solo assalto la
vostra regione, la nostra, e ogni luogo che si trovasse al di qua dell'imboccatura. Fu in quella occasione, Solone, che la
potenza della vostra città si distinse nettamente per virtù e per forza dinanzi a tutti gli uomini: superando tutti per
coraggio e per le arti che adoperavano in guerra, ora guidando le truppe dei Greci, ora rimanendo di necessità sola per
l'abbandono da parte degli altri, sottoposta a rischi estremi, vinti gli invasori, innalzò il trofeo della vittoria, e impedì a
coloro che non erano ancora schiavi di diventarlo, mentre liberò generosamente tutti gli altri, quanti siamo che abitiamo
entro i confini delle colonne d'Ercole. Dopo che in seguito, però, avvennero terribili terremoti e diluvi, trascorsi un solo
giorno e una sola notte tremendi, tutto il vostro esercito sprofondò insieme nella terra e allo stesso modo l'isola di
Atlantide scomparve sprofondando nel mare: perciò anche adesso quella parte di mare è impraticabile e inesplorata,
poiché lo impedisce l'enorme deposito di fango che che vi è sul fondo formato dall'isola quan- do si adagiò sul fondale".

Queste parole che hai ascoltato, Socrate, riassunte per sommi capi, sono quelle pronunciate dal vecchio Crizia,
secondo la versione dì Solone: mentre ieri tu parlavi dello Stato e degli uomini che delineavi, rimanevo meravigliato
richiamando alla memoria proprio le cose che ora ho raccontato e osservando che per una incredibile coincidenza avevi
in gran parte perfettamente aderito con quelle cose che disse Solone. Thttavia non volli parlare in quel momento perché
a causa del tempo trascorso non me le ricordavo abbastanza. Pensai allora che, prima di parlare, sarebbe stato meglio
riprendere con esattezza tutto quanto dentro di me. Per questo motivo accettai subito le cose che mi erano state ordinate
di dire, pensando che avremmo convenientemente superato quella che è la più grande difficoltà in tutte le discussioni di
questo genere, vale a dire l'esposizione di un racconto che si adatti agli scopi proposti. Così , come costui diceva, ieri,
non appena uscii di qui, riportai a costoro le cose che mi ricordavo, poi, congedandomì e riflettendo con attenzione
durante la notte, ho richiamato quasi tutto alla memoria. E proprio vero quel che si dice, e cioè che quanto si apprende
da bambini si ricorda in modo mirabile. Infatti ciò che ho udito ieri, non so se sarei in grado di richiamarlo di nuovo
tutto alla memoria: quanto invece a queste cose che ho ascoltato già da molto tempo, mi meraviglierei assai se qualcosa
di esse mi fosse sfuggita. Io in quel tempo le ascoltavo con molto piacere e come un passatempo, e il vecchio volentieri
mi insegnava mentre io lo interrogavo di frequente, sicché mi sono rimaste impresse come pitture indelebili a fuoco: a
costoro subito dissi fin da questa mattina queste stesse cose, perché avessero abbondanza di discorsi insieme a me. Ora
dunque, ed è la ragione per cui è stato detto tutto ciò, sono pronto a riferire, Socrate, non soltanto per sommi capi, ma
ciascuna cosa proprio nel modo in cui l'ho ascoltata: quanto ai cittadini e alla città che tu ieri ci hai delineato come in
una favola, ora trasferendoli nella realtà, li metteremo qui, come se quella città fosse proprio questa, e diremo che i
cittadini che hai mentalmente rappresentato sono quei nostri reali progenitori di cui ha parlato il sacerdote. Saranno del
tutto concordi e non diremo un assurdo affermando che essi sono proprio quelli che vissero allora. Dividendoci i
compiti, cercheremo tutti quanti insieme di realizzare convenientemente, per quanto ci è possibile, quanto ci hai
ordinato di fare. Bisogna dunque vedere, Socrate, se questo discorso corrisponde alle nostre intenzioni, oppure se al
posto di questo si deve cercarne un altro.


Platone, Timeo




Il grande mistero d'Atlantide

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Le origini

"Al di là di quello stretto di mare chiamato Le Colonne d'Ercole, si trovava allora un'isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole, e da queste isole alla terraferma di fronte (...). In quell'isola chiamata Atlantide v' era un regno che dominava non solo tutta l'isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente al di là: il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle Colonne d'Ercole; includendo la Libia, l'Egitto e altre regioni dell'Europa fino alla Tirrenia".
A parlare è Crizia, parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella capitale amministrativa dell' Egitto, Sais. Qui aveva cercato di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei confronti di un altro su cui gli Egizi possedevano molta documentazione scritta. Secondo il sacerdote egiziano, una civiltà evoluta era esistita per secoli su "un'isola più grande della Libia e dell Asia messe insieme" l'isola era stata distrutta novemila anni prima da un immane cataclisma insieme a tutti i suoi abitanti. Le parole di Crizia sono riportate nei "Dialoghi" Timeo e Crizia, scritti da Platone attorno al 340 a.C.. Ecco come il filosofo greco descrive l' isola, sempre per bocca del sacerdote egiziano. "Dal mare, verso il mezzo dell'intera isola, c'era una pianura; la più bella e la più fertile di tutte le pianure, e rispetto al centro sorgeva una montagna non molto alta (...)."
La descrizione continua a lungo, inframmezzata da commenti sulla genealogia degli abitanti di Atlantide: ne emerge l'identikit di un territorio rettangolare di 540 x 360 chilometri, circondato su tre lati da montagne che lo proteggono dai venti freddi, e aperto a sud sul mare. La pianura è irrigata artificialmente da un complesso sistema di canali perpendicolari tra loro, che la dividono in seicento quadrati di terra chiamati klerossu in cui si trovano floridi insediamenti agricoli. La città principale, Atlantide, sorge sulla costa meridionale; è circondata da una cerchia di mura la cui circonferenza misura settantun chilometri; la città vera e propria, protetta da altre cerchie d'acqua e di terra, ha un diametro di circa cinque chilometri.
In altre parole Atlantide misura quasi otto volte la Sicilia; se non proprio un continente, è pur sempre un'isola di grandezza non disprezzabile. Crizia descrive la fertilità delle sue terre popolate, tra l'altro, da elefanti giacché anche per quell' animale, il più grosso e il più vorace di tutti, c'era abbondante pastura .
Il possente impero di Atlantide, che si estende sulle isole vicine, è diviso in dieci stati confederati, ognuno dei quali è retto da un re; lo stato sovrano, quello che comprende la città di Atlantide, è suddiviso a sua volta in sessantamila distretti; ogni cinque o sei anni si svolge una sorta di pubblica assemblea con la partecipazione del popolo che giudica l operato delle varie amministrazioni.
Gli Atlantidei, non paghi di dominare sulle loro isole, hanno fondato colonie nella terraferma di fronte (l'America?), in Egitto, in Libia e in Etruria. Ma non sono riusciti a sconfiggere l'impero di Atene, fondato nel 9600 a.C. dalla Dea Minerva e organizzato secondo gli stessi criteri che Platone aveva esposto nella sua opera La Repubblica. Dopo molti anni di guerra, un grande terremoto e un'inondazione devastano Atene, inghiottono il suo esercito e fanno sprofondare anche Atlantide nelle acque dell'oceano. Una giusta punizione, in quanto, con il trascorrere dei secoli, gli Atlantidei si sono corrotti:
"Quando l'elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro, il carattere umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli che sono inetti a scorgere qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano di avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente, volle impartir loro un castigo affinché diventassero più saggi. Convocò gli dei tutti, e, convocatili, disse..."
Cosa disse Giove, possiamo solo intuirlo: infatti con queste parole si conclude il Crizia. Ma il vecchio sacerdote l'ha già spiegato in precedenza:
"Più tardi, avvenuti dei terremoti e dei cataclismi straordinari, tutta la vostra stirpe guerriera (cioè gli Ateniesi) sprofondò sotto terra, e similmente l'isola di Atlantide s'inabissò in mare e scomparve".
Di quanto ha raccontato, afferma Crizia, l'Egitto èl'unico paese che possiede molta documentazione scritta, perchè, contrariamente alle terre vicine, non fu coinvolto dalla catastrofe; e a questo proposito si scusa con i lettori per aver imposto nomi greci ai sovrani di Atlantide. Nei loro annali, infatti, gli Egiziani avevano tradotti i nomi nella propria lingua, secondo il costume dell'epoca; successivamente Solone li aveva a sua volta reinterpretati in greco, e così glieli aveva riferiti."Quando dunque udrete dei nomi simili a quelli nostri, non meravigliatevene, giacché ne conoscete il motivo" .

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Da Platone a Colombo

Probabilmente il filosofo greco non immaginava che la sua breve narrazione (più o meno una decina delle nostre pagine) avrebbe fatto scorrere più inchiostro del suo intero corpus filosofico: circa venticinquemila opere dedicate a una civiltà che, forse, non è neppure esistita. Caso più unico che raro (altri antichi luoghi misteriosi, come il Triangolo delle Bermuda, sono stati scoperti e discussi solo in tempi recentissimi), il problema dell'esistenza o meno di Atlantide scatenò subito polemiche. A parte vari accenni a terre al di là delle colonne d'Ercole (per esempio la Cymmeria citata da Omero nell'Odissea), e l'accenno al popolo degli Atalanti, "che non mangiano alcun essere animato" e "non sognano mai" nelle Storie di Erodoto, il tema del Timeo e Crizia costituiva (almeno per quanto ne sappiamo noi) un'assoluta novità. Aristotele, discepolo di Platone, non diede molta importanza alla narrazione del suo Maestro, e questa non-opinione ebbe un peso determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato un'autorità indiscussa, e ciò che lui aveva detto ("Ipse dixit"), e che non a caso concordava con la visione geocentrica dell'universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato. Per di più l'esistenza di un continente distrutto novemila anni prima non coincideva con la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.
Ma, nel 1492, Cristoforo Colombo scoprì che, al di là dell'Atlantico, esisteva davvero una terra: e il filosofo inglese Francis Bacon suggerì che avrebbe potuto trattarsi del continente descritto nel Crizia. Molte opinioni cominciarono a modificarsi, tanto che nel XVI e XVII secolo Guillaume Postel, John Dee, Sanson, Robert de Vangoudy e molti altri cartografi chiamarono le Americhe con il nome di Atlantide.
Dopo la Conquista, si scoprì pure che un antica leggenda degli indigeni del Messico, trascritta nel Codice Aubin , iniziava con queste parole: "Gli Uexotzincas, i Xochimilacas, i Cuitlahuacas, i Matlatzincas, i Malincalas abbandonarono Aztlan e vagarono senza meta". Aztlan era un'isola dell'Atlantico, e le antiche tribù avevano dovuto lasciarla perché stava sprofondando nell'oceano. Dall'isola i superstiti avevano preso il nome: si facevano infatti chiamare Aztechi, ovvero "Abitanti di Aztlan". Per la cronaca, in Messico questa teoria non è relegata nei volumi fantastici: viene insegnata a scuola un po' come da noi la storia di Romolo e Remo; al Museo di Antropologia di Città del Messico sono esposti molti antichi disegni che descrivono la migrazione.

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Il ritorno di Atlantide

Qualcuno comincia a rilevare alcune analogie tra la civiltà dell'antico Egitto e quelle dell'America Centrale: costruzioni piramidali, imbalsamazione, anno diviso in 365 giorni, leggende, affinità linguistiche. Atlantide sarebbe stata dunque una sorta di ponte naturale tra le due civiltà, esteso, probabilmente, tra le Azzorre e le Bahamas.
Nel 1815, Joseph Smith, contadino quindicenne di Manchester, nella Contea di Ontario a New York, ebbe un primo incontro con un angelo di nome Moroni che gli promise rivelazioni straordinarie. Molti anni dopo l'angelo gli mostrò il nascondiglio di alcune preziose tavole scritte in una lingua sconosciuta, che Smith, illuminato dall'ispirazione divina, si mise diligentemente a tradurre. Nel 1830 uscì Il libro di Mormon, vera e propria bibbia della setta dei Mormoni, che descrive una distruzione con caratteristiche del tutto atlantidee (anche se l' Atlantide non vi è citata) avvenuta subito dopo la crocefissione di Cristo.
"Nel trentaquattresimo anno, nel primo mese, nel quarto giorno, sorse un grande uragano, tal che non se ne era mai visto uno simile sulla terra; e vi fu pure una grande e orribile tempesta, e un orribile tuono che scosse la terra intera come se stesse per fendersi (...). E molte città grandi e importanti si inabissarono, altre furono in preda alle fiamme, parecchie furono scosse finché gli edifici crollarono, e gli abitanti furono uccisi e i luoghi ridotti in desolazione (...) Così la superficie di tutta la terra fu deformata, e scese una fitta oscurità su tutto il paese, e per l' oscurità non poterono accendere alcuna luce, né candele né fiaccole" eccetera, eccetera. I superstiti, il popolo di Nefi, si erano rifugiati in tempo "nel paese di Abbondanza", dove avevano costruito templi e città, tra cui quello di Palenque e una grande fortezza identificata succesivamente con Machu Picchu.
Trentadue anni più tardi un eccentrico studioso francese, l' abate Charles-Etienne Brasseur, scoprì la "prova definitiva" del collegamento tra Mediterraneo, Atlantide e Centro America. Le sue teorie furono immediatamente screditate, ma ispirarono la prima opera veramente popolare sull'argomento: Atlantis, the Antediluvian World ("Atlantide, il mondo antidiluviano") dell'americano Ignatius Donnelly (1882). Secondo Donnelly, Atlantide era il biblico Paradiso Terrestre, e là si erano sviluppate le prime civiltà. I suoi abitanti si erano sparpagliati in America, Europa e Asia; i suoi re e le sue regine erano divenuti gli Dèi delle antiche religioni. Poi, circa tredicimila anni fa, l'intero continente era stato sommerso da un cataclisma di origine vulcanica. A sostegno della sua tesi, Donnelly adduceva le analogie culturali descritte sopra, e qualche prova geologica a dire il vero non troppo convincente. Dall'altra parte dell' oceano Augustus Le Plongeon, medico francese contemporaneo di Donnelly, che per primo aveva scavato tra le rovine Maya nello Yucatan, riprese indipendentemente la tematica di The Antediluvian World in Sacred Mysteries among the Mayas and Quiches 11,500 Years Ago; their Relation to the Sacred Mysteries of Egypt, Greece, Caldea and India ("Misteri sacri dei Maya e dei Quiché 11500 anni fa; loro relazione con i Misteri Sacri degli Egizi, dei Greci, dei Caldei e degli Indiani").
A parte la smisurata lunghezza del titolo, il suo libro ottenne un grande successo, e contribuì in larga misura alla diffusione al rilancio del mito.

FONTE
 
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jasmine23
view post Posted on 13/7/2007, 11:34





La riscoperta di Atlantide
Platone e l’Atlantide. Scienza e archeologia alla ricerca del mitico continente perduto. L’ipotesi di Thera e l’Atlantide oceanica. Nikolaj Jirov e le prove geologiche. Reperti sottomarini.
L’Atlantide nel Mediterraneo
Ufficialmente la tendenza degli archeologi è quella di considerare l’Atlantide come un’invenzione letteraria. Tuttavia uno strappo alla regola viene fatto se si prende in considerazione l’ipotesi che la vicenda del continente perduto non sia altro che la descrizione (distorta a fini letterari) della scomparsa civiltà cretese. Questa teoria molto amata dagli accademici, presuppone che l’ubicazione dell’isola sia nel cuore del Mediterraneo. Nel 1967 l’archeologo greco Marinatos portò alla luce sull’isola di Santorini, nel Mare Egeo, i resti di insediamenti umani risalenti al 2500 a. C. L’isola, un tempo chiamata Thera, era abitata da una civiltà fiorente evolutasi in completa autonomia che intratteneva un fiorente commercio con la civiltà minoica e con altri paesi dell’Egeo. Thera fu abbandonata improvvisamente intorno al 1520, quando la popolazione allarmata da violente scosse di terremoto, ritenne più opportuno imbarcarsi con i propri averi e migrare in luoghi più sicuri. Poco dopo vi fu un’eruzione vulcanica e infine l’isola esplose con un impressionante boato udito a oltre 3.000 km di distanza. L’eruzione, quattro volte più potente di quella del Krakatoa avvenuta nel 1883 vicino a Giava, seppellì completamente la città abbandonata e coprì vaste zone dell’isola con uno strato di cenere di circa 30 metri. Quarant’anni dopo il cono del vulvano sprofondò in mare sollevando altissime onde che, secondo alcuni, furono la causa della distruzione repentina della civiltà di Creta.
A credere nell’Atlantide mediterranea sono in molti. Il sismologo greco Galanopoulos, ad esempio, sostiene che i 9.000 anni prima di Solone menzionati da Platone fanno coincidere l’Atlantide con Thera, se togliamo da quel numero uno zero. E infatti 900 anni prima di Solone avvenne l’eruzione di Thera.
Tuttavia, per avvalorare questa ipotesi dovremmo ignorare intenzionalmente molti altri dettagli della descrizione fatta da Platone, primo fra tutti il suo riferimento a un’isola oceanica.
Oltre le Colonne d’Ercole
La possibilità che sia esistito un continente nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico è davvero così remota? Un utile e documentato compendio per districarsi nella questione è il libro di Roberto Pinotti I continenti perduti (Mondadori 1995) dove i diversi punti di vista vengono analizzati nel dettaglio. Sull’esistenza dell’Atlantide oceanica, infatti, le opinioni sono contrastanti e in effetti esistono due scuole di pensiero al riguardo.
Da un lato gli studiosi americani sostengono che gli oceani del nostro pianeta esisterebbero da sempre negli stessi luoghi di oggi e quasi con le dimensioni attuali. Questa visione non lascia naturalmente spazio all’Atlantide, ma è una visione ampiamente contestata in altri ambienti scientifici. Gli studiosi russi infatti sostengono che dove oggi si trovano gli oceani, un tempo potevano esserci ampi lembi di terraferma in seguito inabissatisi. Da questo punto di vista l’Atlantide appare più plausibile. Ma in che punto dell’Atlantico è possibile situare il continente perduto? Per lo studioso Nikolaj Jirov il sito più probabile è l’attuale altipiano subacqueo sul quale si trovano le isole Azzorre. Questo luogo infatti sembra corrispondere alla descrizione fatta da Platone di un'isola caratterizzata da una Catena montuosa e da una vasta pianura irrigata. Il sistema montuoso subacqueo Nord atlantico è composto da due catene di monti intervallate per l’appunto da una pianura.
Ammettendo dunque che il luogo sia quello giusto perché mai l’Atlantide sarebbe stata inghiottita dalle acque?
La risposta, secondo Jirov, è nella struttura dei fondali oceanici. Rilievi geologici hanno infatti dimostrato che le basi della catena sommersa Nord atlantica sono composte prevalentemente di basalto. Qualsiasi terreno basaltico in prossimità di un oceano tende a essere instabile e dopo essere emerso dalle acque può sprofondare. I continenti più antichi sono invece composti di granito, una roccia molto più solida e meno instabile. Orbene, l’Atlantide doveva essere un continente molto giovane (geologicamente, si intende) ed era quindi condannato fin dall’inizio.
Quando sarebbe accaduto il cataclisma? Ricerche oceanografiche dei ricercatori russi fanno ritenere molto probabile una relazione tra l’inabissamento della catena montuosa (e quindi dell’Atlantide) e la fine dell’ultimo periodo glaciale in Europa e nel Nord America (12.000 anni fa). A quell’epoca il clima mutò in parecchie regioni del globo, la corrente del Golfo riscaldò il continente europeo e il regime delle acque dell’Artico si stabilizzò definitivamente.
Un ponte fra due mondi
Le prove a favore della possibile esistenza di un continente in mezzo all’Atlantico non sarebbero solo geologiche. Anche la biologia può aiutarci a chiarire il mistero.
Da sempre infatti sono osservabili analogie tra la fauna delle Azzorre, di Madera, delle isole Canarie, di Capo Verde, delle Antille e quella dell’America Centrale. Molte specie di farfalle, di lombrichi e di formiche tipiche delle Azzorre e delle Canarie si trovano infatti anche in America. La foca dal ventre bianco è una specie che non frequenta il mare aperto, ma rimane vicino alle coste. Ebbene, troviamo esemplari di questa specie sia nel Mediterraneo che in America. Gli antenati di questa foca hanno seguito forse una costa che oggi non esiste più?
E che dire dell’enigma degli elefanti? Platone cita tra gli animali che si trovavano in Atlantide, proprio i pachidermi che hanno avuto origine in America. Nel mondo antico questa specie non esisteva, mentre compare più tardi in Africa. In che modo è avvenuta questa migrazione? Attraverso ponti di terra nell’Atlantico?
Lo stesso discorso vale per i cavalli, inizialmente abitatori del Nuovo Mondo, poi giunti nell’emisfero opposto e scomparsi nel paese natale, dove verranno reintrodotti dall’uomo nel XV secolo. E così pure i porcospini, alcuni mammiferi d’acqua dolce, rettili, molluschi, crostacei, vermi, ecc...
Certi animali, poi, avrebbero fatto il viaggio opposto; basta pensare all’antilope, originaria dell’Africa, ma presente anche sugli altipiani della Sierra Nevada.
Le stesse implicazioni valgono per la flora. I botanici Ungeer e Osvaldo Herr forniscono infatti ulteriori elementi per dimostrare l’esistenza di un continente terziario. La similitudine tra la flora miocenica dell’Europa Centrale e quella attuale dell’America Orientale è sorprendente e dimostra che certe piante sono migrate da un continente all’altro.
Reperti sottomarini
Tutte queste congetture sono affascinanti anche se possono in parte essere contestate senza prove più tangibili, come l’effettiva presenza di resti archeologici sul fondo dell’Oceano. Alcuni indizi in tal senso però esistono.
Nel 1968 un naturalista americano, Manson Valentine, scoprì che sotto pochi metri d’acqua al largo dell’isola di North Bimini (Bahamas) esistono alcune grandi pietre piatte e allineate che fanno pensare a una sorta di pavimentazione. Il caso fece scalpore e furono organizzate diverse spedizioni archeologiche. La conclusione, secondo alcuni un po’ frettolosa, a cui giunsero gli esperti fu che si trattava in realtà di formazioni calcaree naturali.
Ma altre scoperte dovevano giungere, ancora una volta, dagli ambienti scientifici russi.
Nel 1974 la nave per ricerche oceanografiche Akademik Petrovsky fotografò i fondali intorno all’arcipelago delle isole Horseshoe, 450 chilometri ad ovest di Gibilterra. Al momento dello sviluppo si potè notare che la cima della montagna sottomarina Ampére, un altipiano subacqueo che si innalza dalle profondità oceaniche fino a 60 metri dalla superfice, mostrava insolite conformazioni sottoforma di grandi pietre apparentemente lavorate, enormi blocchi rettangolari che rammenterebbero i ruderi di antiche costruzioni in pietra ...
Reperti sottomarini sono stati rilevati strumentalmente anche da altre spedizioni oceanografiche internazionali. Nelle isole Canarie, poi, esisterebbero alcuni tunnel subacquei in cui è possibile trovare resti di una civiltà precedente quella indigena delle Isole. Almeno questo è quanto affermano i componenti di una spedizione italiana organizzata nel 1981 dalla rivista Mondo Sommerso. Il giornalista-esploratore Pippo Cappellano, capo della spedizione, ha visitato i tunnel sommersi personalmente e ha trovato lastroni squadrati di natura artificiale molto simili a un’antica pavimentazione.
Egli, pur lasciando ampio margine al dubbio, ha dichiarato: "Potrebbe essere l’Atlantide, forse no. Ma quello che abbiamo visto deve essere per forza la testimonianza di una grande città sommersa. Non è impossibile che migliaia di anni prima dei Guanchos (l’antica popolazione indigena delle Canarie) altri uomini abbiano costruito una città, scavato canali, e attrezzato porti. Ma ci vogliono le prove ...".



Atlantide: percorsi di un mito
Di Franco Corsi

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Al Tramonto del Periodo Aureo Greco, Atlantide venne dimenticata per oltre 20 secoli.
Nei periodi bui del Medioevo, Antillia sostituì Atlantide nell’immaginario collettivo, persino Cristoforo Colombo organizzò una spedizione, non fortunata, per trovare l’isola misteriosa.
Per le Ipotesi più recenti, la mitica Atlantide, finisce addirittura sommersa sotto i ghiacci del Polo Sud, dovuto ad uno spostamento geologico, che fece arrivare all’estremo Sud l’Isola di Atlantide.
Spostandoci in America centrale, nella celeberrima città di Teotihuacan, sacra per gli Aztechi, che proprio ad Atlantide devono la loro esistenza, considerata direttamente discendente dalla mitica isola, infatti, gli Aztechi sarebbero le persone che si salvarono dal diluvio ed approdarono sulle coste dell’America centrale e costruirono quella che oggi chiamiamo Civiltà Azteca.
Nel 17° secolo, arrivò a Teotihuacan, un archeologo - astronomo, Don Carlos Seguentia, che, arrivato nei pressi delle rovine, fece tante dichiarazioni, affascinanti ed inquietanti:
1) dichiarò di aver ritrovato una civiltà, discendente da una molto superiore da quelle fino ad allora scoperte, paragonabile a quella Egizia, inoltre trovò molte somiglianze tra le Piramide della piana di El Giza con quelle Americane;
2) Ipotizzava ancora che Atlantide era una sorta di terra di “Mezzo”, di “Collegamento” tra la Civiltà Azteca e quella Egizia;
3) Un’altra sua importante ed inquietante supposizione era quella collegata al Diluvio Universale che associò al terribile cataclisma che causò la scomparsa di Atlantide.
Nel 1691 a Città del Messico, ci fu una rivolta contro i nobili, vennero arsi importanti palazzi, tra cui la Biblioteca dove erano conservati degli importanti documenti che riguardavano il passato degli Aztechi, e magari qualche notizia in più sulla mitica Atlantide.
Si registra l’apice di Teotihuacan intorno al 650 d.c., tempo assolutamente non paragonabile al famigerato racconto Platonico sull’isola.
Una importante dichiarazione, resa nota molti anni dopo il ritrovamento di Don Carlos, fu che: Le Piramidi Americane furono costruite come Tombe Funebri per le famiglie nobili che regnavano all’epoca, ed avevano le stesse funzioni di quelle Africane, nonostante questo, Seguentia fu il primo archeologo ad appassionarsi a tal punto, al mito di Atlantide, che organizzò una spedizione a tale scopo.
E’ nell’Inghilterra Elisabettiana, che il mito riprende vigore, Frances Bacon, scrisse un famoso Saggio riallacciandosi al racconto di Platone, famoso è anche il celebre Dottor D, sicuro di essere a contatto con gli spiriti di Atlantide. (osserviamo che siamo in un periodo dove tutto quello che era magia, mistico, oscuro e ignoto, affascinava grandi e piccini, nobili e non)
Lo scrittore Gilverne, descrisse Atlantide come: ”Una Pompei Antica seppellita sotto le Acque” in Ventimila leghe sotto i Mari. (Libro che consiglio a tutti). Questo favoloso libro diede l’inizio ad un’ampia gamma di scrittori che scrissero su Atlantide, ce ne furono tanti ma, in particolare, nel Minnesota, Donnelly, scrisse nel 1880 quello che ben presto diventò un Best Seller: “Atlantide: Il Mondo prima del Diluvio”, proprio 10 anni prima, un famoso archeologo scoprì le rovine di Troia seguendo alla lettera le indicazione dell’Aedo Omero, e Donnely sosteneva di poter ritrovare Atlantide seguendo le istruzioni di Platone.
In quegli anni la Marina Britannica eseguì una spedizione sottomarina, trovando delle montagne di natura vulcanica, che proprio per la loro natura, sprofondarono negli abissi dell’oceano all’epoca della Deriva dei Continenti, ma questo Donnelly non lo sapeva, e credeva ceccamente di aver trovato quelle che una volta si ergevano sulla sommità della città dimenticata da tutti.
Nel 1968 al largo della Florida si ritrovarono delle rovine, furono subito assimilate ai resti di Atlantide, tutto questo fu previsto anni prima da parte di un chiaroveggente, mai poi si scoprì che era tutta una truffa, finalizzata per frasi pubblicità.
Se guardiamo più vicino a noi, alla nostra storia classica, alla Civiltà Minoica, un’archeologo greco disse che delle isole dell’Egeo scomparvero per un Diluvio come Atlantide,…….. ma è difficilissimo dimostrare che la Civiltà Minoica e la Civiltà Atlantidea furono la stessa cosa,……. anche se scomparvero entrambe improvvisamente, la prima comunque scomparve 900 anni prima di Platone e la seconda circa 9000 anni prima, ma come Platone stesso diceva, uno zero in più serve per far passare da Storia a Leggenda qualsiasi cosa.

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Possibili ubicazioni dell’Isola di Atlantide:
- Continente sommerso nell’Oceano Atlantico;
- Fu solo una bella Leggenda, narrata da Platone, quel famigerato dopo cena, per compensare la perdita del suo Mentore: Socrate (Ipotesi sostenuta da quasi 1/5 dei ricercatori);
- Tartasso o la Spagna del Sud;
- Gibilterra;
- Antillia;
- Continente sommerso nell’Oceano Pacifico;
- Continente Sommerso nell’Oceano Indiano;
- Continente sommerso dai Ghiacci del polo Sud;
- Catalogna;
10) Le Isole Azzorre che, sono considerate dagli scrittori che collocano Atlantide nell’Oceano Atlantico, le cime emergenti delle montagne del Continente perduto, o degli “otto” continenti perduti, come talvolta viene definita Atlantide.
“Una cosa certa è che, fino a quando qualcuno non scoprirà Atlantide, questa meravigliosa e misteriosa terra resterà una misura della nostra Umanità, lo specchio delle nostre Speranze e la Tomba delle nostre Paure”.
Spero di aver riportato quello che di più affascinante è stato raccontato durante la Puntata de: La Macchina del Tempo, nonostante questo mi considero, un’instancabile appassionato ricercatore della mitica Atlantide sempre in cerca di nuovi indizi, racconti, scoperte, idee ……., sperando che un giorno possa venire fuori la verità su un Continente che ha affascinato generazioni e generazioni, Scrittori, Eroi, Politici, Sovrani, persone di tutte le razze e nazionalità accomunate dal desiderio di sapere e dall’amore per la Storia.

FONTE

Edited by jasmine23 - 30/3/2010, 12:21
 
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jasmine23
view post Posted on 17/7/2007, 11:18




LA FINE DI ATLANTIDE
di Alberto Arecchi

Immaginiamo di ritornare indietro nel tempo, 3300 anni fa, intorno all’anno 1300 a.C. (ossia novemila mesi - e non novemila anni - prima di Solone, dalla cui narrazione il filosofo Platone trasse le proprie informazioni su Atlantide).
Quello che oggi è il Mare Mediterraneo doveva essere a quel tempo distinto in due mari, posti a quote diverse e privi di comunicazioni reciproche.
Ad ovest, il bacino costituito dal Mediterraneo occidentale e dal Tirreno era - come oggi - in comunicazione con le acque dell’Oceano, attraverso lo stretto dell’attuale Gibilterra, che si era aperto più di mille anni prima, e le sue acque avevano ormai raggiunto un livello simile a quello odierno, grazie all’apporto costante garantito dall’apertura di quella bocca di comunicazione con le acque oceaniche.
Un secondo mare, ad est, andava dalla Piccola Sirte alla costa siro-palestinese e comprendeva lo Ionio, il basso Adriatico e il Mar di Candia (mentre il territorio Egeo, tutto emerso, costituiva una vasta pianura costellata di rilievi montuosi di origine vulcanica). Esso era ben separato dal primo, perché al posto dello stretto di Messina esisteva un istmo roccioso e quello che oggi è il canale di Sicilia era allora una fertile pianura, irrigata da fiumi e protetta da alte montagne, che scendeva dolcemente verso le sponde del mare inferiore.
Le acque del Mediterraneo orientale dovevano trovarsi ad una quota di circa 300 m sotto quella odierna. Faremo riferimento a questa quota come “livello zero” per misurare le altitudini relative.
All’estremo occidente del Mediterraneo orientale, non lontano da dove ora si erge l’isola di Malta, due strette imboccature davano accesso ad un grande golfo, profondo oltre mille metri. Intorno a quel golfo, protetto alla sua imboccatura da una vasta isola, era sorta una civiltà fiorente, fondata da una stirpe libica che era forse scesa sino a qui dalle alte montagne del sud.
Chi fosse provenuto da oriente, da Creta o dall’Egitto, avrebbe visto una costa rocciosa, piuttosto ripida, nella quale si aprivano due stretti, ai lati di un’ampia isola, con un’estensione compresa tra 11.000 e 17.000 km2, che si ergeva sino ad una collina di circa 150 m. I due stretti a nord e ad ovest dell’isola misuravano tra i 15 e i 30 km. Poteva però essere anche una penisola, con un solo stretto alla sua estremità nord, quale unico accesso al grande golfo.
Possiamo identificare in questo sistema di stretti le “colonne d’Eracle” dell’antica mitologia (e una delle due “colonne” appare identificabile nel massiccio roccioso dell’attuale isola di Malta).
Le alture più elevate di quel sistema emergono ancora dal mare del canale di Sicilia e sono: Pantelleria, le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa), le isole maltesi. Lungo la sponda settentrionale del golfo si ergeva un sistema di rilievi, un po’ più elevato di 500 m, che dominava il panorama (le attuali isole maltesi); le coste meridionali erano un po’ più dolci, ma un lungo e piatto rilievo si elevava vicino al mare, sino ad oltre 400 m dal pelo delle onde, e di fronte ad esso, non lontano, un’alta isola sorgeva dalle acque del bacino (le attuali isole di Lampedusa - la prima - e di Linosa, quella staccata dalla costa). In direzione nord-ovest, in fondo al grande golfo, si stagliava un imponente picco vulcanico, alto più di 1100 m dalle acque del mare. Per usare un chiaro riferimento attuale, si trattava di quella che oggi conosciamo come l’isola di Pantelleria. Dietro di essa, a nord, la costa saliva a delimitare l’orizzonte, per un’altezza di almeno 300 m. Al di là vi era l’altro mare, che riceveva ormai da secoli l’apporto delle acque dall’Oceano, e da lì “era possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate e dalle isole a tutto il continente opposto, che si trovava intorno a quel vero mare (pontos)... Infatti tutto quanto è compreso nei limiti dell’imboccatura di cui ho parlato appare come un porto caratterizzato da una stretta entrata: quell’altro mare, invece, puoi effettivamente chiamarlo mare e quella terra che interamente lo circonda puoi veramente e assai giustamente chiamarla continente.” (Platone).
Quel mare, che era da secoli in collegamento con le acque dell’Oceano tramite la bocca di Gibilterra, era molto vicino a debordare al di qua della sua sponda e a dilagare verso il golfo ed il Mediterraneo orientale, posti ad una quota più bassa. Questa era la vera maledizione pendente sul capo del popolo (Atlanti-Tjehenu) che abitava quelle terre, ma essi forse erano convinti che la situazione di precario equilibrio potesse durare in eterno, così come essi l’avevano sempre vissuta.
Ad ovest del “porto” o golfo che abbiamo descritto si stendeva un’ampia, fertile pianura irrigua, che ritorniamo a descrivere con le parole usate da Platone. Essa riceveva da nord le acque della Medjerda, che oggi scendono al mare non lontano da Tunisi, mentre da ovest poteva essere abbondantemente irrigata grazie alle acque provenienti dall’ampio “mare” interno, le cui acque dovevano essere piuttosto dolci. Quell’estensione di pianura corrisponde, per misure e caratteristiche fisico-climatiche, al territorio descritto da Platone: la distanza dalla chiusura del golfo, verso sud, sino alle sponde del Mediterraneo occidentale, è di 540 km (tremila stadi), e quella dalla costa del golfo sino ai rilievi alle spalle della pianura, che delimitavano il mare interno, di 360 km (duemila stadi).
Il filosofo narra che gli abitanti di Atlantide coltivavano - fra l’altro - datteri e banane, in mezzo ad una fauna in cui spiccava la presenza di elefanti.
Dalla costa, la pianura saliva dolcemente verso ovest, in direzione di una cresta di colli di origine vulcanica, ricchi di giacimenti metalliferi, dalla struttura morfologica in prevalenza tufacea. Al di là della cresta, a circa 450 km di distanza dalle acque del Mediterraneo, si stendeva un enorme bacino d’acqua: un vero e proprio mare, la cui superficie era posta ad una quota di circa 650 m superiore a quella del Mediterraneo. Quel mare raccoglieva le acque di un vasto bacino pluviale, che andava dall’attuale massiccio degli Aurès, a nord, a sud sino ai massicci del Tassili e dell’Ahaggar (la “montagna Atlante”, secondo il testo di Erodoto), dal quale scendeva il fiume che oggi ha il nome di Wed Igharghar. Le sue acque, a loro volta, alimentavano un emissario che scendeva verso est, al Mediterraneo: un fiume perenne, che irrigava le terre della vasta pianura. Quando l’acqua toccava il massimo livello quel mare poteva raggiungere una profondità di circa 350-380 m ed aveva una forma quasi circolare, con una superficie di oltre 280.000 km2, paragonabile per estensione a quella dell’intera penisola italiana. Nel fondo del suo bacino oggi c’è un grande sedimento di sabbia, il Grand Erg orientale (Igharghar): uno dei deserti sabbiosi più estesi al mondo. Si può suppone che a quel grande mare fosse attribuito in epoca antica il nome primitivo di “oceano (pelagos) Atlantico”. Per comodità, visto che il mito antico pose in quella regione il Giardino delle Esperidi e che ancora oggi il suo fondo disseccato si chiama “Chott el Djerid” (palude disseccata del giardino, del palmeto), lo chiameremo “il mare dei Giardini”.
A sud-ovest del mare dei Giardini, a una distanza di altri 500 km, si ergeva verso il cielo il grande massiccio roccioso dell’Atlante... si tratta della montagna oggi nota col nome berbero di Ahaggar, “nobile”. Ricorriamo alla descrizione offertane da Erodoto:
“È stretto e circolare da ogni parte ed alto - a quanto si dice - tanto che le sue vette non si possono scorgere: giammai infatti le ab-bandonano le nubi, né d’estate né d’inverno. Gli indigeni dicono che sia una colonna della volta celeste”.
Le cime più alte di quel massiccio, nella montagna oggi chiamata Atakor, erano quasi 2800 m più in alto del livello delle acque dell’oceano (ossia 3400 al di sopra del livello del Mediterraneo di allora). Alle pendici di quella montagna racconta Erodoto viveva un tempo il popolo degli Atlanti:
“Da questo monte gli abitanti del paese hanno tratto il nome, si chiamano infatti Atlanti. Si dice che essi non si nutrano di alcun essere animato e che non abbiano sogni.
Due percorsi principali, tradizionalmente, conducono dalle sponde del Mediterraneo verso le montagne dell’Ahaggar, e corrono l’uno lungo la sponda ovest dell’antico Mare dei Giardini (è la strada che conduce alle oasi di El Goléa e di Ghardaia, “alti luoghi” del turismo sahariano, i cui wed quando portano acqua puntano ancora in direzione del grande mare disseccato), l’altro lungo la sua sponda orientale, ed è la grande “strada dei carri”, cosparsa di dipinti e graffiti rupestri, descritta nelle sue tappe e oasi dal racconto di Erodoto, percorsa a suo tempo anche dalle truppe romane che penetrarono l’Africa sino al bacino del Niger. La sponda nord era rocciosa, dello stesso tipo di rocce che si frantumarono nel disastro che provocò la fine di Atlantide: sono le gole e i canyon che solcano il versante sud delle montagne degli Aurès e che, in prossimità di Bou Saada, vanno a sfociare sulle prime sabbie dell’antico grande mare. Il fondo disseccato di quel grande mare è occupato ancora oggi da un impenetrabile deserto di sabbia. Ad ovest, all’interno del primitivo bacino, corre ancora da sud a nord una falda d’acqua abbastanza ricca da fornire vita e nutrimento alle oasi del Souf: in questa regione è sorta El Wed e ad una quota più in alta, verso l’antica sponda occidentale, si trovano Wargla e i pozzi petroliferi di Hassi Messaoud.
In quella regione viveva un popolo libico o “pre-libico”, prospero per agricoltura e commerci, dotato di una propria struttura di stati “confederati” in una sorta di impero. Quegli uomini erano grandi costruttori e grandi navigatori e usavano una scrittura, presumibilmente simile a quella libicoberbera; nei geroglifici egizi erano chiamato Tjehenu e nei testi greci Atlantói. Diversi popoli erano loro confederati o vassalli (e ne ritroveremo taluni nell’elenco dei popoli del mare che sciamarono verso l’Egitto, dopo la catastrofe finale).
Se vogliamo provare a riunire gli indizi offerti dai vari autori dell’epoca classica, quel popolo poteva essere giunto alle coste del Mediterraneo dalla grande montagna dell’interno, detta Atlante, al di là del mare “sospeso”, con una migrazione di oltre 2000 km. Almeno sin dal 3000 a.C. gli Atlanti erano capaci di costruire con grandi blocchi di pietra città fortificate e vivevano in costante confronto con l’impero dei Faraoni, in quel lungo confronto che taluni studiosi hanno chiamato “la guerra del bronzo”. Fra i pro-dotti di vitale importanza per la diffusione della tecnologia, essi detenevano il monopolio di importanti giacimenti di ossidiana, un materiale litico (vetro vulcanico) molto pregiato per la produzione di lame e di altri oggetti d’uso. Fra le principali fonti dell’ossidiana nel Mediterraneo, si collocano infatti Pantelleria l’alto picco vulcanico, posto proprio al fondo del loro grande golfo) e le isole Eolie, che dovettero far parte dei territori sotto loro controllo.
Le miniere di rame nativo (oréi-chalkos) si trovavano sulle colline alle spalle della pianura atlantide, ma una grande innovazione tecnologica fu costituita dall’uso del bronzo, lega tra rame e stagno, con migliori caratteristiche di durezza e di resistenza. L’obiettivo strategico per ottenere il monopolio del bronzo era il controllo delle miniere di stagno, di cui l’Africa è priva. I Faraoni sostennero per questo la lunga guerra contro gli Hittiti e conquistarono il controllo delle miniere dell’Anatolia. Gli Atlanti dovettero rivolgersi altroveò il loro stagno proveniva dal sud-ovest della penisola iberica, e forse dalla Cornovaglia. In effetti, la rete dei loro rapporti commerciali potrebbe essere stata connessa con la diffusione delle “culture megalitiche” in Europa e nel Mediterraneo occidentale. Secondo il racconto sviluppato da Platone nei suoi Dialoghi, la società atlantide era strutturata in un sistema statale (una confederazione di piccole monarchie, a quanto pare di poter interpretare il racconto del filosofo), che praticava l’agricoltura, costruiva città, fondeva i metalli (oro, rame e stagno) e aveva scoperto il modo di legarli per ottenere il bronzo, conosceva la scrittura, aveva praticato un espansionismo di conquiste estese sino alla Tirrenia (attuali Lazio e Toscana), combatteva da 2000 anni contro i signori dell’Egitto ed era entrata in conflitto con popolazioni pelasgiche che vivevano sulle coste della pianura egea... i suoi combattenti sono stati raffigurati in bassorilievi egizi e nei dipinti rupestri delle piste sahariane, usavano carri da guerra e da caccia trainati da cavalli, e Platone si sofferma a lungo su una serie di usanze di quel popolo sulle quali, oggi, non possiamo esprimere molti dubbi...
Secondo Platone, i sacerdoti di Sais avevaro
raccontato a Solone che grandi siccità, mai viste prima, avevano calcinato la terra intera, immensi incendi avevano imperversato sulle contrade e distrutto le foreste, fulmini erano caduti dal cielo, terremoti avevano scosso il pianeta, provocando grandi e considerevoli distruzioni, disseccando sorgenti e fiumi. Alle siccità sarebbero sopravvenute le inondazioni ed enormi trombe d’acqua si sarebbero riversate sulla terra, inghiottendo - tra l’altro l’isola degli Atlanti. Quei cataclismi sembravano segnare una fase di transizione, il passaggio da un periodo con un clima più caldo ad un’altra fase, con condizioni di vita più dure.
Corrispondono tali descrizioni a mutamenti climatici che potrebbero essere realmente avvenuti nel sec. XIII a.C.?
Secondole iscrizioni egizie di Medinet Habu, l’Esodo biblico), le catastrofi descritte avvennero veramente. Fu proprio verso il sec. XIII a.C. che la Libia (Nordafrica) conobbe il culmine di una grande fase di desertificazione. Un’iscrizione di Karnak precisa: “I Libici vengono in Egitto per cercare di sopravvivere”. Anche il mito di Fetonte può ricordare una serie di drammatiche siccità che colpì il Mediterraneo, “all’origine della storia dei Greci”.
Tutto quel mondo che abbiamo descritto finì nello spazio di ventiquattr’ore, in un giorno di un anno compreso tra il 1235 e il 1220 a.C.. Una serie di violenti terremoti incrinò seriamente la consistenza degli sbarramenti rocciosi (fatti di tufo e quindi abbastanza friabili, forse già indeboliti da infiltrazioni d’acqua) e aprì alcune brecce, che ben presto cedettero di fronte alla pressione delle acque dei due grandi bacini posti alle quote superiori: il mare sahariano e il Mediterraneo occidentale, costantemente rifornito dalle acque dell’Oceano. Le acque si fecero strada con impeto in canaloni larghi decine di chilometri, con ondate di piena veramente immani, neppure lontanamente paragonabili a quella del Vajont, che è drammaticamente rimasta nella memoria degli italiani. Pur calcolando per difetto il volume del mare sahariano, abbiamo detto che esso in antico conteneva almeno 50.000 chilometri cubi d’acqua, sino ad una quota massima di 650 m sul livello del Mediterraneo orientale. Per determinare l’energia potenziale di quella ondata, potremmo schematicamente identificare il baricentro della massa d’acqua versata a + 350 m. Ne sarebbe derivato l’impatto di un’energia equivalente almeno a 17,5 x 1015 kgm = 17 x 1016 Joule. Supponiamo pure che il livello dell’acqua nell’invaso originale potesse essere già sceso di molto, all’epoca della catastrofe, a causa dei sopravvenuti cambiamenti climatici, ma certo un’ingente l’onda d’urto si poté rove-sciare sulla pianura sottostante. Per distruggere e spazzar via completamente Atlantide, sarebbe bastata un’ondata costituita da meno di un decimo del volume del mare superiore, riversata dal dislivello allora esistente con il bassopiano. L’enorme cascata andò a colpire con un impatto diretto l’isola con la capitale di Atlantide, che si trovava ad una distanza di circa 600 km dallo sbarramento.
Ancora oggi, a chi guardi con attenzione su una carta geografica o su una foto satellitare la regione del Grand Erg orientale, del Golfo di Gabès e della Piccola Sirte, l’antica catastrofe traspare “tra le righe”: il Golfo di Gabès appare come un vero e proprio “imbuto” e non è difficile immaginarsi l’enorme massa d’acqua che vi si scaricò, per riversarsi, con grandi quantità con fango e sabbia, nei bassifondi antistanti, che un tempo dovevano costituire una fertile pianura. Dobbiamo ancora spiegarci, però, perché mai quella zona sia poi rimasta, nei secoli, annegata sotto le acque.
La stessa serie di terremoti ruppe altri diaframmi rocciosi: innanzitutto quello che delimitava a nord la grande pianura in declivio e che costeggiava un mare a un livello più basso, ma di gran lunga più pericoloso: perché quel mare era ormai collegato agli Oceani, e da loro riceveva un afflusso d’acqua costante. Quando anche quelle acque cominciarono a riversarsi sulla pianura di Atlantide, la storia di quella civiltà fu definitivamente sommersa sotto centinaia di metri di acqua salata. I due Mediterranei si fusero in un solo mare. Fu definitivamente sommersa la pianura dell’Egeo, costellata di rilievi montuosi, che rimasero trasformati in arcipelaghi. Per alcuni secoli, gli Achei e gli altri antenati delle culture mediterranee videro l’acqua che saliva, copriva i loro porti, le città costiere e portava via i loro migliori terreni coltivabili... Alcuni di loro tentarono di conquistare l’unico rifugio possibile, la grande pianura che s’innalzava lungo il corso del grande fiume Nilo, al riparo dalla salita del mare... ma furono respinti o assorbiti dalla grande civiltà che già, lungo quelle sponde, aveva costruito un impero, destinato a durare nei secoli e a lasciare di sé un’impronta immortale...
Tutto ciò rimase impresso nei miti di origine della stirpe greca, col diluvio di Deucalione e Pirra, con le grandi epopee di Eracle e degli Argonauti.
Il quadro del cataclisma appare completo se immaginiamo che la stessa serie di scosse telluriche provocasse il cedimento del diaframma (istmo roccioso) che collegava l’Italia alla Sicilia, con la conseguente apertura dello stretto di Messina.
L’impeto della corrente scavò un solco profondo, un letto tortuoso al centro del canale di Sicilia, intaccando e disgregando le rocce di minore resistenza, e andò a biforcarsi, con violenza, contro le rocce più consistenti dell’imponente picco vulcanico di Pantelleria. Il risultato dei cataclismi di quel periodo dovette essere un flusso di corrente verso est, dalla portata molto maggiore di quella che, attraverso Gibilterra, alimentava il livello del Mediterraneo; un flusso che durò a lungo, il cui effetto fu probabilmente rafforzato da quello proveniente dallo stretto di Messina. Si può calcolare che l’innalzamento delle acque nel Mediterraneo sino al livello attuale abbia comunque impiegato alcuni secoli. Le acque fluivano come una veloce corrente tra le sabbie e i fanghi che si erano riversati nel golfo della Piccola Sirte dal grande mare sahariano, e salivano di livello sino ai Dardanelli, alla costa siriana, al Delta del Nilo, coprivano tutti i porti dell’antica cultura minoica, trasformavano Ilio in una città marinara, e spingevano sino a lì i conquistatori Achei, ben decisi a impadronirsi dei poteri e delle ricchezze che il nuovo mare rendeva loro accessibili. Altri di loro partirono verso le rovine sommerse dell’antica Atlantide e incontrarono altre vicissitudini (gli Argonauti nella regione delle Esperidi...). Finirono sommersi tutti gli stabilimenti portuali allora esistenti nell’area del Mediterraneo orientale. Finì sott’acqua ciò che rimaneva della civiltà di Thera, già fortemente colpita dalla gigantesca esplosione vulcanica di due secoli prima; finirono sotto’acqua i templi maltesi, scavati nella grande roccia sacra che era stata, sino ad allora, la “sentinella” di Atlantide. La roccaforte maltese ci appare come una delle due primitive “colonne d’Eracle”, e forse la sua collocazione in questo contesto può aiutare a gettare nuova luce sulla ricchezza di insediamenti sacri, di costruzioni ipogee e di ritrovamenti sottomarini che l’attuale isola e i suoi fondali offrono ancora oggi.
I fanghi, le correnti e i bassi fondali della Piccola Sirte e del Canale di Sicilia resero a lungo difficile la navigazione, come è riferito da Platone e da altri autori classici (incluse le narrazioni del mito degli Argonauti). Se è credibile quanto abbiamo esposto, Atlantide non si è mai mossa, non è sprofondata in nessun abisso oceanico. È stata sconvolta da immani ondate, le sue rovine sono state ricoperte da decine di metri di fango e sabbia e poi da alcune centinaia di metri d’acqua.
La distruzione del centro economicoculturale di Atlantide può apparire collegata alla “misteriosa” interruzione delle attività di costruzione di complessi megalitici, che intorno a quell’epoca si verificò in tutta l’area del Mediterraneo occidentale: nella penisola iberica, così come in Sardegna e in Corsica e potremmo aggiungere sino alle isole britanniche. Era scomparso un importante polo di ricchezza e di riferimento, un paese di grandi navigatori, che commerciavano con i paesi più occidentali per importare lo stagno, essenziale a fondere il bronzo, e in cambio esportavano ossidiana ed altri prodotti mediterranei. I popoli ad esso collegati, per i quali era venuto a mancare il principale partner economico, si trovarono così di colpo proiettati in una condizione di “barbarie”, o quanto meno nella nuova esigenza di basarsi su un regime di sussistenza alimentare. Lo svuotamento completo del grande mare africano, avviato dall’improvvisa catastrofe, fu il colpo di grazia per la desertificazione del Nord Africa. Il fenomeno proseguì con l’inaridirsi del clima e col disseccarsi dei corsi d’acqua che alimentavano il bacino dell’Igharghar, e durò più d’un millennio: il livello scese per l’accresciuta evaporazione e gli uomini dell’antichità classica conobbero un grande lago Tritonide, con un fiume Tritone, che scendeva dalle pendici dell’Ahaggar nel letto dell’attuale Wed Igharghar, la cui lunghezza complessiva raggiunse i 2000 km, secondo i calcoli effettuati da Butavand.
Assumono così un tragico colore le vicende di quella terra di Atlantide che, secondo il racconto platonico, era stata “assegnata a Poseidone”: letteralmente, in quanto era posta al di sotto del livello del mare (nel significato che oggi assume una tale espressione). Si potrebbe tentare di individuare i diversi livelli costieri sommersi, corrispondenti alla progressione delle acque dal momento della catastrofe di Atlantide sino al completo riempimento del mare Mediterraneo alla quota attuale. Ma, naturalmente, questo oggi appare solo come un sogno utopistico. Un’importante conferma, relativa agli antichi livelli marini, potrebbe provenire dalla ricerca in profondità degli antichi porti minoici, che potrebbero essere identificabili nei fondali intorno all’isola di Creta in modo certo meno complesso e macchinoso di una ricerca che puntasse direttamente al ritrovamento di resti nell’area dell’antica Atlantide. Se ora proveremo a rileggere i Dialoghi di Platone e a confrontarli con la “nostra” mappa di Atlantide, avremo la netta sensazione che le cose corrispondano e vadano al loro posto. Le acque del mare salivano gradualmente e allagavano le fertili pianure dell’Egeo, lasciandone emergere solo le cime dei rilievi, che si trasformavano in isole, sempre più piccole... ci renderemo conto che i “novemila anni” di Platone devono davvero corrispondere a un periodo lungo, sì, ma “a misura” della stirpe degli Achei e dei Greci, dopo che essi si insediarono nel bacino del Mediterraneo.
Accadute dunque molte e grandi inondazioni per novemila anni (tanti ne sono corsi da quel tempo sino ad ora), la terra, che in quei tempi e avvenimenti scendeva dalle alture, non si ammassò come altrove in monticelli degni di menzione, ma sempre scorrendo scomparve nel profondo del mare: pertanto, come avviene nelle piccole isole, sono rimaste in confronto di quelle d’allora queste ossa quasi di corpo infermo, essendo colata via la terra grassa e molle e rimasto solo il corpo magro della terra. Ma allora ch’era intatta, aveva come monti alte colline, e le pianure ora dette di Felleo erano piene di terra grassa, e sui monti v’era molta selva, di cui ancora restano segni manifesti. Dei monti ve ne sono ora che porgono nutrimento soltanto alle api, ma non è moltissimo tempo che vi furono tagliati alberi per coprire i più grandi edifici, e questi tetti ancora sussistono. V’erano anche molte alte piante coltivate e vasti pascoli per il bestiame. Ogni anno si raccoglieva l’acqua del cielo, e non si disperdeva, come ora, quella che dalla secca terra fluisce nel mare, ma la terra, ricevutane molta, la conservava nel suo seno, e la riportava nelle cavità argillose, e dalle alture la diffondeva nelle valli, formando in ogni luogo ampi gorghi di fonti e di fiumi, dei quali le antiche sorgenti sono rimaste ancora come sacri indizi, che attestano la verità delle mie parole.
La fine del centro di Atlantide, che basava la propria potenza sull’egemonia commerciale e culturale nel bacino del Mediterraneo occidentale e del Nord-ovest Africano (diremmo oggi, con un termine arabo, Maghreb), dovette causare diverse gravi conseguenze, di cui è rimasta traccia nei “misteri” di quelle aree:
Per lungo tempo crollò il commercio dello stagno dalla penisola iberica e dalla Cornovaglia, sino a che non fu rimesso in auge dai commercianti fenici e cartaginesi. L’Egitto, infatti, era soddisfatto del monopolio sul bronzo ottenuto grazie alle guerre contro gli Hittiti, e la fine di Atlantide costituì per i Faraoni un insperato ausilio all’abolizione di una pericolosa concorrenza sulla produzione della preziosa lega (benché l’arrivo nell’area del Mediterraneo degli Achei, dotati di armi di ferro, avesse considerevolmente ridotto l’importanza strategica del bronzo);
Scomparvero “misteriosamente” i costruttori di megaliti, in tutto l’arco del Mediterraneo occidentale. Una volta diminuite le risorse economiche, la popolazione locale era ricaduta in un regime di povertà e di sussistenza alimentare, che non permetteva certo la concezione e la realizzazione di grandi opere;
Le successive occupazioni delle grandi isole (Sardegna e Corsica) da parte dei popoli del mare fecero sprofondare sempre più nel mistero le origini di quel “popolo dei megaliti” che li aveva preceduti;
Un piccolo gruppo di sopravvissuti del popolo Tjehenu conservò forse il ricordo di una parte degli antichi miti. La mitica regina Tin Hinan, sepolta nel massiccio dell’Ahaggar, nel cuore del Sahara, ne può costituire una traccia, almeno nella permanenza del nome, così come l’alfabeto tifinagh, usato nelle più antiche lingue libicoberbere.
Certamente, però, l’entità e le modalità della catastrofe sopra descritta furono tali da sterminare l’intero gruppo dirigente, che doveva abitare nella città capitale e nella vasta e fertile pianura, devastate dall’onda di tracimazione del “mare dei Giardini”.
Un’obiezione che mi è capitata di ricevere più volte, nel corso dello svolgimento di questa indagine, è stata: “ ma se tutta la storia era così evidente, perché nessuno l’ha mai scritta prima?” La risposta è molto semplice:
“È proprio perché qualcuno l’ha scritta, che possiamo raccontare questa storia. L’ha scritta Platone, e con grande precisione; ne hanno scritte delle parti importanti Eudosso di Cnido, Diodoro Siculo ed altri autori antichi, ne hanno scritte e raffigurate altre parti i cronisti dell’Antico Egitto, con una precisione che sarebbe invidiabile da parte di molti cronisti moderni... si trattava di raccogliere una serie di “pezzi sparsi”, metterli insieme e partire sulle tracce di un disastro i cui superstiti non sono rimasti per raccontarlo... un “Vajont” dei tempi antichi, avvenuto in uno spazio e in un tempo incredibilmente vicini a noi, molto più di quanto ogni nostra fantasia non ci consentisse di immaginare.
Dobbiamo essere grati all’attenzione di Platone che ha tramandato con una tale ricchezza di particolari il resoconto di Solone su Atlantide: una memoria che sarebbe potuta scomparire, sepolta nell’oblio, come tanti altri eventi dimenticati, nel corso della storia dell’uomo.
di Alberto Arecchi
autore del libro “Atlantide, un mondo scomparso, un’ipotesi per ritrovarlo
ed. Liutprand, Pavia, 2001”




Santorini, l’isola delle meraviglie e del mistero
di Antonio Mattera

Nel mare Egeo, a circa 80 km dall’isola di Creta, in direzione nord, vi è una piccola isola, facente parte dell’arcipelago delle Cicladi, dalla forma di mezzaluna, e nelle sue vicinanze altri due isolotti, Therasia e Aspronisi,a dividerli solo una laguna.
Il nome dell’isola è Thira, conosciuta anche come Santorini, ma, nell’antichità era conosciuta anche con il nome di Kalliste (“la Bellissima”).
Un tempo, millenni fa, quest’isola fu la sede di una cultura altamente progredita per i canoni storici standard dell’epoca, oseremmo dire “all’avanguardia”.
Se potessimo tornare indietro nel tempo, forse , raffrontandola a quello che ne rimane oggi, faticheremmo a riconoscerla.
Questo perché ,millenni fa (per la precisione quasi 3600 anni fa), l’isola non aveva questa forma né queste dimensioni.
Era un’isola di forma circolare, al cui centro si ergeva una montagna, e, prendendo per vere alcune prove costituite da scene pittoriche ritrovate in loco, essa doveva avere fiumi e vallate verdi di papiri e palme.
Oggi giorno, per chi sbarca su quest’isola , è visibile un cartello con la scritta, in inglese, che la celebra come l’”isola più bella del mondo” e, seppur ammaliati dalla sua selvaggia bellezza, non può non sembrare una forzatura, visto che il paesaggio è quello tipicamente vulcanico, brullo e spoglio. Non si vedono né olivi ne cipressi e pochissimi sono in generale gli alberi e i cespugli, mentre viti e pomodori crescono nei pochi campi coltivabili sottratti alla pomice lavica, disposti a terrazza, con muri di contenimento che a volta raggiungono i 6 metri, rendendo persino difficile il camminamento delle persone.
L’attività più redditizia è, ancora oggi,e a parte il turismo, l’estrazione, dalle cave, di quella che comunemente viene definita col termine di “pozzolana”, composta da silice e calcio e usata per la preparazione del cemento.
Sicuramente non era così 3600 anni fa, visto che persino i faraoni egiziani la celebravano come un posto paradisiaco.
Quello che oggi ne rimane è uno scheletro, sconquassato da una delle più tremende esplosioni vulcaniche che si siano mai registrate sulla terra, ed è, da allora, rimasta priva del suo nucleo centrale, sprofondato per centinaia di metri nel mare, formando quella che, geologicamente parlando, viene definita una caldera.
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Dove una volta vi era il nucleo centrale dell’isola sorgono oggi due isolotti neri che emersero successivamente chiamati con i nomi Nea Kameni (“terra bruciata di recente”, la più grande, sorta, in vari fasi, tra il 1707 e il 1711, una prima volta e poi ingranditasi durante le eruzioni vulcaniche del 1866 e del 1926) e Palia Kameni (la più piccola, sorta durante un’eruzione del 196 a.C.).
Tutta l’isola non è altro che un vulcano, ancora attivo, che a più riprese, nei tempi passati, è stato motivo di paura e distruzione per chi abitava sull’isola.
Niente comunque in confronto a quello che dovette accadere 3600 anni fa, allorché il nucleo centrale esplose con un immane boato, proiettando al parte centrale dell’isola in aria e sprofondando il resto sotto l’immane massa d’acqua che si dovette riversare nel bacino creatosi. Dove una volta vi era terra oggi vi sono rupi denudate che testimoniano l’improvviso sprofondamento, come se la parte centrale dell’isola fosse stata colpita da un immane maglio gigantesco.
Archeologicamente parlando l’isola è interessante perché, sin dal 1967, anno in cui iniziò una vera e propria campagna di scavi, venne portata di nuovo alla luce, strappata da strati di polvere vulcanica e pietra pomice, a volta spessi anche trenta metri, depositatesi nei secoli, una vera e propria città dell’epoca minoica, con tanto di vasellame, affreschi, utensili, oggetti di arredamento perfettamente conservati.
E’ singolare constatare che la stessa eruzione che provocò la distruzione di gran parte dell’isola e l’annientamento dell’allora civiltà fiorente che ivi prosperò, ha, di fatto, permesso, coprendola con le sue polveri eruttive, con i suoi detriti lavici, che la storia di questo posto potesse giungere a noi, migliaia di anni dopo, con i sue edifici, i suoi manufatti, i suoi affreschi, proteggendola, nel suo abbraccio soffocante, da intemperie, saccheggiatori e quant’altro.
La conservazione dei reperti, la straordinaria quantità e qualità degli stessi, l ‘estensione stessa del nucleo abitativo e i palazzi riportati alla luce ben presto hanno fatto meritare ad Thera (il nome dato a questa città sepolta), ingiustamente, l’appellativo di Pompei dell’Egeo.
Perché ingiustamente suonerebbe questo appellativo? Proprio per i requisiti citati sopra (conservazione, quantità e qualità) e per altri aspetti che approfondiremo dopo, forse sarebbe più giusto appellare Pompei come “Thera italiana” e non viceversa.
L’uomo che ridiede vita a questa città, che la riportò alla luce dopo secoli di oblio, fu l’archeologo greco Spyridon Marinatos, che le dedicò tutta la sua vita, tanto da morire in loco, per strapparla all’abbraccio delle prove della tremenda sciagura avvenuta millenni fa.
Forse, sin dall’inizio, a Marinatos dovette sembrare chiaro che , per l’enorme mole di lavoro da compiere (edifici da disseppellire e preservare, artefatti da ripulire, assemblare, catalogare e tanto altro) non sarebbe di certo stato lui a svelare completamente questo sito straordinario.
Ma, altrettanto certamente, dovette subito essersi reso conto di essere dinanzi ad una scoperta straordinaria, ad un impresa affascinante che avrebbe ascritto il suo nome alla stregua, e forse più, degli Howard Carter, dei Bingham , dei Schielmann, ma che al contempo gli avrebbe creato non pochi problemi dal punto di vista “diplomatico” nei confronti dei suoi colleghi.
Così e successo, e Santorini, con la morte del suo padre putativo, è come se fosse morta di nuovo, come se quasi 40 anni di scavi non fossero serviti a niente, rimanendo esclusa, volontariamente per mano di altri, dai normali itinerari archeologici e dai canoni didattici, relegata molto più semplicemente alla semplice dicitura che la etichetta come “sede di scavi archeologici relativi al periodo tardo minoico”.
Ma è veramente così?
E perché citiamo Santorini in un sito che fa del mistero archeologico e dei fatti misconosciuti il pane principale?
Perché oggi forse Santorini non sarà più l’”isola più bella del mondo”, ma è, sicuramente , la sede di alcuni dei più affascinanti enigmi della storia.
Enigmi che si celano dietro l’effettiva appartenenza della civiltà che fiorì su quest’isola ad un qualsiasi canone storico predeterminato; enigmi che, per alcuni autori, accademici e non, vedono quest’isola come la sede della mitica Atlantide narrata da Platone; enigmi che vedono quest’isola e lo scopritore della sua antica città legati in un abbraccio mortale, un intreccio di politica, vendetta, delitto(?), che sembra richiamare i più classici gialli.
In questa trattazione lasceremo da parte quello che riguarda il connubio Santorini-Atlantide, rimandandovi, per gli appassionati del settore, a libri che riportano questa tesi (Charles Pellegrino “la scoperta di Atlantide”, J.V. Luce “la fine di Atlantide”), perché occorrerebbe a nostra volta scrivere un libro per disquisire su questa teoria.
Tralasceremo di discutere su Spyridon Marinatos e del suo mistero nel mistero, rimandandovi, per ulteriori approfondimenti, all’opera di un editorialista dell’Espresso, Mario La Ferla , “l’Uomo di Atlantide”, un’accurata indagine socio-politica di quegli anni importanti che videro la rinascita di Akrothiri e la morte, misteriosa, dello stesso Marinatos.
Ci limiteremo solamente a mettere in luce particolari elementi che contraddistinguono Akrothiri e la civiltà che vi dovette prosperare e che la rendono , di fatto, uno dei luoghi più enigmatici del nostro pianeta.
Questo per far sì che questo luogo non cadi nell’oblio in cui versano tanti altri posti e non entri a far parte della nostra “ignoranza collettiva” come tanti altri posti di cui conosciamo l’esistenza ma di cui, spesso non sappiamo il “perché” e il “come”, se non addirittura il “quando”.
Questo perché questo posto indica che le definizioni di “primitivo”, “preistorico”, la stessa definizione di “civiltà” spesso sono termini usati in modo improprio e talvolta persino offensivo.
Questo perché spesso non sono i telefonini o il computer o i satelliti nello spazio ad indicare il grado di civilizzazione, ma le idee che aleggiano in diverse epoche storiche e in diversi gruppi di persone.
Questo perché, come ama ripetere nel suo libro un noto scrittore, se un’esplosione vulcanica non avesse distrutto Santorini e la civiltà che ivi era stanziata, probabilmente l’uomo sarebbe arrivato un secolo prima sulla Luna.
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Per capire meglio di cosa si parla , vi invitiamo a guardare prima alcune immagini degli scavi di Thera, scavi che si presume dureranno almeno altri 100 anni, e che ci metteranno a disposizione chissà quante altre sorprese.
Quanti di voi, senza la necessaria prefazione, non avrebbero confuso queste immagini con quelle della molto più celebrata Pompei?
Eppure Akrothiri avrebbe ben più ragione ad essere citata nei libri scolastici o nelle riviste del settore.
Nel gennaio 1866, pochi mesi dopo l’inizio del progetto per la costruzione del canale di Suez (Santorini forniva un ottimo deposito di pomice necessaria per la cementificazione) il vulcano dell’isola diede nuovi segni di vita.
Alcuni vulcanologi e archeologi francesi e greci accorsero sull’isola per studiare il fenomeno e la loro attenzione si rivolse ad alcuni blocchi di pietra, costituenti delle mura, che gli operai della cava di pomice avevano portato alla luce.Un vulcanologo, Fouquè, entrò in possesso, tramite un contadino, di alcuni reperti antichi e dopo alcune opere di scavo scoprì delle cripte, strumenti di ossidiana, uno scheletro e frammenti di vasi.
Stimolati da queste scoperte due studiosi francesi, Henrì Mamet ed Henrì Grocex cominciarono altri scavi nel 1870, scoprendo, coperti da pomice, pareti ricoperte di gesso, dipinte con affreschi dai colori vivaci e realistici, con effetti ottici straordinari.
Né Fouquè né i suoi successori riuscirono a dare una giusta collocazione temporale o un’ identificazione a questo misterioso popolo, anche perché la scoperta della civiltà minoica da parte di Evans era ancora di là a venire 30 anni dopo.
Ma comunque era già cambiato lo schema storico di quella parte del mondo: gli abitanti di quelle isole non erano più dei semplici barbari rispetto agli allora, dottrinalmente parlando,ben più quotati Greci, anzi.
Chi diede impulso alla ricerca su Thera fu l’archeologo greco Spyridon Marinatos che , in più riprese, partendo dal 1930, ne studiò la storia, fino a quando, nel 1956, diventando direttore del dipartimento delle antichità, non decise di dedicarsi anima e corpo a trovare le tracce di un antico insediamento sull’isola.
E, nel 1967, quando prese corpo la prima vera campagna organizzata di scavi, la fortuna non gli venne meno, mostrando giorno dopo giorno una civiltà che aveva veramente dell’incredibile, paragonandola ai canoni storici standard non solo della sua epoca ma anche rispetto a epoche successive.
Marinatos ebbe il grande merito di capire che gli scavi da lui effettuati andavano protetti, al contrario di quanto era successo a Pompei, dagli elementi naturali e da quelli a due zampe.
Coprì così gli scavi con lamiera ondulata sottile e fibra di vetro per consentire comunque il passaggio dei raggi solari. A sostegno di questa copertura, impiantò un sistema di travi in acciaio autoportanti, sistema che gli consentiva facilità nell’installazione e nell’estensione dell’area da proteggere.
In questo clima e con quest’ingegnosità Marinatos si accinse a svelare al mondo il “suo” piccolo, grande, tesoro, anche se si rese subito conto che tra lui e la fine degli scavi sarebbero intercorsi generazioni di archeologi e forse persino qualche secolo. Ma valeva veramente la pena, e per stabilire questo bastarono poche picconate.
Ciò che si celava sotto la cenere e la pomice di Santorini erano i resti di una civiltà ben strutturata e ingegnosamente abile. I suoi membri vivevano in una sorta di paradiso idilliaco, e questo li aiutò a sprigionare grandi verve di energia creativa, talento artistico e gusto sofisticato.
Durante l’età del bronzo, gli abitanti dell’isola godettero di uno standard di vita e di benessere invidiato ancora oggi da molte comunità moderne, o comunque raggiunto solo nel corso degli ultimi tre secoli.
In quest’isola inondata dal sole, gli abitanti di Thera si costruirono case alte ed eleganti, con stanze ben proporzionate, e adornate con esempi fantastici della creatività pitturale dell’epoca.
La loro piccola patria era un punto cruciale per i traffici marittimi dell’Egeo, e, per generazioni, godettero di una prosperità senza eguali, dovuta ai numerosi scambi commerciali che intrattenevano con i mercanti che ivi sbarcavano e con le terre che le loro navi raggiungevano.
Man mano che i lavori procedevano ci si accorgeva di essere dinanzi a qualcosa di straordinario. Non ci volle molto per affermare che la città era stata una località di spicco.Chiunque avesse avuto la fortuna di sbarcare a Thera in quell’epoca felice, sarebbe rimasto impressionato dalla fila di imponenti edifici che si ergevano sulla costa.
Grandi case con solide fondamenta e architravi in legno si erigevano su due, tre o forse anche quattro piani, utilizzate de singole famiglie o da assembramenti popolari. Per la sua densità abitativa e per il numero di edifici, Thera avrebbe ben figurato a cospetto dei maggiori porti di mare europei del periodo medioevale.
Le case si districavano su un labirinto di vie e vialetti, ognuna di loro munita di solide porte e scale, con ampie finestre che davano luce ed aria a stanze di grandi dimensioni. L’arredamento, in legno, era di squisita fattura, come si è potuto concludere dai calchi in gesso rilevati dalle forme impresse nella coltre di cenere vulcanica, unica traccia dopo che il legno era oramai deteriorato da tempo.
Nelle case erano presenti affreschi che rappresentavano episodi di vita marinara, lunghi viaggi, donne della lunghe vesti drappeggiate, dal seno nudo e da sfavillanti gioielli. Gli affreschi che rappresentavano scene di vita naturale erano caratterizzati da una costante presenza di animali oggigiorno non più esistenti sull’isola, come antilopi, scimmie, rondini o da piante come papiri e gigli. Quando venne trovata la prima casa così riccamente decorata si pensò subito che essa appartenesse a qualche nobile, ma poi ci si accorse, ben presto, che questo rappresentava non un optional ma un qualcosa di serie nelle abitazioni di Thera.
Ma il popolo di quest’isola aveva anche il buon gusto per le cose belle e la pulizia.Le case erano, infatti, dotate di bagni con vasche in terra cotta e toilette in pietra che un tempo dovevano avere l’asse in legno.
Le toilette venivano ritrovate sempre al secondo piano degli edifici, ed erano collegate, mediante tubi in argilla incassati tra le spesse pareti, ad una sofisticata rete fognaria comunale che correva sotto le strade!
Sembra che quindi i minoici abbiano anticipato quest’invenzione di almeno una trentina di secoli!!
Per dare un ‘idea di cosa significasse pensate solo che la Venezia dei Dogi, la Parigi dell’inizio XVIII secolo, e persino al Reggia di Versailles all’inizio erano del tutto sprovviste di queste comodità.
Comodità che invece ritroviamo in siti antichissimi e altrettanto misteriosi come Mohenjo-Daro, in Pakistan e che colpirono di stupore i primi conquistadores che si ritrovarono dinanzi alle bellezze di Tenochtitlan, tanto che alcune testimonianze la descrissero più lussuosa di qualsiasi città europea di allora, persino di Roma o Costantinopoli.
Ma torniamo a Santorini.
Vi doveva essere, all’epoca una sorgente d’acqua che a quanto pare riempiva le cisterne della città e scorreva continuamente grazie ad un ingegnoso impianto di fognatura.
In quella che viene comunemente definita come Casa Occidentale, probabilmente , veniva utilizzata la pressione del vapore di qualche sorgente vulcanica affinché si potesse utilizzare una sorta di autoclave che spingeva l’acqua nelle cisterne sui tetti delle case.
L’intrico di tubi presente nelle case fa pensare che il vapore, mentre veniva convogliato in apposite cisterne di condensazione, dove si sarebbe trasformato in acqua per il bagno, nel suo percorso attraversava i muri, riscaldando così d’inverno le stanze delle case.
In effetti sembra che qualcosa simile a valvole sia stato trovato anche se spesso, per prudenza o per voglia di nascondere, si preferisce dare un altro significato a determinati oggetti.
E’ solo un caso che Platone, descrivendo Atlantide, affermi che essa si forniva d’acqua da due sorgenti, una calda e una fredda?
La pesca, insieme alle forme di agricoltura e allevamento, forniva gli approvvigionamenti alimentari di cui la popolazione abbisognava. Inoltre ogni casa aveva una macina per ridurre in farina l’orzo per fare il pane.
Tutte le ceramiche erano un concentrato di colori e grazia, sia che fossero bacinelle o coppe, brocche o piatti, o semplici vasi.
Lo stile delle ceramiche di Thera sembra precorrere quello presente sulle opere di Creta, rinforzando l’ipotesi che gli abitanti di quest’isola abbiano poi esportato il loro stile anche al di fuori del loro territorio.
Il resto di cui questa civiltà aveva bisogno era sicuramente fornito da un importante commercio con altre parti del mondo allora conosciuto, e quindi l’abilità marinaresca di questo popolo era considerevolmente superiore a molti altri popoli dell’epoca. D’altronde molti affreschi mostrano scene di viaggi per mare.
Tutto questo ci fa ben capire che Thera fu molto di più che un semplice sobborgo culturale di Creta, anzi.
Al contrario della nostrana Pompei, a Thera non sono stati ritrovati scheletri di corpi umani o di animali, o oggetti veramente preziosi.Questo fa supporre che la maggior parte della popolazione riuscì a fuggire a tempo.Forse precedenti scosse telluriche, l’apertura di fratture nella terra, da cui incominciarono a scaturire esalazioni di gas e fuochi che incominciarono a levarsi dal cono del vulcano, impaurirono oltremodo la popolazione dell’isola che decise di trovare riparo in altri luoghi.
Qualcuno cercò di riparare le case precedentemente danneggiate dalle prime scosse telluriche, ma poi abbandonò l’impresa, conscio della sciagura che stava per abbattersi sull’isola.Questo lo possiamo dedurre dai tentativi di ricostruzione presenti in alcune parti.
Ma quello che stupisce di più è che gli abitanti dell’isola lasciarono le loro case con la ferma speranza di ritornarci, un giorno. Vasi pieni cibi posti ordinatamente, ceramiche riposte nei ripiani con solerzia,i mobili sistemati e in ordine e, dall’altra parte, la completa mancanza di oggetti di valore, fa pensare ad un esodo tranquillo e disciplinato, benché rapido ed efficiente, piuttosto che ad una fuga travolti dal panico.
Ma la tragedia era dietro all’angolo. La violenta eruzione spaccò in due l’isola e forte ondate di maremoto indotto (tsunami) percorsero tutto l’Egeo abbattendosi con violenza su Creta e sulle altre sponde di quel bacino di mare. La gente venne stordita dai fragori, scossa dai terremoti, soffocata dai gas venefici, mentre una cappa nera come la notte, formata dalle nuvole di ceneri, calava su quel mondo idilliaco.
La civiltà minoica, privata della sua arma migliore, la flotta navale, distrutta dalle onde di maremoto, e terrorizzata da quell’immane catastrofe rimase ben presto vittima delle invasioni di altri popoli, tra i quali i greci, che ben presto distrussero una civiltà che aveva raggiunto un apice eguagliabile (se non superiore) a quello raggiunto dalla società egizia.
Thera era allora una delle meraviglie del mondo, uno dei posti più incantevoli, ma in un niente era diventata “un orrore affascinante nella sua odiosità”, come la descrisse nel 1885 il nobile James Thomas Bent, in un suo soggiorno, osservando le sue spiagge nere e l’atmosfera di desolazione.
Thera potrebbe rivivere, o quanto meno restituirci parte della sua bellezza se l’intero sito fosse riportato alla luce, ma forse la realtà è che, oggi, ben poche persone ne hanno sentito parlare, così che dove la pomice non è più presente a nascondere quest’antico teatro di civiltà, vi è ora la cappa dell’indifferenza e della disinformazione storica e culturale.

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jasmine23
view post Posted on 20/7/2007, 10:34




ATLANTIDE e i miti delle Catastrofi ricorrenti
di Vito Foschi

Introduzione
Comunemente la nascita del mito di Atlantide si attribuisce a Platone, ma l’idea di una civiltà che abbia preceduto la nostra è comune a gran parte delle antiche civiltà del pianeta. Molte hanno sviluppato miti di catastrofi ricorrenti che puntualmente vengono a distruggere le costruzioni umane, costringendo l’uomo a ricominciare daccapo.

I miti di catastrofi ricorrenti
Presso i Maya si parla di quattro ere che hanno preceduto l’attuale quinta. La prima era terminò quando quattro giaguari divorarono ogni essere vivente compreso il sole e infine perirono anch'essi. Il mondo della seconda era fu distrutto da tempeste e uragani e gli uomini furono trasformati in scimmie. La terza età si annichilò nel fuoco. La quarta terminò con un gigantesco diluvio.
Anche presso i Greci, dall’altra parte del mondo, esisteva un sistema di credenze simile. Credevano che quattro specie diverse di uomini avevano preceduta l’attuale. Una caratteristica da notare è che ogni razza successiva è meno progredita della precedente. La prima fu la razza di oro, poi segue la razza d’argento, la razza di bronzo, e quella degli eroi. L’attuale è la razza di ferro. Ogni specie viene sterminata da un cataclisma, in particolare la terza, quella di bronzo, fu distrutta da un diluvio. Il mito del diluvio universale è comune a quasi tutte le civiltà del passato in qualsiasi parte del globo siano esistite.
Scritture buddiste parlano di sette Soli, tutti annichilati dal vento, dall’acqua o dal fuoco. I nostrani libri Sibillini parlano di “nove Soli che sono nove epoche”, e vaticinano ancora due epoche a venire, quelle dell’ottavo e del nono Sole. Tradizioni aborigene raccontano: “sei soli perirono…attualmente il mondo è illuminato dal settimo sole”.
I miti degli hopi, tribù indiana dell’Arizona, raccontano:
“Il primo mondo fu distrutto, per punizione per la cattiva condotta degli uomini, da un fuoco vorace che venne dall’alto e dal basso. Il secondo mondo finì quando il globo terrestre si inclinò dal proprio asse e tutto si coprì di ghiaccio. Il terzo mondo finì in un diluvio universale. Il modo attuale è il quarto. La sua sorte dipenderà dal fatto che i suoi abitanti si comporteranno o meno secondo i disegni del Creatore”.
“Nella foresta tropicale malese il popolo Chenwong crede che di quando in quando il suo mondo, che chiama Terra Sette, si capovolga, in modo che ogni cosa viene inondata e distrutta. Tuttavia, con la mediazione del Dio Creatore Tohan, la nuova superficie piatta di quella che prima era la parte inferiore di Terra Sette, viene plasmata in montagne, valli e pianure. Nuovi alberi vengono piantati e nascono nuovi esseri umani.” (1)
Come si vede con chiarezza il mito di catastrofi ricorrente è un mito planetario. Queste coincidenze non possono essere frutto del caso. L’evento tramandatoci con maggiore ricchezza di dettagli è il diluvio universale. Sicuramente la sua leggenda origina da un avvenimento reale. Potrebbe essere stata la repentina fine dell’ultima era glaciale, che ha provocato alluvioni e terremoti su tutto il globo.(2) O si può trattare di più episodi eccezionali, che hanno riguardato diverse regioni del globo in tempi diversi, che col tempo e col linguaggio del mito hanno finito per assomigliarsi.
L’accadimento di una catastrofe di proporzioni eccezionale è un dato che si può dare per scontato.

Amnesia
L’uomo ha la tendenza a dimenticare il passato, quindi la persistenza di questo mito dimostra l’eccezionalità dell’evento diluvio. Non ci interessa focalizzarci sul singolo fatto, ma sulle teorie cicliche delle catastrofi. La diffusione di tale teorie in vari popoli, potrebbe dimostrare le difficoltà che ha incontrato l’uomo nel creare una civiltà, il passaggio da uomo raccoglitore-cacciatore a uomo agricolo, stanziale, con precise conoscenze agricole, matematiche e astronomiche e sulla conservazione dei cibi e altre. Questo processo può essere avvenuto più volte, in vari parti del mondo e puntualmente una catastrofe, un'epidemia, un terremoto o altro ha distrutto sul nascere tali tentativi. L’uomo ha dovuto ricominciare daccapo, fintanto che le conoscenze acquisite si siano diffuse e il numero degli uomini aumentato, fattore da non trascurare.
Il progresso umano non è un processo lineare come molti libri di storia lasciano intendere. Alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più volte. Anzi lo stesso processo scientifico si basa sulla distruzione del saper precedente. Da un articolo del Il Sole-24Ore: “Sul versante della critica interna ai processi di produzione, Lévy-Lleblond osserva per prima cosa che la scienza dimentica il proprio passato ed è costretta a riscoprirlo, sprecando tempo e sforzi. Poiché costruisce sapere sulla distruzione di quello precedente, la sua smemoratezza le è stata utile, ma ora è talmente sistematica da diventare controproduttiva. La dinamica dei fluidi, un campo già dissodato dai matematici dei primi del secolo, ha dovuto essere riconquistata con fatica; la malattia dell’olmo ha ucciso milioni di alberi negli anni ’70 ma si sapeva come curarla dal secolo scorso; perfino la scoperta che la gastrite è un malattia infettiva era già avvenuta un secolo fa.”(3)
Un altro brano tratto da un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno: “Alcune innovazioni sono già state fatte decenni fa e alcuni insuccessi erano già prevedibili: la pericolosità e la tossicità del piombo tetraetile – l’antidetonante delle benzine ormai quasi definitivamente eliminato dalle benzine in commercio, quelle che si chiamano “con piombo” – erano ben conosciute da chi aveva scoperto la nuova sostanza negli anni venti del Novecento. Alcuni processi per diminuire l’inquinamento atmosferico erano già stati inventati nella metà dell’Ottocento e poi accantonati. Gli attuali processi di riciclo dei rottami metallici sono stati inventati un secolo e mezzo fa.”(4)
Come si evince da questi passi l’uomo ha la spiccata tendenza a dimenticare. Se questo è avvenuto nel nostro mondo industrializzato e scientifico è certo che in una civiltà primitiva è accaduto con proporzioni ancora maggiori.

Difficoltà del progresso
“Fin dall’alba della storia gli uomini hanno dovuto fare lavori terribilmente faticosi. Tutto questo ha ritardato non poco l’evoluzione umana. Quanti di quelli che dovevano lavorare come bestie nei campi sarebbero potuti diventare degli Aristotele o dei Michelangelo, degli Shakespeare o dei Beethoven? Ma non fu mai insegnato loro altro che il necessario a compiere i loro stupidi lavori. Dovettero essere mantenuti in uno stato di inferiorità per necessità economiche.” The Sendai, 1980 William Woolfolk."
Questo brano tratto da un libro di fantascienza in cui si racconta la nascita di una razza di schiavi per alleviare l’uomo dalla fatica del lavoro, mette bene in evidenza le difficoltà del progresso. Il progresso richiede risorse. L’uomo per progredire ha bisogno della spinta dell’ambiente, delle difficoltà per pensare sistemi per sottrarsene, ma ha anche bisogno di tempo e di risorse per studiare e trovare una soluzione. Questo non sempre è stato possibile. Spesso l’uomo assorbito dalle fatiche della sopravvivenza non avuto i mezzi per progredire.
Dopo l’ultima glaciazione, il miglioramento del clima ha portato delle condizioni di vita migliori per l’uomo. L’uomo è diventato stanziale e si ha avuto un incremento demografico. Piccoli villaggi di 150-200 persone di raccoglitori, pescatori o cacciatori. L’essere stanziali ha portato all’osservazione dei cicli vegetali e della scoperta di come l’acqua sia fondamentale per le piante. La prima pratica agricola sarà stata l’innaffiamento di campi selvatici. Poi ci sarà stata la scoperta dei semi e la nascita di vere e proprie pratiche agricole. E così per l’allevamento. L’essere stanziali è un prerequisito fondamentale, ma anche la numerosità. Questo spiega la crescita esponenziale delle conoscenze umane avvenuta solo negli ultimi millenni. Prima l’uomo era impossibilitato a fare certe scoperte. Inoltre c’è un problema di massa critica. La conquista delle prime conoscenze ha comportato sforzi maggiori delle scoperte avvenute dopo. E’ come una bomba atomica quando c’è l’innesco c’è una esplosione catastrofica, ma senza innesco il tutto rimane inerte. Il numero degli uomini è importante, perché una scoperta per essere tramandata con sicurezza deve essere diffusa. Immaginate un’epidemia che porti alla scomparsa del primo villaggio dove è stata scoperta l’agricoltura. Bisogna ricominciare tutto da daccapo. Ma se invece la scoperta viene diffusa al villaggio vicino e poi ad altri fino ad essere diffusa in un ampio areale la possibilità che tale conoscenza scompaia si riducono notevolmente.

Il mito dell’Età dell’Oro e i Civilizzatori
L’uomo tende a mitizzare il passato. È un atteggiamento tipicamente umano. Quante volte abbiamo sentito ai nostri nonni raccontare il passato come età migliore dell’attuale, dimenticando la fame e le privazioni provate. Supponiamo, che nella sua storia, abbia sempre proceduto per prove ed errori.
A un certo momento della storia, si è creato un embrione di civiltà, (per civiltà intendiamo una società agricola stanziale), e questa per qualsiasi motivo si è spenta, lasciando pochi individui derelitti. Questi ultimi avranno rimpianto il loro passato creando il mito dell’età dell’oro. E se questo processo si è ripetuto più volte, in diverse regioni del nostro pianeta, potrebbe spiegare il perché dell’esistenza di tale mito in tutte le civiltà passate. Un’altra ipotesi potrebbe essere che la civiltà abbia avuto un unico grembo è che le periodiche catastrofi, anche di portate minore tipo carestie dovute a siccità, abbiano costretto gruppi o singoli individui a migrare in altre terre, portando con sé conoscenze, che a agli occhi di uomini allo stato primitivo di raccoglitori, saranno sembrate magiche. Queste ipotesi potrebbero spiegare i miti simili a quello di Prometeo, di individui superiori apportatori di conoscenza e di civiltà. Immaginate lo stupore che hanno potuto provare uomini che ancora non conoscevano il fuoco, quando si sono trovati davanti un uomo che gli insegnava ad usarlo. Una scoperta eccezionale: potevano scaldarsi, cuocere il cibo, difendersi dagli animali, indurire le punte delle frecce, vedere di notte!
In tutte le parti del mondo esistono leggende su mitici civilizzatori. In Sudamerica nelle regione andina si parla di Viracocha. In Messico i Maya raccontano la leggenda di Quetzalcoatl. In Egitto,
Osiride, lasciò il regno nelle mani di Iside e insegnò agricoltura e allevamento bestiame, costruì canali, argini in giro per il mondo: Etiopia, Arabia e poi India.
L’origine di queste leggende è con molta probabilità in comune con il mito dell’età dell’oro.

Comunicazione e metodologia della trasmissione del sapere
La civiltà può aver avuto più inizi e non essere stata un processo lineare come molti vogliono farci credere. Oggi l’uomo può contare su sei miliardi di individui e su risorse che solo confrontate con quelle del secolo scorso si possono solo definire sterminate. L’uomo nei millenni passati era solo una delle tante creature che popolavano il pianeta. Il suo numero, gli storici lo hanno stimato intorno ai 10 milioni. Tale numero era suddiviso sull’intero pianeta. Quindi l’uomo viveva in comunità di piccole dimensioni. I trasporti erano difficili e quindi la comunicazione era perlomeno difficoltosa. Supponiamo che qualcuno abbia scoperto un metodo per cuocere la terracotta. Innanzitutto, per interesse professionale l’artigiano non ha interesse a divulgarlo, anzi è vero il contrario, ma se anche volesse diffondere il suo metodo, avrebbe notevoli difficoltà. Quindi una scoperta, può essere stata fatta più volte, prima di diffondersi a livello generale.
Un esempio è la scoperta dello zero fatta dagli indiani da cui, tramite gli arabi è arrivato in occidente, e dai Maya. Le due civiltà non erano in comunicazione e quindi non hanno potuto approfittare delle reciproche conoscenze, che avrebbe permesso ad una civiltà di impiegare le risorse per scoprire lo zero per altre cose, facendo crescere il livello delle conoscenze delle due società ad un livello superiore per ambedue.
Un altro fattore da non trascurare è la metodologia della trasmissione del sapere. Anche oggi in un mondo in cui l’informazione sembra a portata di mano esistono zone oscure in cui è impedito l’accesso. Basti pensare a quanta tecnologia militare è chiusa in sicuri bunker inaccessibili ai più. O un esempio, più banale, ma forse più emblematico, la formula della Coca Cola, uno dei segreti meglio custoditi del mondo. Anche in passato la trasmissione del sapere è stata soggetta a questi vincoli. E così l’artigiano trasmetteva le sue scoperte ai suoi allievi, che avrebbero fatto lo stesso, mantenendo un vincolo di segretezza. Le corporazione medievali adoperavano gli stessi vincoli, presenti anche nella leggenda massonica di Hiram. Un altro esempio è l’arte della metallurgia ammantata da oscuri simbolismi dai sacerdoti egizi per mantenere il loro segreto e il loro potere. Provate a immaginare una società in cui la scienza è patrimonio di pochi. Non dimentichiamo che il sapere è uno dei pilastri del potere. È sufficiente un disastro, anche una semplice guerra, che stermini la classe egemone per far regredire la società ad un livello di molto inferiore.
La diffusione della civiltà e l’aumento del numero degli uomini è la premessa per evitare ritorni ad uno stato primitivo. Per questo la civiltà appena nata sarà stata una pianta fragile, soggetta a frequenti ritorni al passato, fintanto non ha raggiunto un livello tale da consentire un progresso più o meno continuo. Si ricordi della parentesi altomedievale, in cui il livello della civiltà europea è regredito, e in cui la civiltà araba ha avuto il compito di preservare parte del patrimonio culturale classico. Un esempio di come un maggior numero di uomini può preservare la cultura. Una parte del mondo regrediva e un’altra progrediva, e la civiltà nel suo complesso proseguiva il suo percorso.

Conclusione
Il mito di una civiltà che ha preceduto la nostra nasce da accadimenti reali. Però resta un problema aperto. La presenza di miti simili in svariate culture in tutto il globo potrebbe far pensare ad un’origine comune dei miti e quindi all’esistenza di una civiltà planetaria che ha preceduto la nostra. Questa ipotesi si potrebbe chiamare Atlantide di Platone o Atlantide planetaria. Ma c’è un’altra ipotesi da prendere in considerazioni. La nascita e la scomparsa di più civiltà nel passato. Si potrebbe chiamare semplicemente ipotesi delle catastrofi ricorrenti o ipotesi delle Atlantidi locali. Le scomparse di queste civiltà hanno potuto far nascere miti simili o comunque che col tempo hanno assunto una forma simile. Queste civiltà potrebbero non essere state in collegamento fra loro per motivi o geografici o temporali. Temporali nel senso che potrebbero essere sorte e scomparse in periodi tali da rendere impossibile il contatto. Una civiltà può essere sorta quando l’altra era già scomparsa.
Se si trovano rovine antiche anche simili in diversi parti del mondo non è detto che appartengano ad un’unica civiltà planetaria, ma possono appartenere a diverse civiltà locali e soltanto assomigliare. Dire che ci sono delle civiltà scomparse è dire niente di nuovo. Qualcuna è stata trovata, altre sono sotto terra. Recente la polemica sull’Atlantide giapponese da parte di West. Potrebbe trattarsi dell’Atlantide planetaria o solo di una Atlantide locale. Il linguaggio del mito può far sembrare che si tratti degli stessi eventi, accadimenti simili. Non dimentichiamo la smemoratezza umana e la sua fantasia. Certo molte coincidenze potrebbero far pensare ad una civiltà planetaria, ma non è detto.
Non nego che sia potuta esistere una Atlantide planetaria, ma molte cose sono spiegabili con l’esistenza di più civiltà scomparse. Forse la civiltà umana nella sua evoluzione deve attraversare comunque delle fasi obbligatorie e questo potrebbe implicare la presenza di similitudini fra civiltà diverse sorte in epoche diverse in diversi luoghi. È un'ipotesi un po’ forte, perché sembrerebbe negare un certo libero arbitrio che si presume sia una caratteristica tipicamente umana. In realtà è ciò che fanno gli storici con la loro descrizione della storia mediante l’età della pietra, del rame, del ferro e così via. Quanto questa divisione è arbitraria è evidente, perché se la storia dell’uomo è come linea di trend improntata ad un continuo progresso, non si può certo nascondere i frequenti inceppamenti e ritorni al passato. Un po’ come l’indice di borsa. Nel lungo periodo si può dire che è sempre crescente, ma se si esaminano periodi più brevi si vedono anche i frequenti ribassi e addirittura i tracolli, come quello del 1929 o del 1986 o delle più recenti crisi, asiatica e russa e l’ultima, dei mercati dei titoli tecnologici. Questa ipotesi, per quanto forte, ha una sua validità, per lo meno a grandi linee o potremmo dire come linea di trend.
Un’ulteriore ipotesi è che siano vere entrambe, sia quella dell’Atlantide planetaria, sia quella delle Atlantidi locali. Quest’ultima è la più difficile da appurare.
Non mi azzardo a suggerivi quale delle tre possa essere la più attendibile.
La mia personale simpatia va alla terza ipotesi per un semplice ragionamento alla Murphy. Visto che le cose tendono sempre a complicarsi e mai semplificarsi e considerato che la terza è la più difficile da appurare e anche la più confusa, sarà sicuramente la più probabile. Naturalmente, prendete quest'idea per quella che è, un semplice escamotage per chiudere l’articolo con un guizzo di ironia, perché sinceramente non so dirvi quale delle tre ipotesi possa essere la più realistica.

Note:
1) Impronte degli dei pag. 247.
2) La massa dei ghiacci, col suo peso ha impedito in alcuni casi lo scorrimento delle varie placche. L’energia si è andata accumulando nei millenni. Lo scioglimento repentino dei ghiacci, oltre a provocare inondazione, ha liberato queste immense energie provocando terremoti e maremoti che si possono definire, senza esagerazioni, di proporzioni bibliche.
3) “Una scienza a prova di cultura” articolo di Sylvie Coyuaud, tratto da “Il Sole24ore” del 7/2/1999.
4) “Innovazione in Italia? Si provveda di ufficio” articolo di Giorgio Nebbia tratto da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 12/3/2000.




Tracce di Atlantide a Venezia?
di Daniela Bortoluzzi www.misteria.org
C'è un Mystero molto intrigante su Venezia al quale sto lavorando da anni: nell'isola di Torcello c'è una pietra rotonda incisa (assicurata con ganci metallici a un muro dove sono esposti altri reperti antichi - alcuni di epoca romana, altri molto precedenti - sulla piazzetta dove si affaccia il museo di quest'isoletta che, come è noto, fu il primo insediamento dei popoli che avevano trovato rifugio nella laguna durante la fuga dai barbari. In quest'isola, dove oggi risiedono 24 persone (!), un tempo venivano fabbricate le navi della Serenissima, quando ancora l'Arsenale di Venezia (il più antico del mondo) non esisteva.
Torcello esisteva prima di Venezia, e infatti la Cattedrale di Torcello è la più antica d'Europa.
Ma torniamo alla pietra esposta.
Si tratta di un *tondo* (una trentina di cm di diametro) inciso in tal guisa da farmi sobbalzare appena lo vidi la prima volta: non potevo credere ai miei occhi! La planimetria di Atlantide!!! Per lo meno quella descritta da Erodoto e da Platone.
Incredibili scoperte sono scaturite dalle mie ricerche successive, che mi hanno portato a una probabile origine di Venezia, completamente diversa da quella ufficialmente nota. Tra l'atro, durante una conferenza (6 dicembre 1981) tenuta dal parroco della Chiesa di San Nicolò dei Mendicoli, dopo il restauro grazie al Fondo Inglese e al Governo Italiano, ebbi modo di sentire con le mie orecchie che non ero l'unica a pensarla in modo non-ortodosso, per così dire... Il tema era: "Dalla Mendìgola all'approdo delle origini vere di Venezia". Dagli appunti presi al tempo, dai colloqui col sacerdote (che dopo poco fu mandato altrove, c.v.d.), dai suoi studi e dai particolari citati nei suoi scritti e documentati da foto, emerge quanto segue:
"È molto diffusa l'ansia di conoscere le origini di Venezia: ricerche di Istituti Universitari nelle isole e 'barene' di Torcello, affermazioni di supposti agganci romani, studi di toponomastica, biblioteche intere di
volumi su Venezia e la sua storia non avrebbero dato la notizia che tutti desideriamo, cioè che Venezia è una città che - per determinati, precisi elementi - risale a precisa epoca.
Siamo infatti persuasi che tessuto edilizio, sociale, religioso, folkloristico e soprattutto artistico potrebbero offrire segni di precise collocazioni non solo nello spazio, ma anche nel tempo.
Ma sembrerebbe proprio che la 'Venezia Storica' sia un'altra, e che quella che tutti conoscono sia invece la 'Venezia Cristiana', così ristrutturata e battezzata dall'opera di fervorosi cristiani del secolo V e VI d.C., con la chiusura di tutte le opere mitologica, specialmente nei templi e luoghi sacri; opera, che protraendosi sino a tarda epoca e cioè sino a tutto il 1700, ha reso del tutto irriconoscibile la Venezia arcaica.
Venezia arcaica? Sì, certo!
Facciamo pure un brevissimo excursus toponomastico: Burano è nome iranico e significa Eufrate; Sile è nome che ripete quello di un fiume egiziano; Mendìgola nel significato di barca, si rifà a Minasse, dal quale derivano i vari mìnoa o porticcioli. E vari altri nomi che noi siamo soliti usare familiarmente come Medoàco, Mandracchio, ecc.
Ma prima di dare un'occhiata alla città, compreso San Marco con i suoi cavalli, è necessario analizzare prima questa chiesa. Per considerarla obiettivamente bisognerebbe però compiere il gesto che fanno coloro che si accingono a entrare in una moschea: quello cioè di toglierci certi schemi della storia dell'arte e accantonare per un momento anche gli stessi schemi di lettura religiosa; avverrà per i ricercatori quanto è capitato a qualcuno: la visione di un fatto nuovo di una autentica verità.
Questa chiesa, spogliata delle sue strutture lignee dorate come lo fu nel 1902 - data legata alla caduta del campanile di San Marco - come la presentano foto di archivio della Sovrintendenza, si rivela con i suoi
armoniosi eleganti archi ornati di fasce nei colori dell'ocra e del verde e di ampi motivi floreali.
Allora non pare plausibile che nel 1400 -1500 ci si fosse preso il lusso di coprire con archi di legno le splendide arcate originali.
Ed è qui che il discorso si ferma - per quanto riguarda la descrizione di una chiesa medioevale, di una iconografia che non corrisponde ai canoni di una lettura cristiana - per aprirsi invece a una lettura completamente diversa, che per essere confortata da troppi elementi emersi qui e altrove mi permetto per amore di chiarezza di presentare articolata nei seguenti tre grandi tempi:
1. Tempo antico (2000 a.C.?);
2. Tempo medio (dall'VIII sec. a.C.);
3. Tempo recente (dal VII sec. d.C.).

Quanto segue è semplicemente presente non solo in questa chiesa, ma anche in tutti quegli edifici di Venezia e isole, che stilisticamente sono attribuiti al romanico, o al gotico, o al rinascimento, o al classico o anche allo stesso stile barocco.
Innanzi tutto un contesto:
Pare che un'emigrazione dalle isole dell'Egeo e in particolare dalle Cicladi, che facevano capo a Creta, sia giunta nelle lagune venete a partire dal 2000 circa a.C.
Sono tempi in cui i faraoni d'Egitto (Regno medio, XI e XII dinastia, Sesostri, ecc.) tengono rapporti commerciali e culturali con l'impero minoico e quindi con Creta, la cui capitale è Knossos/Cnosso. Riferendoci a Creta, e quindi a un famoso popolo dei mari, appare facile capire come mai la Venezia sia costruita con quella tecnica consumata che ha permesso alla città di superare ogni fenomeno geodinamico e giungere intatta sino a noi.
Questa gente immigrata in massa, era organizzata nei clan o in piccole tribù. Così è facile vedere come ogni clan occupi la sua isola, costruendovi - secondo le esigenze comuni a questa gente - prima la residenza del Principe, poi quella del clan, quindi la torre di preghiera.
Caratteristiche costruttive comuni e quindi riscontrabili in ogni edificio da loro costruito sarebbero le seguenti:
Per la residenza del Principe - luogo anche d'incontro della Comunità, che poteva assistere anche ai sacrifici agli dèi - all'esterno la presenza di vestiboli, all'interno dispositivi per la separazione di sessi con
distinzione precisa per delle zone riservate alla Comunità; presenza di matronèi, abside e finestra di presentazione per il principe nel fondo abside, ove veniva a trovarsi anche la zona sacra agli dèi.
L'edificio orientato con l'abside a est e facciata a ovest; misurazioni sui multipli del tre, del cinque e del sette; arcate a tutto sesto e arcate acute (sarà interessante scoprire la funzione dell'arcata acuta, che sarà
poi recepita e usata in modo completamente diverso).
All'esterno inoltre ci sarebbero ornamenti che si riferiscono al culto del toro, e che quindi danno subito l'idea di edificio sacro: alludo a volute vagamente a semicerchio, che altro non sarebbero che stilizzazioni delle
corna taurine.
Per la residenza del clan, la costruzione si svolge amplissima, a pianta centrale, abbondanza di cortili, logge e passaggi coperti (chiostri), ecc.
Adiacente alla residenza del clan, vi è per lo più la residenza stessa del Principe.
Per la torre, la costruzione si snoda a campate interne alte di solito tre metri, con travi poggianti su mensole (barbacani) marmoree. All'esterno, il coronamento a cuspide - affiancata da quattro cuspidine agli angoli, oppure a doppio spiovente oppure a dado - permetteva forse di essere ben individuata da lontano dai naviganti che potevano senza incertezze imboccare il canale giusto che permetteva l'accostamento alla residenza rispettiva. È forse una neo-ziqqurat?
I minoici erano gente molto ricca (erano possessori di miniere d'oro), per cui avrebbero portato nelle lagune tesori immensi mantenendo con la madre patria non solo rapporti affettivi, ma anche commerciali; hanno potuto costruire qui con abbondanza di materiali pregiati come lapislazzuli, metalli, ecc.
La tecnica usata nelle rappresentazioni sarebbe quella dell'incavo o del castone, dell'incisione, della glittica. La finezza delle opere apparirebbe tale da non escludere l'uso di strumenti per l'ingrandimento ottico dell'
immagine.
Ma in una non ben precisata epoca, un fenomeno marino di enorme portata avrebbe messo in crisi l'esistenza di questo popolo; si tratterebbe infatti di un'alluvione alta non meno di sei metri sul livello medio.
Il fango e la creta avrebbero coperto ogni cosa penetrando in profondità in tutte le incisioni murarie fuori e dentro gli edifici, coprendo così i cicli narrativi che erano evidentemente i libri di scuola di quei popoli.
Fango e creta profondamente penetrati nelle pareti vi sarebbero rimasti così per secoli, concorrendo - a causa dei sali presenti - ad un processo chimico di trasformazione che fece sì che il materiale alluvionale, non solo si pietrificasse, ma prendesse anche l'aspetto decolorito del muro su cui poggiava.

Seconda immigrazione
L'impero minoico - invaso dai Barbari 'ante litteram' (gli Elleni) - nel 1400 venne messo in ginocchio. Cnosso conquistata, reggia e palazzi incendiati: una vera distruzione.
Sorge nel continente Micene, espressione insieme e della forza ellenica, e della bellezza minoica.
Nel 1100 circa gli Elleni, ossia i Greci, vanno alla conquista di Troia e nell'VIII secolo iniziano quella colonizzazione al di là del Mare Egeo e Adriatico che li conduce a fondare la 'Magna Grecia', e a spingersi anche oltre le foci del Po.
Una di queste punte sarebbe giunta nelle lagune lasciando inconfondibili le impronte della loro presenza nelle colonne con capitelli ionici e corinzi e negli edifici che altrimenti non si potrebbero spiegare.
Sia i Minoici che i Micenèi sono popoli religiosamente legati ai culti che sono comuni a tutto il Medio Oriente: il culto dei morti, della barca, del serpente, della dèa madre, del toro e forse della Vergine nel cielo.
Particolarmente ricco il culto dei morti con relativi riti di esequie: i Minoici seppellivano i morti dopo aver usato anche l'imbalsamazione; i Micenèi, invece, li bruciavano, collocando le loro ceneri in vasi di vetro
che riponevano nei tabernacoli.
I Micenèi giunti nelle lagune non pensano affatto di disidratare i muri dal fango, ma stendono sulle stesse pareti - con la tecnica dell'affresco - gli stessi cicli rappresentativi delle loro credenze, che seguono l'impianto di quelli coperti.
Particolare interesse può suscitare il fatto che sarebbero proprio i minoici il popolo che accoglierà nelle proprie isole i terrafermieri fuggiaschi a partire almeno dal V secolo d.C. con un tocco ancora più generoso e più ampio nel secolo VII, quando giungono i cristiani con i loro Vescovi e con le Sante Reliquie.
Evidentemente, l'impatto tra cristiani e pagani è del tutto pacifico, sebbene il paganesimo fosse ormai in piena decadenza avendo cominciato forse a subire i primi colpi dai cristiani della prima ora, che erano molto
probabilmente i fervorosi nepoti dei cristiani istruiti e battezzati dagli stessi Apostoli SS. Pietro e Paolo.
Il cristianesimo nei confronti del paganesimo, ora visto come dottrina superiore e liberatoria dalle paure degli dèi adirati e dalle impressionanti favole, al punto che essi - pagani - si vergognavano di essere ancora
adoratori di animali e furono affascinati dal prestigio che alla religione cristiana avevano dato i martiri, e continuavano a dare i Vescovi con la loro sapiente dottrina.
Non dimentichiamo che nel IV secolo le regioni che vanno dal Piemonte alla Lombardia al Veneto, sono ormai cristiane; S. Andrea di Vercelli, S. Massimo di Torino, S. Ambrogio, S. Girolamo, saranno per sempre stelle fulgide per la Chiesa d'Occidente.
Allora sarà possibile che, proprio con entusiasmo di popolo, a partire almeno dal VII secolo, ci si dà a coprire ogni rappresentazione mitologica con l'uso di qualsiasi materiale cementizio: gesso, calce, marmorino, intarsio marmoreo, ecc.
Nella chiusura saranno interessate innanzitutto le immagini offensive della fede o giudicate non lecite, mentre si opterà per un riutilizzo - con significato diverso - di tutto ciò che sarà possibile conservare.
L'operazione, iniziata agli albori del Cristianesimo in Venezia, continuerà quasi a tappe sino a tutto il 1700; il che significa che non sempre si avevano a disposizione i materiali e artisti, e che la massa d'opere era
immensa al punto che moltissimo di queste che noi siamo soliti attribuire all'epoca classica del '500, altro non sarebbero che opere originali fortunosamente sfuggite all'azione dei mimetizzatori.
Ora è più facile capire la cronaca là ove è scritto che attorno al 1.000 Venezia era tutta un cantiere: così il Galliciolli! Infatti i cristiani solo a tempi lunghi poterono avere a disposizione un alloggio decente.
Essi, venuti dalla terraferma, fuggiaschi, privi di tutto, avevano dovuto sistemarsi in case di tavola e paglia (i famosi casoni); poi, attorno al 1000 - appunto - riusciranno a costruire le loro casette familiari o a schiera, o in calle oppure a campiello. Nei grandi palazzi dei clan si erano forse sistemate le grandi famiglie patrizie come i Ca' Giustinian, i Ca' Roman, i Ca' Vendramin, ecc.
Gli incendi, di cui tutte le cronache di Venezia riferiscono anche le date (1105, 1114), altro non sarebbero che roghi festosi con i quali si celebrava l'entrata ormai nei palazzi e ancor di più nelle chiese: sarebbero i fuochi celebrativi della Venezia rinata alla fede cristiana.
Si può quindi accettare il 25 Marzo del V secolo, come primo esercizio liturgico nella prima chiesa di San Giacometo, da pagana diventata cristiana.
La vita civile va assumendo una fisionomia sempre più consona alla Fede, cui concorre l'opera degli stessi dogi. Si continua l'attività commerciale con l'Oriente e Venezia si muoverà tra le isole dell'Egeo come sorella tra sorelle di palazzo.
In questo contesto mi pare che difficilmente si potrà dare ragionevole credito ad una storia dell'arte che per Venezia è fatta con una scadenza di stili poco più che centenaria.
Lo stile è frutto di esigenze di vita: ora ogni cambiamento di stile suppone una trasformazione o un trauma o una metamorfosi collettiva di un popolo, che solo a distanza di millenni si può riscontrare.
Detto tutto questo come impostazione generale, veniamo ora a vedere se questa chiesa e altri monumenti cittadini offrono prove dell'argomento.
La Chiesa di S. Nicolò, nella fase primitiva - ossia antica - appare tutta scolpita dentro e fuori. La costruzione ha riferimenti precisi alla 'barca dei morti', ossia alla 'barca del Sole', che va da Oriente a Occidente. Infatti, se vediamo la chiesa rovesciata, osserviamo che il tetto fa da chiglia, che le arcate con colonne sovrapposte sarebbero rappresentazioni del seno materno della Terra con tanto di monumento funebre sui morti rappresentati nella scultura delle pareti: si sa che attorno al 3000 a.C. veniva data ai morti sepoltura con collocazione fetale.
La chiesa presenta uno sghembo (inclinazione) ben visibile anche nella gondola; al tetto vi è una ruota piena in funzione di puleggia d'armamento; una delle arcate è sostituita da una soglia (architrave), probabile porta di entrata dei morti.
Dalle zone riservate alle donne e alle donne era possibile vedere - dipinta sopra una grande tavola - la barca del defunto, sostenuta da quattro colonne all'altezza o al posto dell'attuale iconostasi. Oltre queste colonne il mègaron o sala di accoglienza, chiusa da sedili di legno istoriati con la tecnica dell'incisione, a due metri dal mègaron vi è la zona sacra (attuale presbiterio) indicata da corna di consacrazione che affiancano l'altare.
Dietro l'altare, nel fondo dell'abside, la finestra di presentazione dalla quale il Principe assisteva ai sacrifici: la principessa vi assisteva dal matroneo nel fondo della chiesa (attuale cantoria).
Che gli uomini partecipassero da zona separata da quella delle donne, fa fede il fatto che la transenna di separazione era ancora in piedi nel 1580.
Tutta la chiesa aveva livelli diversi degli attuali: dai 50 cm nelle navi, si arrivava a 90 in crociera e a 1 metro e 20 all'abside sotto l'attuale pavimento.
La zona delle cappelle era segnata da stanze alternate a cortili-luce interni.
Vi era un altare per ogni settore di persone, ove si potevano porre resine ed incensi sino a coprire le immagini scolpite o incise sopra l'attuale mensa.
A Pellestrina, l'altare è anche affiancato da due rappresentazioni di faraone spiritualizzato. All'esterno vi erano due vestiboli: uno per gli uomini e uno per le donne. In facciata, le sale mensa e i servizi di cucina. L'alluvione preistorica è qui presente con il fango sino a quota superiore i cinque metri in presbiterio.
Nella seconda epoca, o epoca media, i Greco-Minoici vengono a Mendìgola. Notiamo che questa isola è la più a Ponente tra quelle del centro storico. A quanto pare si svuota la chiesa dal fango che si depositava appena fuori, in campo, così da formare quella montagnola che sarà lamentata dai Gastaldi del 1500 in Pregàdi. Le pareti vengono ornate di affreschi con la ripetizione delle rappresentazioni funebri o di vita in relazione all'uso di zona; per esempio, nel giro dell'abside è presente la scena dei sacrifici e della sepoltura.
Ci si accorge però ben presto della fragilità degli affreschi. Per rappresentare al vivo la barca, si ricorre allora all'uso del legno e si costruiranno le centine, che portano maschere di mummie o dignitari di corte
con tanto di vestiti a fiori in viaggio verso il Creatore, mentre le prefiche - con cenni - indicano l'Occidente come luogo di pace e di riposo, e lanciano per aria grida lugubri di lutto e di pianto.
Le centine - in legno e ornate di finissima trina d'oro - sono collocate in senso traverso a formare cinque campate, mentre il grande tavolone della barca viene tagliato ad arco per collocarvi al suo posto le statue del Principe defunto attorniato da persone in pianto. Vi è anche il barcaiolo, che con una lunga pertica scandaglia il fondo del canale.
Il rialzo dei pavimenti aveva necessariamente comportato la sopraelevazione della tribuna. La si rialza quindi di un metro e venti e la si affianca da quattro colonne corinzie sulle quali è steso un baldacchino sormontato da conchiglia fiorita su cui sovrasta la croce cretese dorata.
Anche nel mègaron, la sostituzione del tavolone aveva comportato la sostituzione delle due colonne centrali di supporto, che avrebbero costituito una disarmonia per il rialzo dei livelli.
La sostituzione si fa collocando a sostegno dell'iconostasi sei statue longilinee in funzione di cariatidi.

Tempo recente
Tutto il territorio veneto a partire dal V secolo d.C. è sotto pressione dei Barbari. Neppure Aquileia resiste e con essa sono travolte Oderzo, Jesolo, Equilio, Altino e tutte le cittadine e paesi di un territorio pieni di vita.
Nel secolo VII l'invasione fu tale che a decine di migliaia i terrafermieri scapparono rifugiandosi nelle isole assieme ai loro Vescovi e Santi.
Inizia nelle isole quella trasformazione cristiana che a Mendìgola è presente in modo più eloquente.
La prima trasformazione del monumento della 'barca' si fa trasformando le centine lignee adattandole alle arcate laterali. I dignitari di corte diventano gli Apostoli, le rispettive prefiche gli angeli, e perfino l' iconostasi cambia la sua fisionomia quando al posto del grande capitano della barca dei morti si colloca un Crocifisso dipinto su tavola.
Evidentemente, l'operazione iconostasi si fa alquanto più tardi o forse verso il 1200, quando la statua del principe è adattata a fungere da statua di S. Nicolò. Le statue cariatidi vengono ricoperte dalle eleganti
colonnelle, mentre tutte le colonne delle navate vengono ricoperte di gesso e calce.
Si mimetizzano anche gli affreschi ricavando da figurine originarie le immagini di Santi come avviene all'abside, ove al centro si riesce a ricavare l'immagine del primo Patrono S. Lorenzo martire rinchiudendo due volti entro un'aureola.
Come già detto, anche per la povertà della gente che vive di pesca, di caccia e di ortaglie, l'operazione si svolge sui tempi lunghi. Coperte le pareti, intarsiati gli altari, messo nelle tolelle sopra le mense, si giunge al 1550 per rivestire la chiesa di quadri con le storie dell'Antico e Nuovo Testamento, ossia con la Bibbia dei poveri, al 1500 per la chiusura della 'Porta di Presentazione' per ricavarne una nicchia per la statua del
Patrono.
La loggia-matroneo diventa sede dell'organo e nel 1700 la cappella con l' altare funebre della zona degli uomini diventerà altare del Sacramento.
All'esterno il vestibolo di facciata diventa fin dal mille la nuova sede o schola dei pescatori; il vestibolo laterale sarà demolito nel 1700 con un seguito di critiche che hanno dato al Tassini il motivo di ricamare la
leggenda delle tre statue di pietra tenera collocate in nicchie pagane da prè Zaniol.
La sala mensa era diventata - assieme alle altre stanze tra facciata e campanile - un desiderato rifugio di suor Sofia o suor Agnese un gara che intendevano vivere qui come in un romitaggio.
Contemporaneamente a quanto accadeva in S. Nicolò, si operava alla trasformazione della residenza del clan, il grande edificio cui andarono in possesso i padri riformati di S. Bonaventura. Questa imponente costruzione minoica sarà destinata a diventare in seguito il monastero di Carmelitane di Santa Teresa.
Anche la torre di preghiera cessa di rimanere tale. Servirà ben presto come torre campanaria, ove nel 1700 (per la collocazione delle campane e dell'orologio) si arriva ad abbattere ben cinque solai dei sette esistenti in pianta.
Altri monumenti insigni della città furono manipolati in modo simile.
In S. Marco il primo atto fu quello di smuovere la quadriga dalla sua secolare sede per condurre i cavalli in scuderia; la statua del Principe, dal sommo dell'arcata a ogiva, diventerà S. Marco in gloria; all'interno si
comincia la modifica dei mosaici e loro sostituzione con temi biblici. La stessa iconostasi cessa di essere struttura egea per diventare struttura liturgica con statue di Apostoli e Crocifisso dipinto su tavola.
In seguito, i Dalle Masegne copriranno con marmi a intarsio tutta l'iconostasi e sostituiranno con un Crocifisso grande quello dipinto, che viene collocato sopra l'altarino di navata laterale sinistra.
I dogi profondono tesori, per fare della reggia del principe defunto la Cappella di Palazzo Ducale. E toccherà al Dandolo, dopo la vittoria su Costantinopoli, riprendere i cavalli e ricollocarli sulla loggia, ma più in basso, e sopra umili rocchi.
Con la basilica, anche il palazzo del governo della polis greca subiva trasformazione di connotati per diventare palazzo del doge.
Le grandi basiliche con annessi conventi come i Frari, i Santi Giovanni e Paolo, le chiese con vaste case canoniche, altro non sono che adattamenti intelligenti di strutture già preesistenti.
In tutta questa opera di mascheramento, e quindi di adattamento per un cristiano riutilizzo, si vede l'intelligenza e lungimiranza degli Uomini di Chiesa.
Alla Mendìgola, giungevano infatti offerte pro reparatione et aptatione; si mettevano depositi nei banchi di Castello e in Montevecchio.
Leggiamo pure che nel 1592 il Patriarca Priuli, in visita pastorale, loda Gastaldi e clero, per aver 'reduta la giesia' secondo i piani prestabiliti.
Oggi persone responsabili sono tra loro divise per la questione se rimettere o no gli altari detti barocchi nella Chiesa di S. Donato. Pare che la questione posta al di fuori di questo contesto presenti difficoltà notevoli
per una soluzione storicamente valida.
Si sta ponendo mani al restauro della Basilica di Torcello. È tramandato che il grande mosaico dell'Apocalisse sarebbe stato rimaneggiato verso il 1.100. Si tratta di un rimaneggiamento cristiano di un'opera pagana di cui sarebbe rimasta intatta la rappresentazione demoniaca? E il cosiddetto battistero di facciata era forse un vestibolo, come lo poteva essere la chiesa laterale di Santa Fosca? Sono ancora al loro posto le serrande marmoree alle finestre della navata nord!
Evidentemente, non si usava ancora il vetro per le vetrate di una costruzione che ha tutti i segni indicativi di un potente clan qui residente!
Dalle basiliche delle isole e del litorale nord e sud, la considerazione che moltissime isole, già abbandonate dai religiosi a partire dall'800, diventate preda di ladri, distrutte le chiese e i monasteri, si fa non solo
amara, ma assume il carattere dello sdegno. Com'è mai possibile che proprio in quest'epoca sia stato permesso un simile degrado di un patrimonio archeologico di valore inestimabile?
Si veda S. Giorgio in Alga, si veda Santo Spirito (in quest'isola, non più di 20 anni fa, si potevano ancora ammirare le travature dorate della chiesa (già reggia del principe) e il pozzo stupendo!
Tutto scomparso, rubato. Non parliamo delle isole dell'estuario nord! Dai nomi ancora pieni di fascino! Ridotte a cumuli di macerie! Nutro speranza che una visione diversa della città - veramente unica, perché risparmiata da distruzioni telluriche, da flagelli bellici, ancora funzionante e funzionale - spinga i responsabili a rivedere tanti loro progetti, compresi quelli ritenuti di massima urgenza!
Un momento di sosta al letto di questa ammalata, che poi ammalata ancora proprio non sarebbe, ma solo desiderosa che le sue pietre siano disidratate dal fango plurimillenario in mezzo al quale e sopra il quale i veneziani mangiano, dormono e vivono, e che vengano ripasciute quelle isole e quelle lagune che da sempre l'hanno protetta, anche dalle più grandi alluvioni se si trova ancora in piedi dopo circa quattromila anni.
Dopo quanto detto, trovo scritto che l'architetto Mozzi, che ha toccato con mano la carne di Venezia in profondità, affermava che i materiali di silicati in occasione di scavi a Palazzo Papadopoli, a S. Michele di
Zampanigo (Burano) erano da attribuirsi a popoli dell'Asia, e secondo il Ghelthof l'ascia di cloromelanite - ritrovata a profondità sostenuta - è da attribuirsi a 'popoli che abitarono la laguna circa 4000 anni fa'.
Un supporto anche letterario viene da quanto è stato affermato nella famosa lettera di Cassiodoro ai Tribuni dei Marittimi: 'Voi - scrive - che abitate le isole che il mare ora copre ora discopre come fa nelle Cicladi'.
Il ministro del Re Longobardo di Ravenna - chiedendo le barche ai lagunari per fronteggiare i barbari - credeva, politicamente, di fare cosa gradita nominando loro le isole della Madrepatria.
Rimane male il Klotz quando afferma che i vasi minoici trovati a Torcello potrebbero essere soltanto oggetti smarriti da qualche mercante.
Forse è tutta da rivedere in chiave nuova, non solo la storia delle origini cristiane, ma anche la liturgia cosiddetta patriarchina presente fino al Concilio Vaticano II, con i suoi riti, canti, e suppellettile liturgica non
solo nel centro storico, ma anche nelle isole; la vicenda dei Santi e perché si andasse tanto in cerca di Reliquie. Credo che qualche cosa di concreto in quell'opuscolo già pronto che avrà per titolo: 'Dalla Mendigola all'anno zero di Venezia'.
Molto rimane da dire circa i campanili, partendo proprio dalla torre di S. Nicolò. Le ricerche evidentemente si faranno sempre più ampie e interessanti, se anche i mezzi e gli strumenti scientifici saranno messi a
disposizione. Comunque sia, facendo onore al suo nome, Mendigola, la barchetta dei morti, sarebbe approdata per prima alle sponde delle origini di questa meravigliosa città".
Ma come? Non si era sempre detto che 15 secoli fa, Venezia ancora non esisteva, e c'erano solo paludi e isolette sparse nella laguna, nelle quali trovarono rifugio i popoli in fuga... ecc. ecc.? Io che ho studiato la storia di Venezia per anni, mi sono sempre meravigliata di questa origine nebulosa, come del fatto che non si conoscesse con certezza l'autore della Chiesa di San Marco. Possibile che l'architetto (un improbabile frate) non abbia lasciato un'impronta? E pensando agli altri monumenti antichissimi di cui si ignora l'autore e che si sono voluti per forza attribuire a qualcuno per creare un alibi storico... non trovo nulla di strano nel pensare a tracce di Atlantide in laguna! Ma di certo è più comoda l'idea che Attila abbia soggiornato a Torcello e si sia fatto costruire un trono di marmo per sedersi. Anche se, in verità, c'è un impatto molto suggestivo per il turista, tanto che si siede sul 'Trono di Attila' per farsi fare la foto...
Una domanda potrebbe essere: 'Da chi avevano imparato, i primi popoli della laguna, la tecnica dell'imbonimento delle barene e della costruzione fissa su palafitte (milioni di tronchi di larice conficcati uno vicino all'altro, tanto da formare una serie di piattaforme - da collegare con ponti - su cui edificare palazzi che sarebbero sopravvissuti per millenni)? Sarebbe ragionevole pensare all'esperienza di un popolo di mare! E poi, chi avrebbe mai pensato di costruire un arsenale? Non credo all'ipotesi dei popoli di terra scampati alle invasioni, ma piuttosto a gente che necessita di navi, perché conosce il mare e quindi ne ha bisogno per andare verso i luoghi che conosce...
Gli Egei e tutti i popoli del Mare Magnum, non abitavano forse quelle isole legate oggi a ritrovamenti archeologici imbarazzanti, tanto da far ipotizzare origini atlantidee, e formulare varie ipotesi al riguardo? Con questi presupposti, nell'ipotesi Atlantide = Razza Evoluta sopravvissuta in alcune zone del globo, Venezia potrebbe essere la fase finale di una di queste filiere, forse l'unica sopravvissuta!
Pochissimi conoscono il significato del nome Venezia. Dal latino veni etiam (torna di nuovo) sarebbe la prova che una città insolita come questa lascia al viaggiatore il desiderio di ritornare ad ammirarla. Tuttavia, se Giulio Lorenzetti interpreta l'etimologia in questo modo, io credo che ci potrebbe essere un'altra interpretazione: 'tornai' (sottintendendo un precedente esodo). Nella mia ipotesi, dopo una prima immigrazione di popoli egei scampati a un evento catastrofico (per esempio il terremoto e inabissamento di Tera) e rifugiatisi nella parte più interna e sicura della laguna (isola di Torcello), avrebbero iniziato - appena le condizioni lo avessero permesso - a progettare un viaggio per mare con l'obiettivo di controllare se fosse possibile un eventuale ritorno la patria di origine. Costruirono le navi, e mentre le paludi imbonite e le prime palafitte prendevano l'aspetto di isolette abitate, fecero rotta per la madre patria... che ritrovarono in condizioni di completo sfacelo e completamente saccheggiata. Fu probabilmente a quel punto che decisero di ritornare a nord, in quella laguna difesa naturalmente dalla sua posizione geografica: da quel ritorno definitivo, ebbe inizio una grande tradizione di navigatori, commercianti, ingegneri e architetti.





I sopravvissuti al Diluvio Universale
di Galileo Ferraresi

Fino alla fine del 1800 si pensava che il Diluvio Universale fosse una sorta di favola o mito religioso della bibbia (genesi 8,4) senza nessun punto in contatto con la realtà ma verso il 1880 iniziarono a circolare le prime copie della traduzione dall’accadico dell’Epopea di Gilgamesh, testo assiro in cui, con nomi diversi, si propone la stessa situazione del Diluvio biblico. Una storia senza contatti con la realtà può esistere, ma due cominciano ad essere un indizio, direbbero gli eroi dei romanzi gialli.
Quando si parla di Diluvio si fa una piccola confusione: si parla sia di piogge improvvise e che durano per tantissimo tempo e si parla anche di un’innalzamento enorme delle acque dei mari dovuto alla pioggia. Si pensa che la pioggia abbia innalzato il livello dei mari al punto da sommergere tutte le terre. È semplicamente impossibile: nella Terra e nell’atmosfera che la circonda non esiste la possibilità di avere tanta acqua. Si tratta di due cose diverse: una pioggia che durò per tantissimo tempo e una (o più di una) onda che travolse tutto, ove per “tutto” si intende quello che conoscevano i pochi sopravvissuti.
Se vi trovate su un’imbarcazione sollevata da un’onda vi sembrerà che “tutto” il mondo (costa o altre barche) sia in basso, e più l’onda è alta più sembrerà che il mondo che vi circonda sia inghiottito dal mare. Non c’è nulla da fare, l’uomo è fortemente egocentrico e come tale trova più semplice pensare che il mondo venga inghiottito dalle acque piuttosto che pensare di essersi alzato dalla superfice su cui si trovava poco prima.
Ai primi del 1900 furono avvistate per la prima volta i resti dell’Arca di Noè, o di qualcun altro, nei pressi di un ghiacciaio sul monte Ararat in Turchia ad un’altezza di circa 3500 metri. Furono effettuate decine e decine di spedizioni, riportati anche alcuni campioni di legno fossile dell’Arca e scattate delle foto[1].
Il mito del Diluvio ha ormai assunto connotazioni assurde: non si può ammettere che sia piovuto tanto da portare una nave di 110 metri di lunghezza a oltre tremila metri perché non può esistere tanta acqua sulla Terra, non si può pensare che qualcuno abbia costruito una nave a quell’altezza e in un luogo dove, con le moderne tecnologie, si riesce a resistere per pochissime ore, eppure la nave è là e dimostra che qualcosa di “particolare” deve essere successo.
Nel 497 a. e. v. Platone scrisse Il Timeo, il testo più citato da Aristotele, in cui si tratta della sfericità della terra, del suo movimento, del movimento delle stelle e dei pianeti, e in cui compare un’affermazione a dir poco interessante.
Un sacerdote egiziano di Sais (l’antica capitale culturale, politica ed amministrativa dell’Egitto) parlando con Solone gli disse: "Voi greci siete giovani e non sapete nulla di ciò che successe[2]… gli uomini sono stati distrutti e lo saranno ancora in vari modi. Dal fuoco e dall'acqua ebbero luogo le distruzioni più grandi, ma se ne verificarono altre di molti altri tipi come la leggenda che si racconta presso di voi che Fetonte rubò il carro del dio sole e non riuscendo a condurlo sul percorso normale incendiò tutto quello che c'era sulla terra e morì lui stesso[3]… La verità é questa: a volte si verifica una deviazione del movimento dei corpi che circolano in cielo. Ad intervalli di tempo molto grandi tutto ciò che é presente sulla Terra finisce per eccesso di fuoco. Coloro che abitano le montagne e i luoghi secchi muoiono più di coloro che vivono vicino ai mari e ai fiumi. Al contrario, quando gli dei purificano il mondo con l'acqua, tutti coloro che vivono vicino ai fiumi e ai mari sono travolti dalle acque e si salvano solo coloro che vivono sulle alte montagne, così si salvano solo i rozzi montanari e la civiltà deve ricominciare da capo.[4]"
Non vi sono dubbi sul fatto che il sacerdote parlasse di distruzioni avvenute varie volte sulla faccia della Terra, generate da fattori differenti, avvenute in tempi antichi ma pur sempre durante l’esistenza dell’uomo. Lo scritto cinese in cui si parla di alluvioni dovute ai fiumi che invertirono il loro corso trova una precisa corrispondenza in Platone quando riporta l’affermazione sulla distruzione dovuta all’acqua. La Cina e l’Egitto parlano di distruzioni simili.

L’Agricoltura
Dodicimila anni fa ebbe luogo la rivoluzione paleolitica: gli uomini iniziarono a coltivare la terra. Questo fenomeno avvenne contemporaneamente in tutta la terra. Dopo più di centomila anni d’esistenza improvvisamente l’homo sapiens inizia a coltivare. Perché non prima, perché non dopo, perché tutti assieme e contemporaneamente ma soprattutto perché gli uomini di tutto il mondo iniziarono a coltivare sulle montagne? Tutti sanno che si fa meno fatica a coltivare in pianura che in montagna, nessuno se non vi fosse obbligato dalla necessità coltiverebbe i terreni montagnosi. I tre luoghi più fertili della terra sono la pianura Padana, la valle del fiume Giallo e il delta del Mekong, eppure l’uomo del paleolitico che è stato in grado di realizzare la più grande invenzione della storia, l’agricoltura, nonostante avesse tutta la terra di questo mondo a disposizione è stato tanto scemo da iniziare a coltivare in montagna.
Il famoso botanico russo Nikolai Ivanovich Vavilov (1887-1943) scoprì che l’agricoltura ebbe inizio contemporaneamente in tutto il mondo negli altipiani oltre i 1500 metri d’altezza. Questa scoperta coincide straordinariamente con le affermazioni di Platone nella Repubblica in cui dice che la civiltà nacque sugli altipiani e con le affermazioni del sacerdote Egizio citato nel Timeo secondo il quale dopo una catastrofe da acqua si salvano solo i montanari e la civiltà nasce di nuovo. Ma non è tutto, dagli studi di Vavilov e di J. R. Harlan si deduce che l’agricoltura iniziò circa 11.600 anni fa, la stessa data a cui Platone fa risalire la distruzione di un continente mitico, Atlantide. Platone dice che Atlantide fu distrutto 9.000 ani prima di Solone, se consideriamo che visse 2.600 anni fa abbiamo che la fine di Atlantide fu nel 9.600 prima dell’era volgare, 11.600 anni fa, esattamente la data calcolata dai botanici.
Per spiegare il perché dell’agricoltura in montagna proviamo a pensare che cosa può essere accaduto quando l’asse terrestre si è spostato.
Supponiamo che un grosso meteorite abbia colpito la terra, nel luogo dell’impatto e per varie centinaia di chilometri tutto è stato immediatamente distrutto dall’urto e dall’energia sprigionatasi poi l’asse terrestre ha iniziato a spostarsi provocando ovunque terremoti, crolli e frane, l’acqua degli oceani a questo punto spinto dalla massa dei continenti in movimento ha iniziato ad allagare le terre che si spostavano verso di lui e a ritirarsi da quelle che si allontanavano dalla posizione precedente. Dopo essere penetrato nelle pianure il mare ritirandosi ha formato un’onda di dimensioni enormi che richiamata dal vuoto lasciato dal lato opposto degli oceani ha percorso varie volte la terra distruggendo tutto quello che trovava sul proprio percorso. Finita la forza distruttrice le terre sotto i 1500 metri d’altezza si sono trovate allagate, o comunque inzuppate d’acqua di mare che, essendo salata, non ha permesso la coltivazione fino a quando, secoli, millenni dopo l’acqua piovana non ha completamente dilavato il sale permettendo la coltivazione in zone più basse. Le prime coltivazioni fuori dagli altipiani e le prime civiltà sono dislocate lungo le valli dei fiumi partendo dall’alto. I pochi sopravvissuti a questo cataclisma furono, come scritto nel Timeo, le persone che in quel momento erano in montagna, oltre i 1500 metri.
Se una cosa simile succedesse oggi quante persone si salverebbero? Pochissime, non sappiamo se sarebbero montanari rozzi come scrive Platone, ma di certo sarebbero pochissime e difficilmente e solo a prezzo di grandi stenti riuscirebbero a procurarsi da mangiare e a far rinascere la civiltà ripartendo dall’agricoltura “sugli altipiani”.

Note
[1] Fatto “curioso” è che le foto sono identiche al disegno dell’arca sul monte Ararat che compare nella carta del mondo di Grazioso Benincasa nel 1492. I cartografi del ‘400 conoscevano il mondo meglio degli astronauti USA di 500 anni dopo!
[2] Platone, Timeo, 20e.
[3] Platone, Timeo, 22b
[4] Platone, Timeo, 22d

FONTE
 
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jasmine23
view post Posted on 20/7/2007, 16:01




Il mito di Atlantide

Un' Età dell'ORO in cui l'Uomo viveva in perfetta armonia con il cosmo è sentita e tramandata da tutte le civiltà Antiche.L''ermetista Fulcanelli, ne "Le Dimore Filosofali" ne parla in questi termini:"Quest'isola misteriosa,sulla quale Platone ci ha lasciato un'enigmatica descrizione,è forse esistita?...
"Alcune constatazioni sembrano dare ragione a coloro che credono nella realtà di Atlantide.Infatti,dei sondaggi effettuati nell'Oceano Atlantico hanno permesso di riportare in superficie dei frammenti di lava la cui struttura prova irrefutabilmente ch'essa si è cristallizzata all'aria.Pare dunque che i vulcani espulsori di questa lava si elevassero su delle terre emerse non ancora inghiottite dalle acque...Noi,per quel che ci riguarda,non vediamo niente di impossibile nel fatto che l'Atlantide abbia potuto avere un posto importante tra le regioni abitate,nè in quello che la civiltà si sia sviluppata fino a raggiungere l'alto grado che Dio sembra abbia fissato come limite del progresso umano...Limite al di là del quale si manifestano i sintomi della decadenza e si accentua la caduta,quando la rovina non è accelerata dal subitaneo scoppio d'un flagello improvviso". Così ne parla Fulcanelli, menzionando Platone:ma cosa ci ha lasciato scritto questo grande Filosofo Greco,nato ad Atene, nel 428/27-347 a.C. e fondatore dell'Accademia più importante dell'Antichità? Egli scrisse, in tarda età, due dialoghi:"Timeo" e "Crizia",in cui discute sullo stato perfetto delle cose.A tal proposito, Crizia(il protagonista) ricorda di aver sentito una storia,un tempo. Una storia che gli aveva raccontato suo nonno novantenne, quando questi aveva l'eta' di dieci anni.
Il nonno l'aveva -a sua volta -sentita dal grande legislatore ateniese Solone(638-558 a.C.), che a sua volta l'aveva appresa in Egitto da un sapiente sacerdote di Sais.
Il sacerdote aveva descritto a Solone la bellezza di Atlantide, una terra costituita di fertili
praterie e di alte montagne che la difendevano dai venti freddi del Nord e
popolata da animali domestici e selvatici (tra cui l'elefante); il sottosuolo era ricco dei piu' pregiati metalli, tra cui l'oricalco (che in realta' é una
lega composta da rame e zinco).
Vi abbondavano le sorgenti d'acqua calda e fredda, le cui acque affluivano
poi in un grandioso bosco sacro per poi finire nei bacini del porto, dove si
trovavano moltissime navi protette da una cinta di mura dalla parte del mare
e provenienti dai luoghi piu' lontani.Vi erano palazzi e torri e un Tempio al dio Poseidone.

COME NACQUE ATLANTIDE?
"Su questa montagna aveva la sua dimora uno degli uomini primordiali di quella terra,nato dal SUOLO;si chiamava Evenor e aveva una moglie chiamata Leucippe,ed essi avevano un'unica figlia,Cleito. La fanciulla era già donna quando il padre e la madre morirono;Poseidone si innamorò di lei ed ebbe rapporti con lei e,spezzando la terra,circondò la collina,sulla quale ella viveva,creando zone alternate di mare e di terra,le une concentriche alle altre;ve ne erano due di terra e tre d'acqua,circolari come se lavorate al tornio,avendo ciscuna la circonferenza equidistante in ogni punto dal centro,di modo che nessuno potesse giungere all'isola,dato che ancora non esistevano navi e navigazione...".Possiamo immaginare l'isola come un'enorme "Triplice cinta"di terra e di acqua.

image (ricostruzione della capitale di Atlantide)

Platone continua, e ci informa ulteriormente:"...I sovrani di Atlantide anzitutto gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l'antica metropoli,e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal Palazzo reale,che fin da principio eressero nella dimora del dio e dei loro antenati,e seguitarono ad abbellirlo di generazione in generazione,dato che ciascun re superava-all'apice della gloria-colui che l'aveva preceduto,sino a fare dell'edificio una meraviglia a vedersi,sia in ampiezza che in bellezza.E,partendo dal mare,scavarono un canale largo trecento piedi,profondo cento,lungo 50 stadi,che arrivava alla zona più esterna creando un varco dal mare fino a che essa divenne un porto;e il varco era abbastanza ampio da permettere l'entrata alle navi più grandi.Inoltre-a livello dei ponti-aprirono gli anelli di terra che separava gli anelli di mare,creando uno spazio sufficiente al passaggio di una trireme per volta da un anello all'altro e ricoprirono questi canali facendone una via sotterranea per le navi;infatti le rive furono innalzate di parecchio sopra il livello dell'acqua.Ora, la più grande delle zone-cui si poteva accedere dal mare tramite questo passaggio-aveva una larghezza di tre stadi e la zona di terra che veniva dopo era altrettanto larga;ma le due zone successive,l'una d'acqua e l'altra di terra,erano larghe due stadi e quella che circondava l'isola centrale era di uno stadio soltanto.L'isola su cui sorgeva il palazzo aveva un diametro di cinque stadi..."

image L'immagine,ricostruita,di tale descrizione può far pensare ad una sorta di 'labirinto'in cui in marrone sono le aree di terra e in azzurro quelle di acqua.Espandendo le aree di terra e aggiungendo il grande canale che secondo Platone congiungeva gli anelli al mare,avremmo questa ricostruzione ipotetica: image .Infine potremmo ricostruire l'isola come segue: image in cui nella fascia A avremmo l'anello di terra principale;B=anello di terra minore;C=cittadella;D=porto interno;E=secondo porto;F=Grande porto;G=Canale per il mare;H=Quartiere mercantile-(elaborazione grafica dal sito web "MMM group").Se questa 'ricostruzione'dovesse corrispondere alla reale mappa di Atlantide,la grande distribuzione di questo SIMBOLO-che possiamo assimilare ad un LABIRINTO'-porterebbe alla considerazione che molte civiltà Antiche abbiano avuto legami con essa,se non addiritttura alla conclusione che gli eventuali 'scampati'alla grande catastrofe che la ingoiò, potrebbero essere successivamente approdati in vari continenti e aver 'fondato'una discendenza o aver portato delle conoscenze in quel luogo e fino a quel momento sconosciute dalle popolazioni locali.Il simbolo sarebbe dunque una riminescenza dell'antico splendore e dell'architettura 'sacra' della perduta Atlantide?
Osserviamo,infatti,in questa sede,come il simbolo del labirinto sia stato ritrovato in tutto il globo terrestre. Sul simbolismo del labirinto mi sono soffermata parlando dei labirinti presenti nelle cattedrali. Alcuni esempi:

image Naquane-Capo di Ponte(BS),Italia,Parco delle INCISIONI Rupestri,Roccia n.5(foto originale) e sua schematizzazione image : è l'esatta 'replica'della mappa Atlantidea.Questo 'labirinto'è riferibile all'arte preistorica dei Camuni ed è sovrapposto ad una più labile figura umana.Alcuni studiosi lo hanno associato al repertorio rituale del mondo agricolo,connesso in un certo qual modo al periodo della semina e del raccolto,quindi ai cicli solari.Lo ritroviamo anche nell'arte Etrusca.Allo stato attuale delle conoscenze,restano comunque ancora da spiegare adeguatamente i simboli presenti nell'arte rupestre dei Camuni.
image Kirkcudbright,Inghilterra:incisione presente su un blocco di basalto poco distante dal cerchio di pietre e dal cimitero di cumuli di Cauldside Burn.
image Altri simboli 'labirintici'.
image Ricostruzione del tracciato di pietre sull'isola di Gotland,Svezia.
image Incisione presente du una moneta proveniente da Cnosso,isola di Creta.
image Questo è un simbolo sacro per gli indiani HOPI,una tribù del Pueblo,nel sud-ovest degli Stati Uniti.
image Serie di monete del periodo Cretese(300-100 a.C.)Curiosa l'"evoluzione"della forma circolare in quella quadrata,sempre concentrica e con il medesimo ingresso.
Per non parlare,poi,del simbolismo della "triplice cinta"di epoca più recente,che ho affrontato in altra sezione. Simbolismo che si ripete nella disposizione di mura difensive e di molti edifici nel mondo intero.

image Immagine di un sito archeologico Israelitico databile a 5.000 aa. fa.con costruzioni in cinte concentriche.Perchè si sentiva il bisogno di seguire questo schema architettonico?

IN QUALE EPOCA E DOVE COLLOCARE ATLANTIDE?
Platone parla di 9.000 anni prima,rispetto al tempo in cui sta raccontando la storia.
"In quel tempo quel mare era
navigabile perche' aveva l'isola Atlantide davanti al passaggio
che voi chiamate Colonne d'Ercole*; era un'isola piu' grande che
la Libia e l'Asia** e serviva come passaggio alle altre isole a quelli
che viaggiavano, e da queste parti si poteva raggiungere il
continente, sulla riva opposta di questo mare.
Ora in codesta isola Atlantide, si affermo' un potente regno che
signoreggio' in tutta l'isola e in altre isole e in molte parti del
continente. Questo regno dalla nostra parte comprendeva la
Libia fino all'Egitto e l'Europa fino alla Tirrenia".

*Colonne d'Ercole:si identificano con lo Stretto di Gibilterra,quindi il 'mare' di cui si narra potrebbe essere l' Oceano Atlantico.
**Per 'Asia'dobbiamo comunque considerare la parte che allora era nota,probabilmente il Medio Oriente.

LA STRUTTURA SOCIALE e LA FINE DI ATLANTIDE
Dai racconti pervenutici attraverso Platone,e si noti con che meticolosità ce li descrive(un po' troppo precisi per potersi trattare di pura fantasia!),sappiamo che l'Impero o il Regno Atlantideo-nonostante l'apparente condizione edenica in cui viveva, partecipava a guerre, possedeva una flotta militare immensa e poteva contare su circa 1.200.000 soldati. Tra le altre, Atlantide sostenne una grande guerra contro Atene che riuscì a sconfiggerla.Una cosa sembra impossibile:la civiltà ateniese(di millenni posteriore al 9.000 a.C.) non può essere contemporanea a quella Atlantidea.Può esssere che una simile civiltà fosse sopravvissuta per tutto quel tempo e ne restassero dei 'brandelli'sparsi qua e là?
"... cerco' d'un solo balzo di asservire il vostro territorio, il
nostro e e tutti quelli che si trovano in questa parte del mondo.
E allora, o Solone, la potenza della vostra citta' fece risplendere
agli occhi tutto il suo eroismo e la sua forza. Poiche' essa l'ebbe
vinta su tutte le altre per la forza d'animo e per arte militare.
Prima a capo degli Elleni, poi sola, perche' abbandonata dagli
altri stati, Atene (...) vinse gli invasori, innalzo' trofei, preservo'
dalla schiavitu' quelli che non erano mai stati schiavi e (...) libero'
tutti gli altri popoli e noi stessi che abitiamo all'interno delle
colonne d'Ercole".

Intanto Zeus
"...vedendo la depravazione nel quale é caduto un popolo cosi'
nobile e decidendo di punirlo (...) aduna tutti gli déi (...) Avendoli
riuniti disse loro...".

Arriva una punizione,dunque, sottoforma di un terribile cataclisma, atto a far 'cadere'l'intera civiltà Atlantidea. Questa 'caduta'è vista esotericamente come la caduta dell'Uomo nella materialità,vinto dai suoi stessi istinti che lo hanno portato ad allontanrasi dalla propria spiritualità e dalla sua condizione divina,paradisiaca.Un paragone può essere visto con la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre.
Cosa disse Zeus al 'conclave'degli dei che aveva riunito, non ci è dato sapere,ma Platone ci tramanda, nelle "Leggi" : ".....un tempo vi furono grandi mortalità, causate da inondazioni e da altre generali calamità, dalle quali ben pochi uomini riuscirono a salvarsi. Ed è ovvio pensare che, essendo state le città completamente rase da tale distruzione, gran parte della loro civiltà fu con esse seppellita sotto le acque, ed è occorso lunghissimo tempo per ritrovarne la traccia, e cioè non meno di parecchie migliaia di anni". E nello specifico caso di Atlantide,nel Crizia torna a dire:
" In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [...] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve ".


CAUSE PROBABILI DELLA SCOMPARSA DI ATLANTIDE
Platone narra così l'evento che gli viene raccontato:"... vi furono degli spaventosi terremoti e dei cataclismi. Nello
spazio di un giorno e di una sola terribile notte, la vostra armata
fu inghiottita d'un sol colpo e anche (...) l'Atlantide si inabisso' nel
mare e scomparve. Ecco perche' ancora oggi quell'oceano (...) é
difficile e inesplorabile per l'ostacolo dei fondi melmosi e bassi
che l'isola inabissandosi vi ha formati."

Dovremmo prima accertare dove situare Atlantide per poter fare delle ipotesi,comunque recenti indagini hanno permesso di capire che esisteva una grande civiltà nell'isola di Thera(Santorini),che poi scomparve a seguito di un immane cataclisma,nel 1400 a.C.circa. image Come epoca siamo fuori,per collegarla ad Atlantide,a meno che si possa ammettere un errore di datazione da parte di Platone ma -d'altra parte- la sua estensione era troppo vasta per poter essere 'contenuta'nei limiti di questa area geografica dell'EGEO.Ma Platone fornisce alcune enigmatiche 'indicazioni':egli poneva l’Atlantide nell’Atlantico ma nello stesso tempo diceva che essa era governata da Poseidone e da Eracle, entrambi decisamente associati all’Egeo, non all’Atlantico. Ciò ha permesso agli studiosi di pensare che potrebbe esserci stata davvero un’isola egea che scomparve, e quest’isola avrebbe potuto essere Thera.Inoltre,da alcuni studi condotti sulle rovine dell'isola greca,si è potuto confrontare il profilo verticale basato su carte idrografiche con la ricostruzione che si ottiene seguendo le indicazioni di Platone e si è osservato il medesimo schema alterno di terra ed acqua.
L'eruzione vulcanica di Thera potrebbe essere collegata alla registrazione da parte Egiziana di un evento accaduto nello stesso periodo,in cui vi fu "Oscurità prolungata,inondazioni e tuoni".La scomparsa di Thera avrebbe portato alla scomparsa della civiltà minoica,la cui fine è ancora un mistero e aver favorito lo sviluppo di quella micenea.
Potrebbe essere stato l'impatto con un corpo celeste,tipo un meteorite,un asteroide o frammenti di cometa.A tale proposito vi rimando ad una ricerca sull'argomento al link http://dariosoldani.interfree.it/atlantide/tectiti.htm
NEL MONDO INTERO si ritrovano tracce di una civiltà antidiluviana
Esistono,sparsi per il nostro pianeta,molti indizi che ci parlano di una civiltà 'antecedente'a quelle che la Scienza Ufficiale è disposta ad ammettere,facendo risalire l'inizio della Storia(ovvero l'uscita dalla PREISTORIA)nel 3.000 a.C., facendo coincidere tale datazione con l' "invenzione" della scrittura. Nonostante molti dati inducano,per non dire impongano, di riflettere e analizzare la situazione, gli Studiosi Accademici preferiscono ignorarli e continuare a scrivere (soprattutto nei testi scolastici) nozioni che non sento di condividere in molti punti.I famosi 'Oggetti fuori posto" esistono,non si può e non si deve ignorarli facendo finta che siano tutti grosse 'bufale' da relegare nel teatro dell'impossibile,quindi dell'insesitente.Non concepisco il pensiero Ufficiale,secondo il quale se un reperto è 'inclassificabile',ovvero non rientra in alcuna delle caselle della storia umana che hanno già scritto anzitempo,non debba essere importante.Anche fosse un solo esemplare,quel reperto c'è! E perchè c'è,se in quel momento non avrebbe dovuto esserci,se la 'tecnologia'di quel periodo -ci dicono- era ferma a determinati livelli? Mistero!
L'importante è porsi sempre domande,di fronte agli anacronismi che ci paiono 'fuori posto'.
Esse ci porteranno ad approfondire aspetti che non sospettavamo neppure.Oggi,con i moderni mezzi di esplorazione tecnologici,stiamo assistendo a fatti interessanti:l'individuazione di strutture sommerse sparse nelle acque dell'intero globo!
Viene spontaneo domandarsi:quante "Atlantidi"sono esistite?
Non sempre ciò che si ritrova è una prova attendibile,anzi nessuno esclude che l'analisi scientifica sia necessaria per attribuire ad un reperto la giusta importanza.Qui cercherò soltanto di mettere in rilievo alcune delle attuali zone che vengono scandagliate con i sonar e con le immersioni(dove possibile)e che vengono rese pubbliche.Anche i più 'prevenuti'non potranno astenersi dal porsi alcune inevitabili domande!
Una città sommersa al largo di CUBA.Il 14 maggio 2001 veniva data notizia dalla d.ssa Paulina Zelitsky(presidente della Compagnia candese 'Advanced Digital Communications(ADC)'che era stata scoperta una città sommersa al largo delle coste occidentali di Cuba,nel Mar dei Caraibi. image Osservazioni compiute con:

-satellite;sonar alta precisione a scansione laterale a doppia frequenza;-robot telecomandati a distanza;sistemi di perlustrazione marini.

Rilevazione:strutture 'somiglianti a piramidi,strade ed edifici,un centro urbano composto da architetture simmetriche.Chiaramente forme create da mano umana".Profondità:700/800 m.Periodo cui si fa risalire:pre-classico della storia dell'America Centrale.Sembra che tali strutture si trovino in una faglia poco distante da un vulcano inattivo,di alcune faglie geologiche e dal letto di un fiume.La struttura è alta circa 40 metri,chiaramente un tempo doveva essere emersa.Le 'piramidi'ricordano.dice la dott-ssa.quelle della civiltà di Teotihuacan,nello Yucatan.L'area occuperebbe un'estensione di 10 Kmq:se fosse naturale,rappresenterebbe una formazione geologica unica al mondo.Studi sono in corso.
image (fregio Maya raffigurante il 'Diluvio'e il vulcano in eruzione;un indigeno si allontana con una imbarcazione).
BIMINI:nel 1968 vennero individuate rovine megalitiche al largo di Bimini,non lontano da Cuba,tra l'Arcipelago Caraibico e le coste della Florida.Ciò fece raddrizzare sui loro scranni tutti gli studiosi e gli appassionati della mitica Atlantide,anche se con la localizzazione che ne offre Platone saremmo ben lontani.Profondità:6 metri sotto la superficie del mare.
Si estendono per oltre 600 metri in lunghezza e la caratteristica è che sembrano formare una strada,la "Strada di Bimini" conosciuta anche come 'Muraglia'.
image Qui si vede un blocco portato in superficie recentemente da Frank Joseph,che ha esplorato direttamente il sito sottomarino.Si noti come la squadratura rende quasi impossibile l'ipotesi di una formazione naturale.
Le descrizioni fatte da Platone ne escluderebbero il collegamento con Atlantide.Allora di cosa potrebbe trattarsi?
A soli 5 metri di profondità si trovano interessantissimi resti di colonne di Marmo di Carrara!Come e quando è arrivato fin lì? Non è stata data ancora fornita una risposta.
Nella 'mappa di Piri Reis',del 1513,è segnata(tra le altre cose che vedremo in un'apposita sezione) una grande isola-al centro dell'arcipelago delle Bahamas-che al centro presenta grossi blocchi disposti in fila,alcuni dei quali si trovano anche sulla linea costiera orientale.
image Ma oggi quest'isola non esiste più...i casi ipotizzabili sono due:o a quell'epoca i mari erano ad un livello più basso e quindi quell'isola era una terra emersa,oppure il turco copiò-come si presumo-la mappa da una ben più antica,risalente ad un tempo in cui quell'isola esisteva(ma quando?)e,in seguito,venne inghiottita dalle acque.
GOLFO DI CAMBAY,INDIA
image Grafico i cui picchi rivelano la presenza di mura a distanza regolare.Il 1° luglio 2001 ricercatori dell'isituto nazionale di Tecnologia Oceanica(NIOT) hanno individuato,con il sonar,casualmente durante rilevamenti per l'inquinamento,a 40 metri di profondità tracce inconfutabili di una serie di strutture che sembravano non di origine naturale.Successivamente si capì che la struttura poteva riferirsi ad un centro urbano,anzi due per l'esattezza che aveva chiare similitudini con la tipologia insediativa della cultura di Harappa,con la differenza che 'quelle'erano più vecchie di almeno 2.500 anni!Le strutture si estendono per circa 18 Kmq e accanto ad esse,per circa 9 Km,si nota il profilo del letto di un fiume.Gli studiosi accademici sono scettici(quando non lo sono?).Ulteriori studi sono in corso.
YONAGUNI,Mar della Cina image strutture piramidali levigate e squadrate
LANZAROTE,NELLE ISOLE CANARIE,SPAGNA image il ricercatore Pippo Castellano nel 1981 ha fatto una scoperta casuale ma sensazionale;in questa foto vediamo una strutture 'a camera'.A 22 metri di profondità giace una scala realizzata nel basalto vivo e altre si trovano a profondità diverse.
Al largo di MALTA,strade e ponti giacciono sott'acqua in attesa di nuove indagini. image
E'stato inoltre ipotizzato un possibile collocamento di Atlantide in ANTARTIDE:il cataclisma avrebbe potuto essere contemporaneo ad uno slittamento dei continenti e dei poli,quindi l'isola avrebbe potuto ritrovarsi completamente ricoperta di ghiaccio e ora introvabile.Tre,cinque chilometri di spessore separano,però,l'Uomo dal suolo Antartico e questo è un limite invalicabile per poter accertare,per ora,qualcosa in merito.
E molte altre ancora,oltre quelle 'tracce'che sicuramente giacciono,ancora dimenticate e mute,sul fondo di tutti i mari del globo.Ma l'Atlantide di Platone dov'è? Forse un luogo dove ognuno di noi possa ritrovare la parte 'perfetta'di sè stesso.
Segnalo la presenza,anche in Italia,di reperti 'anomali'ancora poco conosciuti e poco indagati.
Ricordiamo le strutture sommerse di Capocolonna,in Calabria:blocchi di marmo semilavorato, giganteschi, coperti dall'acqua.Resta un mistero come abbiano potuto essere trasportati.In epoca Romana navi così grandi erano impossibili da manovrare e si pensi che la nave più grande costruita sotto NERONE giace sotto il porto di Fiumicino:essa non ha mai galleggiato bene per la sua stazza,pertanto venne riempita di sabbia e la trasformarono in un pontile!A Capocolonna si trovano,sui fondali,blocchi pesanti tonnellate e un mezzo di trasporto adatto allo scopo,in epoca Romana,non esisteva!Ammettendo pure che prima quelle colonne erano fuori dalle acque,che sono molto basse tra l'altro,e costituissero un complesso archeologico,"non si spiega comunque come siano stati portati in loco"(stralcio da un'intervista rilasciata da Pippo Castellano,su "Hera"n.19-Luglio 2001),assemblati,in qualche modo e poi-a causa di un evento imprecisato-sepolti sott'acqua.
Le notizie più recenti sconvolgerebbero la 'geografia'fin'ora accettata,spostando le 'colonne d'Ercole' in Italia! Ecco un articolo al riguardo:
"Atlantide in Sardegna: possibile...
Su Atlantide si è scritto di tutto e si sono fatte le ipotesi più diverse su dove ubicare il mitico continente scomparso: Canarie, Azzorre, Creta, Santorini, Caraibi, Yucatan, Oman. A queste teorie se ne aggiunge ora una suggestiva. Assodato che, ovunque fosse, Atlantide si trovava al di là delle colonne d'Ercole, per qualcuno queste colonne non coincidevano, come da sempre si è pensato, con lo stretto di Gibilterra.
Secondo la teoria illustrata dall'archeologo Sergio Frau nel libro "Le colonne d'Ercole, un'inchiesta", il limite estremo del mondo antico andrebbe spostato dalla strozzatura tra Spagna e Marocco al più prossimo canale di Sicilia. Una considerazione che darebbe ad Atlantide i confini noti e rassicuranti della Sardegna, l'isola più grande al di là del canale.
L'idea da cui nasce lo spostamento delle colonne, è semplice; secondo i racconti dei navigatori riportati nella letteratura antica, lo stretto posto agli estremi della Terra avrebbe fondali bassi e limacciosi (come il canale di Sicilia), costellati di secche sulle quali venivano sbattute le navi. Lo stretto di Gibilterra ha invece fondali profondi, una contraddizione palese con quanto riportato dalle fonti.
Ma perché la Sardegna e non, poniamo, le Baleari? Il mito parla di Atlantide come di una terra che dava tre raccolti all'anno (in Sardegna è possibile) e che, tra le sue peculiarità, era cinta da mura di ferro (l'isola è ricca di giacimenti di metallo). Se si considera inoltre che i fondatori della civiltà nuragica potrebbero avere legami di "parentela" con i Fenici, navigatori e alimentatori del mito di Atlantide, si ha un elemento in più per sostenere la teoria.
La parola spetta ora alla geologia: scavi e rilievi da effettuare nel Campidano, in prossimità di insediamenti nuragici coperti da una spessa fanghiglia, potranno dire se quest'ultima è di origine marina, se generata cioè da un enorme maremoto che, in epoca antica, avrebbe sconvolto la geografia dell'isola, magari facendone sprofondare una parte. E avremmo Atlantide a Porto Cervo."
16 agosto 2002 (di Davide Passoni)
FONTE




Ecco cosa dice il CICAP a proposito di Atlantide:
Il primo a parlare di Atlantide fu Platone, nel Timeo, dove si racconta di una discussione tra Socrate, Timeo, Ermocrate e Crizia che, viene detto, ebbe luogo nel 421 a.C. ad Atene. Il dialogo prende le mosse da un altro dialogo, avvenuto il giorno precedente, riguardante la natura dello Stato ideale, e parla di come Solone, durante un suo viaggio in Egitto, venne a conoscenza di una guerra combattuta molto tempo prima tra gli antenati degli attuali ateniesi e, appunto, gli atlantidei, abitanti di una grande isola-continente situata oltre lo stretto di Gibilterra.
Secondo i sacerdoti egiziani che riferirono la storia a Solone, Atlantide sarebbe stata una monarchia molto potente e con tendenze espansioniste, che governava, oltre al continente omonimo, anche una vasta parte dei territori africani ed europei fino all'Egitto e all'Italia. Le sue mire vennero fermate appunto nel corso della guerra con Atene, dopo la quale si verificò un immenso cataclisma che distrusse l'esercito ateniese e fece inabissare in un solo giorno il continente in mare.
La storia viene ripresa più in dettaglio nel Crizia, il dialogo successivo, dove si colloca temporalmente a novemila anni prima di Solone la guerra e si descrive più in dettaglio Atlantide, la sua immensa potenza e ricchezza e la storia delle sue origini. Qui si specifica l'origine divina della monarchia che reggeva l'isola, essendo questa divisa in dieci zone ciascuna retta da un figlio di Poseidone e dai loro discendenti. Inizialmente questi governarono avvedutamente, ma poi a causa della forzata convivenza tra i mortali la loro saggezza venne meno fino a quando Poseidone decise di rimediare alla situazione. Il dialogo attualmente in nostro possesso si interrompe proprio in questo punto, probabilmente perché Platone non lo completò.
La veridicità del racconto di Platone venne negata dal suo allievo Aristotele, ma altri nell'antichità lo accettarono come un fatto storico, dando di fatto inizio a un dibattito che continua tuttora. Sostanzialmente le prime novità oltre ai dialoghi platonici iniziarono a comparire nella prima metà del XVI secolo, quando si cominciò a parlare di un'origine atlantidea delle civiltà americane appena scoperte.
Nel XIX secolo poi, l'abate fiammingo Charles Brasseur tentò una traduzione di uno dei pochi codici Maya sopravvissuti alla distruzione a opera dei colonizzatori spagnoli. Ne venne fuori la sorprendente descrizione di un grande cataclisma molto simile nel periodo e nello svolgimento a quello raccontato da Platone nei suoi dialoghi. Per inciso, Brasseur indica con Mu il nome di questo continente, sostenendo che si tratti della denominazione Maya per Atlantide. Attraverso successive modifiche si giunse all'interpretazione di James Churchward, nella prima metà del Novecento, che collocò Mu nell'Oceano Pacifico e immaginò Atlantide come una sua colonia. Successivamente le due vennero interpretate come civiltà distinte.
L'interpretazione di Brasseur fu modificata e ampliata da Ignatius Donnely che nel 1882 pubblicò il libro Atlantis: The Antediluvian World. In esso si cerca di fornire le prove che questa civiltà, scomparsa in seguito al noto cataclisma, sia stata all'origine delle successive civiltà umane e dei loro miti riguardanti un'epoca prospera e felice interrotta all'improvviso da un diluvio.
Donnely porta a sostegno della sua teoria una serie di prove nei più disparati campi. Oltre a riprendere e ampliare le argomentazioni basate sulle somiglianze linguistiche tra l'America e vari idiomi del vecchio continente, usa anche indizi di tipo geologico, citando isole distrutte o emerse in poche ore a causa di terremoti o eruzioni vulcaniche, riferisce inoltre di somiglianze tra la flora e la fauna al di là dell'Atlantico e, infine, cita un'impressionante serie di tradizioni comuni ai diversi popoli dei vari continenti, compresa la presenza pressoché capillare in ogni popolazione di leggende riguardanti un antico diluvio. Questa teoria è stata ripresa più recentemente da altri autori che ipotizzano come causa del cataclisma la caduta di un asteroide sulla Terra. Analizzando le argomentazioni proposte sorgono diversi problemi. Prima di tutto non è affatto improbabile che Platone abbia inventato il racconto di Atlantide a scopo illustrativo, riferendolo nonostante tutto come vero. Questa tecnica narrativa è usata dal filosofo greco in altre occasioni nei suoi dialoghi, e viene esplicitamente teorizzata e giustificata per raggiungere lo scopo dell'autore.
La traduzione di Brasseur del codice Maya, poi, è basata su un'interpretazione errata della scrittura di quel popolo. Si basa infatti sull'ipotesi, fatta nella seconda metà del Cinquecento dall'arcivescovo Diego de Landa, che la scrittura Maya fosse di tipo alfabetico, mentre è stato successivamente dimostrato che è invece in parte sillabica e in parte ideografica. Il testo analizzato in questo modo sembra essere un trattato astrologico.
Anche gli indizi costruiti a partire dalle somiglianze di lingue, fauna e flora risultano non essere consistenti, ma la parte più carente della teoria sta proprio nelle prove geologiche. Attualmente non siamo a conoscenza di meccanismi che possano far sprofondare in tempi non geologici estensioni di terra grandi come continenti. Tutti gli esempi che abbiamo si riferiscono a dimensioni molto più modeste, di non più di cento chilometri quadrati. Atlantide è stata poi collocata nei posti più diversi del globo, ma da nessuna parte se ne riesce a trovare uno che non cozzi contro la teoria della deriva dei continenti o con altre prove geologiche. L'ultimo punto, e più significativo, riguarda le ricerche fatte nei fondali oceanici. Questi ultimi sono, infatti, composti soprattutto di basalto, mentre al contrario i continenti sono caratterizzati da una netta prevalenza di rocce granitiche. Una vasta massa continentale quindi dovrebbe poter essere facilmente individuabile dalla sua composizione geologica, ma nonostante tutti i rilevamenti fatti non si è trovata nessuna zona con caratteristiche compatibili con quelle di un continente. Un'interessante teoria proposta nella prima metà di questo secolo ipotizza invece uno scenario completamente diverso. In sintesi essa afferma che la leggenda di Atlantide non sarebbe altro che la memoria, deformata e ingigantita dalla tradizione orale e da errori d'interpretazione, della rovina della civiltà cretese, che avvenne attorno al 1450 a.C. in circostanze tutt'ora non ben chiarite. Essa sarebbe stata causata dall'esplosione del vulcano dell'isola di Tera (l'attuale Santorini) a circa cento chilometri dalle coste cretesi. Il cataclisma provocò il parziale sprofondamento dell'isola e giganteschi terremoti e maremoti nei suoi dintorni che, abbattendosi su Creta, causarono le distruzioni che possiamo osservare e la prematura scomparsa di questa civiltà.
Quest'ipotesi, benché interessante, presenta delle difficoltà che appaiono difficili da superare, e che sono legate ad una discrepanza di alcuni decenni tra l'eruzione e le distruzioni che sconvolsero Creta, a quanto effettivamente possa essere stato devastante l'effetto dei maremoti, e al fatto che questi difficilmente avrebbero potuto raggiungere con sufficiente violenza tutte le località costiere.





Alla ricerca di Atlantide
di Francesco Santoianni
Pubblicato su Newton n. 8 Febbraio 1998


Alla ricerca di Atlantide
Fu nel maggio 1969 che il mondo ebbe notizia del ritrovamento delle vestigia di Atlantide. Nei fondali di Bimini, presso l’arcipelago delle Bahamas, l’archeologo Manson Valentine aveva identificato quella che pareva essere una strada; costituita da enormi blocchi di roccia, perfettamente incastrati, correva rialzata sul fondo sabbioso per qualche centinaia di metri ed era simile ad un saché la strada cerimoniale dei Maya. Ancora oggi, gli accademici sono divisi sulla interpretazione da dare a quei resti. Secondo alcuni, sarebbe una, pur inconsueta, formazione geologica; secondo altri, la testimonianza di una civiltà estremamente progredita dal punto di vista tecnologico: Atlantide
<<un tempo (…) al di là di quello stretto che voi chiamate le "Colonne d'Ercole" si trovava un isola, più grande dell'Asia e della Libia messe insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. (…) Quest'isola di nome Atlantide (…), nel giro di un giorno e di una notte terribili, scomparve negli abissi.>> I frammenti del testo di Platone, (scritto attorno al 340 a.C., e che riporta una storia tramandata da Solone, il quale, a sua volta, l'aveva appresa da sacerdoti egizi), così come sono giunti a noi, occupano meno di 20 pagine stampate; eppure, fino a oggi, sono più di 25.000 i libri nei quali si cerca di decifrare il mistero di Atlantide e della catastrofe che ne avrebbe provocato la scomparsa.
Le ipotesi sono le più diverse: Atlantide sarebbe da localizzarsi in Svezia, secondo Olaus Rudbeck; in Sudafrica, secondo Gaspar Kirchmair; nel Mar Glaciale Artico, secondo Silvain Bailly; in Armenia, secondo Desliles de Sale; al largo di Cadice, secondo Adolf Schulten; a Ceylon, secondo Byron de Prorock; nell’isola di Santorini, secondo Angelos Galanopulos… Altrettanto numerose sono le ipotesi sulla sua scomparsa: una immane eruzione vulcanica, un maremoto, l’impatto di un meteorite, un attacco militare, addirittura una esplosione nucleare…. Secondo altri, invece – primo tra tutti, Aristotele – il racconto di Atlantide sarebbe una invenzione di Platone, o un’esagerazione determinata da una cattiva traduzione del testo.
L'interesse del mondo scientifico per Atlantide risale al 1898: durante la posa di una linea telegrafica, uno dei cavi, deposto a 2.800 metri di profondità su un fondale dell'Atlantico, da allora chiamato Platea del Telegrafo, si spezzò. Le sue estremità furono fortunosamente recuperate dall'abisso con particolari attrezzature che portarono in superficie anche una strana roccia. Qualche anno più tardi, Paul Tremier, direttore dell'Istituto Oceanografico di Francia, tenne a Parigi una conferenza che fece scalpore: quella roccia era di chiara origine vulcanica ma aveva una particolarità: non si era solidificata in acque profonde bensì all'aria aperta; doveva provenire, cioè, da un vulcano con uno sbocco al di sopra del livello del mare. Essa, inoltre, aveva bordi taglienti, non ancora smussati dall'erosione marina: analizzandone il profilo, Tremier stimò che non dovesse avere più di 15.000 anni. Ulteriori prelievi sottomarini confermarono che lo stesso tipo di roccia era presente in un area vastissima di quei fondali atlantici.
Era questa la prova dell’inabissamento di Atlantide? Le congetture si sprecarono. Di certo, l’improvvisa scomparsa, - avvenuta, secondo Platone, intorno al 9000 a.C. - di un continente poteva spiegare tutta una serie di eventi quali, ad esempio, la fine della glaciazione in Europa (non trovando più un ostacolo nel continente perduto la calda corrente del Golfo avrebbe raggiunto le coste atlantiche europee determinando il progressivo scioglimento dei ghiacci) o la periodica migrazione delle anguille verso il Mare dei Sargassi (dove un tempo lontano avrebbe potuto trovarsi l'estuario di un grande fiume) e tutta una serie di affinità mitologiche, linguistiche e architettoniche che legano le due sponde dell’Atlantico. Ben presto il mondo accademico si divise clamorosamente tra chi asseriva che si era finalmente trovata la prova scientifica dell'inabissamento di Atlantide e chi, invece, sosteneva che quelle rocce magmatiche provenivano dalle coste islandesi, inglobate da iceberg che si erano poi sciolti. La polemica si stava sedando, quando trivellazioni effettuate, a sud delle Azzorre, dalla nave oceanografica Gauss nella cosiddetta "Fossa di Romanche", ad una profondità di 7.300 metri, rivelarono la presenza di strati di argilla rossa contenenti numerosi fossili di globigerine: protozoi microscopici che normalmente vivono in profondità comprese tra i 2.000 e 4.500 metri. A rigor di logica, quindi, quello strato di sedimenti argillosi doveva essere sprofondato, in un'epoca relativamente recente, di almeno 2.800 metri: lo stesso valore trovato da Paul Tremier per la Platea del Telegrafo.
A raffreddare gli entusiasmi provvidero, comunque, i geologi i quali fecero notare che una massa continentale come quella descritta da Platone (lunga 550 chilometri e larga 370) non poteva certo scomparire in una notte nell’oceano. Certamente, isole vulcaniche possono improvvisamente affiorare e subito dopo scomparire (nel 1931, due isole al largo del Brasile apparvero improvvisamente e si inabissarono l’anno dopo mentre le diplomazie internazionali erano già all'opera per rivendicare diritti territoriali) ma neanche la più violenta tra le eruzioni, almeno come oggi le conosciamo, avrebbe potuto provocare la catastrofe narrataci da Platone. Bisognava, dunque, spingersi più in là con la fantasia, e immaginare un qualcosa di ancora più sconvolgente: ad esempio, l'impatto di un asteroide che, squarciando la dorsale atlantica, avrebbe fatto scomparire Atlantide nel sottostante mare di fuoco e, provocato su scala planetaria tutta una serie di catastrofi, come il Diluvio.
È legittima questa ipotesi? Si, secondo Immanuel Velikovsky, un controverso studioso che ha cercato di spiegare la scomparsa di Atlantide e tutta una serie di mitologie alla luce di catastrofi di origine cosmica. Assolutamente no, per il mondo scientifico. Con una eccezione: il prof. Robert W. Bass, astrofisico, che ha rifatto le bucce alle oramai famose confutazioni delle teorie di Velikovsky, portate avanti da Carl Sagan e Isac Asimov, dimostrando che, dati alla mano, alcune ipotesi portate da Velikovsky non possono essere scartate a priori.
Intanto nell’oceano atlantico, tra il dileggio del mondo accademico, si susseguono le spedizioni per ritrovare Atlantide. L’ultima, capitanata dal caparbio Boris Asturua, avrebbe identificato, a 400 miglia al largo del Portogallo, una serie di manufatti architettonici che, comunque, la quasi totalità degli archeologi interpellati continua a ritenere banali formazioni vulcaniche. Prima di lui, un altro ricercatore, Maxine Asher, aveva avuto la stessa risposta per una serie di "piramidi" sottomarine, localizzate un centinaio di chilometri al largo dello Yucatàn. All’ostracismo degli scienziati, gli "atlantologi" ribattono che anche Heinrich Schliemann, era considerato un pazzo quando, nel 1870 cominciò a scavare la collina di Hissarlik, nella Turchia nordoccidentale, per cercare le rovine di Troia. E, intanto, si susseguono le spedizioni: la prossima, diretta da tale Ugo Forsberg, esplorerà, nel settembre 1998, i fondali al largo del Marocco. La ricerca di Atlantide continua.

Non è Atlantide
La fama di Santorini, l’antica Thera, un’isola nell’arcipelago delle Cicladi, come dimora di Atlantide risale agli anni Settanta quando l’analisi con il radiocarbonio di un tronco rinvenuto sepolto nella cenere vulcanica, fece risalire al 1456 a.C. la catastrofica eruzione che aveva distrutto l’isola. Questa data collimava con quella espressa nel 1956 da Angelos Galanopoulos: analizzando alcuni episodi riportati dalla Bibbia (i "tre giorni di buio", per esempio, i terremoti, o la divisione delle acque del Mar Rosso), il geologo greco era giunto alla conclusione che nel 1456 a.C. una colossale esplosione vulcanica aveva interessato tutto il Mediteranno orientale e aveva generato il mito di Atlantide. Secondo Galanopulos, infatti, nelle numerose trascrizioni del testo di Platone si era verificato un errore che aveva moltiplicato per dieci le cifre originariamente riportate: l'area di Atlantide, quindi, finiva per identificarsi con quella di Thera e, leggendo 900 anni al posto di 9000 anni, anche il periodo della scomparsa di Atlantide finiva per coincidere con l'epoca dell'eruzione che aveva distrutto l'isola.
A dare ulteriore autorevolezza a questa ipotesi, venne il ritrovamento, a Santorini, di un misterioso affresco che giaceva sotto strati di cenere vulcanica: esso raffigura un'isola, verde di piante e di colture, ricca di animali, popolata da una civiltà ricca, con sfarzose città e un intenso traffico di navi, attraversata da corsi d'acqua concentrici. È un’immagine che ricorda molto la descrizione che Platone fa di Atlantide: ordinata in cerchi concentrici nei quali si alternavano i canali del porto e le strade che costeggiano sontuosi palazzi, ricca di commerci, e fiorente per la natura amica. Nel 1973, la geologa Dorothy Vitaliano sottolineò come la topografia di Atlantide descritta da Platone si adattasse perfettamente a quella che doveva essere la conformazione di Thera: una caldera creatasi a seguito di un'eruzione vulcanica di molti secoli prima.
Finalmente i tasselli del mosaico di Atlantide cominciavano a delineare un'ipotesi convincente: la distruzione di Thera, principale base navale dell'impero minoico, e il conseguente maremoto che si era abbattuto su Creta e sulle coste del Mediterraneo centro-orientale, aveva determinato dapprima il declino poi la scomparsa della civiltà minoica e della sua supremazia sul Mediterraneo, e la conseguente ascesa di Micene. Quest'evento vulcanico sconvolgente, avrebbe dato origine, insieme al mito di Giasone e del Minotauro, alla leggenda narrata da Platone, e a quelle citate nella Bibbia.
Va da sé che i fautori del continente perduto nell'Atlantico contestano vivacemente l'identificazione di Atlantide con Thera. Le loro argomentazioni sono molte e, in qualche caso, convincenti. La principale è che la localizzazione nel Mediterraneo del continente perduto - ipotesi che degraderebbe Atlantide al rango di una banale isoletta - giustificata secondo il mondo accademico dal fatto che Platone poneva quella terra sotto la protezione di Poseidone ed Eracle (divinità associate all'Egeo), non risulterebbe credibile; come improponibile sarebbe la pretesa di ridurre a un decimo le cifre riportate da Platone per far coincidere, a tutti i costi, la data dell'eruzione con quella dell'Esodo dall'Egitto, un avvenimento che, tra l'altro, secondo recenti ricerche, avrebbe avuto luogo non già nel 1470 a.C. bensì 150 anni prima. Tra l’altro la stessa dinamica dell'eruzione di Thera, così come viene documentata dagli scavi archeologici, escluderebbe quella repentinità della catastrofe tramandataci da Platone: nelle case riportate alla luce a Santorini, ad esempio, non si sono trovati resti umani, nessun gioiello né altri oggetti di valore: come se gli abitanti avessero avuto tutto il tempo di raccogliere i loro beni prima di fuggire.
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jasmine23
view post Posted on 21/7/2007, 13:55




La leggenda di Atlantide

<<innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d'Ercole, c'era un isola. E quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. [..] In tempi posteriori [..], essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [..] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve>>.

Platone, "Timeo"


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Atlantide, il cui nome deriva da Atlante, il mitico gigante che reggeva il Mondo sulle spalle e che governava l'oceano, era un ipotetico grandissimo continente sprofondato, migliaia e migliaia di anni fa, al di là delle colonne d'Ercole, nelle acque dell'attuale Oceano Atlantico.
La scienza ufficiale dichiara che non c'è alcuna prova che sia esistito un continente oltre lo stretto di Gibilterra. Ma la geologia e la paleontologia, studiando la somiglianza tra le razze animali e la flora del nuovo e dell'antico mondo, hanno ipotizzato che tra il Cambrico e il Cretacico fosse emerso nell'Oceano Atlantico un continente intermedio, servito da ponte naturale. Esso occupava la zona corrispondente oggi alla Groenlandia, all'Islanda, alle Azzorre, alle Canarie e a Madeira, in parte considerate, da alcuni ricercatori, come le cime delle montagne della sommersa Atlantide. Altre prove a favore dell'esistenza di Atlantide sono di carattere puramente indiziario: esistono, per esempio, manufatti non inquadrabili come prodotti di civiltà note; vi sono poi i racconti di Platone e c'è, inoltre, una vasta tradizione a proposito di una biblica catastrofe avvenuta in tempi remoti: il diluvio universale. Più recentemente, nel 1898 una nave, nel tentativo di recuperare un cavo che si era spezzato a nord delle Azzorre, portò in superficie frammenti di una lava vetrosa che si forma esclusivamente sopra il livello delle acque e in presenza dell' atmosfera: da qui un'ulteriore conferma all'ipotesi di immensi inabissamenti di isole e forse di interi continenti.
Ammessa (e non concessa) l'esistenza di Atlantide, la sua distruzione potrebbe essere avvenuta intorno a 10.000 anni fa e sarebbe stata determinata da un'immane catastrofe, come un'eruzione vulcanica o la caduta di un asteroide.
Alcuni studiosi di Atlantide pensano che questo continente abbia subito diversi cataclismi (forse quattro) che abbiano fatto inabissare alcune parti dell'isola in diversi periodi. Il primo cataclisma sarebbe avvenuto circa 800.000 anni fa, determinato dal rovesciamento dei poli: esso avrebbe cominciato ad attaccare l'ossatura terrosa di Atlantide che successivamente sarebbe stata spazzata via dalle masse d'acqua provenienti dal nord. Il secondo Cataclisma probabilmente di origine vulcanica, sarebbe avvenuto circa 200.000 anni fa. Il terzo cataclisma, causato all'azione vulcanica, sarebbe avvenuto 80.000 anni fa e avrebbe ridotto Atlantide a due isole: Routo e Daitya. Infine il quarto e ultimo cataclisma avrebbe avuto luogo nell'anno 9.564 a.C., quando stavano sciogliendosi i ghiacci dell'ultima glaciazione e quando Atlantide era già ridotta solo ad un'isola: Poseidone. Essa fu inghiottita e disparve per sempre dalla terra.
Quanto ci sia di vero, e quanto sia completamente frutto della fantasia, nel mito di Atlantide, forse a nessuno sarà mai dato dirlo... Ma la ricerca delle vicende di questa misteriosa terra e della sua progredita civiltà, affascinano ancor oggi e spingono ad intraprendere indagini e studi sempre nuovi.
FONTE





Atlantide: fantasia o realtà?
Ancora una volta alla riscoperta dei dialoghi di Platone
di MICHELE BETTINI
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Ciò che segue è quanto resta di una tesi proposta, circa 20 anni fa, sopra una rivista di fantascienza, da un personaggio, Gianfranco Battisti, che non ho avuto occasione di conoscere. Forse era uno pseudonimo? Certamente era ben documentato e, nonostante mostrasse di aver letto molto, non si faceva vincere dalla tentazione di fare il ciarlatano, brutto vizio in genere di chi si occupa di cose insolite. Il pezzo tuttavia non mostra di essere frutto di qualche seria ricerca ad angolo giro.
«Benché siano molte e grandi le imprese compiute dalla nostra città, una c’è che tutte le supera per grandezza e valore. I nostri libri narrano come voi Ateniesi distruggeste una potente armata che, partita dall’oceano Atlantico, invase insolentemente l’Europa e l’Asia. Questo mare, infatti, era allora navigabile. C’era un’isola situata di fronte allo stretto che voi nella vostra lingua chiamate le colonne d’Ercole. Quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme ed i navigatori potevano allora passare sulle altre isole e dalle isole a tutto il continente opposto… Ora in quest’isola Atlantide si era stabilita una grande e meravigliosa potenza regale che dominava su tutta l’isola e su parecchie altre e su varie parti del continente. Per di più, nei nostri paesi si estendeva nella Libia fino all’Egitto ed in Europa fino alla Tirrenia.»
Con queste parole di Platone nasceva, oltre 2000 anni or sono, uno dei più appassionanti misteri della storia umana: il mistero che permane tutt’oggi non risolto, e vale a ricordare a noi, uomini alle soglie dello spazio, quanto poco sappiamo ancora del nostro stesso pianeta.
Esistette veramente un’isola chiamata Atlantide? Un’isola che fu la culla della prima civiltà, cancellata dal nostro mondo in una sola notte ad opera degli dei irati? E se ciò avvenne, quando fu, e dove? E ancora; esistono prove attendibili di questi avvenimenti?
Sono domande che sembrano destinate a rimanere senza risposta, lasciandoci nell’interrogativo – non certo drammatico, ma comunque affascinante – se prestare fede o meno al filosofo greco, unica fonte diretta di conoscenza sull’argomento. (N.B.: Diciamo unica fonte in assoluto).
Occuparsi dell’Atlantide, è un lavoro poco redditizio. Scarse e dubbie le informazioni, si rischia di coltivare un mito, un’illusione in cui la nostra fantasia eccitata tende a rifugiarsi. Il mito dell’età dell’oro si confonde nella mente con quello del successo personale, della fama immensa che certo premierebbe colui che riuscisse a gettare luce nel buio; e quella che era iniziata come una ricerca scientifica, o pseudo tale, si trasforma non di rado in un lavorio di adepti, iniziati ad un fantastico quanto assurdo culto del passato. È spesso un’attività da visionari, dunque tramandatasi entro conventicole misteriose, e come tale è stata accolta finora dalla scienza ufficiale. Pure questi sognatori devono essere ben molti, se nel solo Nord America esiste ormai tutta una letteratura sull’Atlantide, forte di qualcosa come 100.000 testi! D’accordo, in nessun paese come negli Stati Uniti si è propensi a dar credito ai fenomeni più strani: vi si contano a decine di migliaia i cultori dei cosiddetti «studi fortiani» (così denominati da Charles Fort, il più famoso catalogatore di fatti strani, quali dischi volanti, piogge di rane, ecc.) e non dimentichiamo che la stessa Società Teosofica, la quale fa dell’Atlantide il punto di partenza per una storiografia dell’umanità, in aperto contrasto con le più recenti scoperte scientifiche, fu fondata a New York. Ciononostante, resta il fatto che qualcosa da scrivere si è sempre trovato, e su circostanze non sempre campate in aria, anche se la fantasia degli autori si è presa qualche libertà nel collegarle. Ci sembra quindi che valga la pena di riassumere quel poco di certo che si sa sull’argomento, cercando di giungere ad una conclusione obiettiva, capace di soddisfare, se non il più pignolo degli studiosi, almeno l’uomo della strada.
Perno di tutte le indagini sono i due «dialoghi» di Platone: il Timeo ed il Crizia. Il primo problema da risolvere è quindi l’interpretazione di questi testi, al fine di chiarire cosa l’autore intendesse effettivamente comunicare. Si può infatti credere ad un Platone storiografo, il quale narrasse di fatti antichissimi giunti fortunosamente al suo orecchio. È questa l’opinione che più sollecita il lettore sprovveduto, tanta è la cura posta dall’autore per ancorare alla realtà la sua narrazione (che trabocca letteralmente di nomi, cifre, misure). E si può pensare invece che l’Atlantide costituisca soltanto un abile espediente escogitato dall’autore per esaltare le gesta passate di Atene, sua patria, che stava allora attraversando un periodo di decadenza.
Bianco e nero che sia il nostro verdetto, la chiave dell’enigma sta tutta qui: in entrambi i casi, infatti, Platone deve aver attinto a leggende del suo tempo, ma se dobbiamo dar credito alla seconda interpretazione, i particolari che rendono così avvincente il racconto, risulterebbero frutto di una fertile fantasia, ed il mistero, se di mistero si può ancora parlare, quando di esso rimanga il solo nome di Atlantide, che affiora di tanto in tanto da antichi testi, verrebbe a farsi ancora più fitto. Se il ricordo di questa mitica terra era già confuso 24 secoli or sono, appare anzi ben vana ogni speranza di ritrovarne delle tracce tangibili ai nostri giorni.
Vediamo quindi di «ragionare per assurdo», come fanno i matematici, partendo dall’ipotesi – vera o falsa, ancora non lo sappiamo – che quanto Platone ha scritto corrisponda a realtà. Riepiloghiamo i fatti: nel Timeo, Platone introduce quale interlocutore Crizia; questi narra come Solone, durante un colloquio con un sacerdote egizio (si tratta di fatti risalenti a due secoli prima) abbia appreso la storia di Atlantide. Giunto alla città di Sais, Solone si sarebbe reso conto che i sacerdoti del luogo sapevano molte cose sulla storia passata, spesso ignota alla più recente cultura greca. Per spingerli a parlare, si mise quindi a raccontare quanto di più antico i greci conoscevano, cioè i miti di Niobe (l’Adamo dei greci) e del Diluvio universale, catastrofe da cui si sarebbero salvati, secondo la leggenda, soltanto Deucalione e Pirra.
Tuttavia non v’è certezza del diluvio e non v’è memoria dello stesso presso altri popoli, per esempio i Celti.
All’udire queste storie, uno dei più vecchi sacerdoti si alzò a rispondere che i greci erano un popolo giovane di anima, in quanto non avevano alcuna tradizione veramente antica; lo dimostrava il fatto che essi conservavano memoria di un solo diluvio, mentre vi erano state più volte stragi gigantesche di uomini, avvenute per volontà degli dei… Non appena un popolo raggiunge la civiltà ed apprende le lettere, aggiunse il sacerdote, su di esso si abbatte il diluvio, il quale spazza via ogni cosa e risparmia soltanto gli illetterati. Ciò spiega il fatto che allorquando i superstiti riescono ad edificare un’altra civiltà, il ricordo di quei tragici avvenimenti si sia ormai perduto. Per tale motivo, aggiunse l’egiziano, nemmeno gli ateniesi ricordavano più lo splendore passato della loro città. Secondo quanto tramandavano i libri sacri di Sais, infatti, circa 9 mila anni prima (grosso modo attorno al 9500 a. C. !) Atene avrebbe sconfitto gli atlantidi, salvando dall’invasione Europa ed Asia. Cosa questa che è assai poco credibile, ovvero estremamente improbabile.
«Ma nel tempo che seguì, ebbero luogo grandi terremoti e inondazioni. E in un solo giorno, in una sola notte fatale, tutti i vostri guerrieri furono inghiottiti in una sola volta dalla terra scoperchiata, e l’isola Atlantide disparve sotto il mare.»
Il racconto di Platone continua nel Crizia, dove sono riportati dati più precisi e circostanziati sul continente perduto. Il mitico paese viene presentato come una specie di utopia: abitato da una stirpe discendente da Poseidone (dio del mare); diviso in dieci province rette da altrettanti sovrani che governavano «con saggezza e giustizia». Era una terra meravigliosa sulla quale il filosofo greco ci tramanda notizie circa la conformazione del suolo, l’economia, gli ordinamenti politici e militari, la flotta ed altri argomenti ancora. Accenna pure all’oricalco, il metallo unico al mondo (oggi sconosciuto, tanto che si pensa si trattasse di una lega) che si estraeva dall’isola.
«Ricchi di tutti questi doni che la terra prodigava loro, gli abitanti costruirono templi, palazzi, porte arsenali, e abbellirono la rimanente regione. Fabbricarono ponti per consentire il passaggio tra la reggia e la regione circostante....; l’isola dove si trovava la reggia aveva un diametro di cinque stadi. elevarono muraglie con pietre intagliate di colore bianco, nero, rosso, ottenendo un giocondo gioco cromatico. E rivestirono di bronzo, a guisa di vernice, tutto il percorso del muro della cinta interna e d’oricalco dai riflessi di fuoco quello della stessa acropoli.»
Sulla scorta di codeste pagine, i cultori di studi esoterici si sono lambiccati il cervello per secoli, nel tentativo di dimostrarne la veridicità. Scrive ad esempio il francese Dévigne: «Come il mondo romano fa da ponte, tra il mondo antico e il mondo moderno, così la civiltà atlantica fa da ponte tra la preistoria e le prime civiltà.»
Per codesti ed altri studiosi Atlantide è veramente esistita, ma tutte le loro cosidette «prove» sono discutibili.
Le discipline che si occupano del passato dell’uomo presentano ovviamente molti misteri insoluti. Via via che si indietreggia nel tempo le nostre conoscenze si fanno sempre più scarse e frammentarie, sicché risulta oltremodo difficile, se non impossibile, ottenere un quadro preciso su certi aspetti dell’antichità. La mente generalmente supplisce con la fantasia alla mancanza di informazioni, ed ecco che Atlantide viene definita come una terra posta tra Europa e America e se la sua esistenza venisse provata concretamente condurrebbe alla soluzione di problemi che assillano il mondo della scienza.
Cominciamo col prendere in considerazione i rilievi fisici. Già nelle prime spedizioni oceanografiche effettuate nella seconda metà del secolo scorso si è potuto disegnare una carta dei fondali atlantici. Nella zona centrale questi risultano attraversati da catene di montagne sottomarine, le cui cime più alte emergono tuttora alla superficie e costituiscono gli arcipelaghi delle Azzorre e delle Bermude. Questa grande catena è coperta di detriti vulcanici; sedimenti raccolti in un punto alla profondità di 3000 metri presentano la struttura vetrosa ed amorfa che caratterizza le lave vulcaniche quali si formano alla superficie. Se fossero sgorgate sott’acqua, a causa della enorme pressione esistente a quella profondità, si sarebbero infatti conformate diversamente, assumendo una struttura cristallina e metamorfica. Questo ed altri fatti portano alla conclusione che sul fondo dell’Atlantico potrebbe esistere un continente sommerso, un continente che si estenderebbe a sud delle coste britanniche, fino alle coste dell’Africa, in direzione obliqua rispetto all’America Meridionale.
È un’ipotesi sostenuta in particolare da alcuni studiosi russi. Si afferma che l’esistenza di Atlantide, e non occorre citare le fonti, non è impossibile, né inaccettabile dal punto di vista geologico. Sondaggi effettuati nella parte settentrionale dell’Oceano Atlantico potrebbero rivelare in profondità rovine di edifici ed altri resti di una civiltà antichissima.
FONTE





VESTIGIA DI ATLANTIDE IN GIAPPONE
Aprile 1997. L'équipe di oceanografi diretta dal professor Masaki Kimura, geologo dell'Università Ryukyu di Okinawa, ha scoperto i resti di un'antica civiltà, nelle acque dell'isola Yonagumi.
di Adriano Forgione

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Posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa.
Le costruzioni, di enormi dimensioni, hanno suscitato eccitazione e sgomento nella comunità archeologica internazionale. Le caratteristiche architettoniche di quella che può essere considerata una colossale struttura, di grandezza paragonabile a quella della piramide di Cheope, sono accostabili alle costruzioni mesopotamiche chiamate "Ziggurat", piramidi a gradoni, tipiche dell'area medio-orientale. Non possono quindi essere associate a niente che abbia a che fare con le culture nipponica e cinese a noi note. In precedenza nessuno aveva fatto caso alla presenza di queste costruzioni ed il professar Kimura è stato il primo ad aver capito che la struttura non era opera della natura, bensì dell'uomo. Inoltre, nella stessa zona, ritrovamenti di altre costruzioni si sono aggiunti alla scoperta principale, a conferma che, sommerso a poche decine di metri sotto la superficie marina, un intero complesso architettonico era in attesa di essere scoperto e fornire una nuova chiave di lettura alla storia della civiltà orientale e mondiale. Al sito sottomarino si sono interessati anche il geologo Robert Schoch e l'egittologo John Antony West, sostenitori dell'esistenza di Atlantide e consulenti per gli approfonditi studi di Robert Bauval e Graham Hancock, che hanno considerato la struttura opera della natura. Ma Kimura ha replicato a queste affermazioni. "Se i gradoni fossero il risultato dell'erosione causata dalle correnti marine - ha dichiarato Kimura - lo stesso fenomeno sarebbe leggibile anche sulle rocce circostanti. La scoperta di ciò che sembra essere una strada che cinge l'intero complesso, conferma che è solo opera dell’uomo". Dopo che le immagini del luogo sono state divulgate, Schoch e West hanno dovuto ammettere il loro errore.

UNA PIRAMIDE DI 10.000 ANNI FA

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Una certa agitazione regna fra gli studiosi giapponesi, in quanto le analisi e gli studi sembrano confermare che il complesso sottomarino di Ryukyu ha strette relazioni con le rovine precolombiane ed egiziane.
Forse si trattava di un sito religioso e cerimoniale che non ha corrispondenze con nessun'altra architettura sacra dell'estremo Oriente e che si lega invece a siti archeologici presenti in altre parti del mondo. In particolare, l'intero complesso sottomarino come progetto architettonico è sorprendentemente simile alla città Inca di Pachacamac in Perù. Il professar Kimura si dichiara convinto che il tutto è opera di un popolo molto intelligente "con un alto grado di conoscenza tecnologica e di cui finora non avevamo nessuna traccia". Anche l'età stimata del complesso lascia perplessi; Teruaku Ishi, docente di geologia all'Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all'ottomila a.C.. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.; come dire, più antica delle piramidi d'Egitto. La corrispondenza architettonica tra le strutture sommerse di Okinawa e i templi egiziani, mesopotamici e mesoamericani pone sul tavolo le argomentazioni che gli studiosi di paleoastronautica hanno sino ad oggi avanzato e che molti archeologi solo ora iniziano a prendere in considerazione: vale a dire la presenza di una civiltà planetaria molto evoluta, antecedente il diluvio, Atlantide o la leggendaria Mu, (oppure ciò che i giapponesi chiamano la mitica "Onogorojima") della cui cultura pre-diluviana si trovano tracce nei monumenti megalitici sparsi un po' ovunque nel mondo. Il fatto che la Piramide di Ryukyu sia posta sotto il livello delle acque è un indizio consistente del fatto che la civiltà che la eresse scomparve con il diluvio.

INGEGNERIA ANTIDILUVIANA

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Una civiltà che in un lontano passato dovette esercitare una grossa influenza su tutto il globo terracqueo.
Non sono altrimenti spiegabili le notevoli analogie tra le costruzioni peruviane e boliviane e quelle giapponesi. Non è noto a molti infatti che anche in Giappone sono state ritrovate piramidi a facce levigate. Il 19 ottobre 1996 una spedizione archeologica ha scoperto nel nord del Giappone, nell'isola di Honsu, in località Hang sul monte Kasagi, una piccola piramide monolitica e simmetrica, versione in miniatura della piramide di Cheope. Formata da un unico blocco granitico, misura 4,70 metri di base per 2,20 di altezza e rappresenta un elemento architettonico del tutto sconosciuto in Giappone; sino ad oggi almeno. La piccola piramide giapponese non è la sola struttura apparentemente inconsistente con la classica architettura del Sol Levante. Molti dei lettori conosceranno le costruzioni peruviane della città di Cuzco con il suo "Curichanca", il recinto d'oro, e la vicina Sacsayhuaman ancora caratterizzata da lunghe file murarie. L’ingegneria inca era contraddistinta dalla capacità di saper assemblare blocchi monolitici e giganteschi con una tecnica ad incastro che non ha corrispettivi validi in epoca moderna. Queste costruzioni hanno vinto la sfida del tempo, superando anche forti eventi sismici, pur essendo costruite senza alcun cementificante. Il segno di una tecnica superiore ancora oggi enigmatica. Il sistema ad incastro non è solo prerogativa del centro-sud America. Le piramidi e i templi egiziani, la piattaforma del tempio di Baalbek in Libano, le fondamenta del tempio di Gerusalemme, oggi visitabili dalla parte cristiana della città sacra presentano la stesse caratteristiche, da molti ricercatori addebitabili ad una cultura antecedente il diluvio, in un periodo compreso tra il 10.000 e il 15.000 a.C.. Peculiarità incredibilmente presenti nelle mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, anch'esse formate da blocchi monolitici perfettamente incastrati l'uno nell'altro, come per le costruzioni inca e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica. Tra i resti del palazzo è stata inoltre trovata una piccola porta, versione in scala ridotta della Porta del Sole di Tiahuanaco in Bolivia, e come quest'ultima sovrastata da un idolo il cui originale è stato distrutto dai bulldozer durante gli scavi. È una statua, per stile, assimilabile agli idoli a tutto tondo peruviani. Il sistema con cui è assemblata la porta, caratterizzato da tre blocchi monolitici, sembra collegarla ai "Dolmen" europei e soprattutto ai "Triliti" che formano l'intero complesso di "Stonehenge".

I MENHIR DI NABEYAMA
Se, infatti, le recenti scoperte archeologiche hanno rivelato incredibili corrispondenze con monumenti americani, medio-orientali ed egiziani, colpisce il fatto che anche l'architettura bretone e celtica, trovi i suoi corrispettivi in Giappone. Nella foresta di Nabeyama sono stati rinvenuti, sempre nel 1996, due "Menhir" affiancati, elementi del tutto sconosciuti alla cultura giapponese. Si è appurato che i megaliti dell'antica cultura neolitica europea e bretone in particolare avevano lo scopo di segnalare, come un vero calendario, i principali eventi astronomici, dalle eclissi ai solstizi, e su questi le popolazioni scandivano il loro ritmo di vita. Gli studiosi di paleoastronautica sapranno che il tempio megalitico bretone di "Stonehenge" ha un'origine ancora oscura e la sua data di costruzione viene continuamente anticipata. Anche in Egitto è stata scoperta, proprio quest'anno, una struttura simile, risalente al 7000 a.C., formata da monoliti di 3,6 metri di diametro e oltre 2 metri d'altezza disposti in circolo e perfettamente allineata nord-sud, est-ovest e con il solstizio d'estate. Il fatto che queste costruzioni siano presenti in luoghi così distanti e in tre continenti differenti, Asia, Europa ed Africa, riconduce alle stesse ipotesi formulate per le costruzioni piramidali nipponiche. Una cultura sviluppata ha agito da impronta a livello planetario in un lontano passato, per poi sparire improvvisamente.

LA RADICE COMUNE
Se queste costruzioni si trovassero in Perù o in Bretagna, nessuno avrebbe dubbi sulla loro origine. Che significato dare a queste perfette corrispondenze? La risposta deve per forza di cose considerare che America, Asia ed Europa furono in un lontano passato legate da una cultura estremamente evoluta. La presenza in terra giapponese di questo tipo di architettura conferma che Atlantide deve essere realmente esistita e che essa estese il suo dominio anche in Estremo Oriente o quanto meno influenzò con la sua conoscenza le popolazioni vicine. È un dato di fatto che sta emergendo con forza grazie alle nuove scoperte, molto più di quanto ancora gli archeologi siano pronti ad ammettere. Come si spiegherebbe altrimenti l'esistenza in Giappone di elementi estranei alla cultura estremo orientale, ma perfettamente inseribili in contesti culturali così lontani quali quelli precolombiani, medio-orientali ed europei? Se il Giappone nella sua storia conosciuta mai venne a contatto con queste popolazioni, dove va cercata la radice comune? Probabilmente in una realtà cancellata dalle acque devastatrici di una catastrofe di 10.000 anni fa, che solo ora sta restituendoci un'antica memoria storica sepolta nel buio dei secoli.

LA LEMURIA DI FRANCIS DRAKE
Che il Giappone facesse parte, migliaia di anni fa, di un antico impero scomparso, era già stato ipotizzato nel 1968 da W. Raymond Drake nel suo libro "Spacemen" in the "Ancient East", in cui il Sol Levante viene inserito all'interno dei continente di Lemuria. Drake scrive che i primi coloni del Giappone erano uomini di razza bianca, custodi della conoscenza lemuriana. La bandiera del Sole nascente, simbolo dei Giappone, rappresenterebbe ancora il sacro simbolo di Lemuria. "Come gli lndù, i Cinesi e gli Egiziani, i Giapponesi hanno avuto ben dodici dinastie di imperatori divini - afferma Drake - che hanno regnato per 18.000 anni, suggerendo una dominazione di origine cosmica. Gli etnologi concordano sul fatto che i primi antenati dei Giapponesi erano uomini bianchi che soggiogarono gli autoctoni Ainu, oggi quasi dei tutto scomparsi, iniziando così la stirpe Yamato. Analisi linguistiche suggeriscono che la lingua giapponese ha affinità con il babilonese". Ciò conferma che non sono i soli monumenti a fornire le tracce di una radice culturale comune di epoca antidiluviana tra le popolazioni dell'antichità.

QUI potete trovare notizie più approfondite su Lemuria.

FONTE



ATLANTIDE
Il Mondo Perduto

Brevemente
Atlantide fa la sua apparizione in un testo di Platone (428-347 a.C.), descritta come una grande isola che esisteva 11.500 anni fa nell'Oceano Atlantico. Sede di una evoluta e ricca civiltà, secondo una ricostruzione che Platone attribuisce a dei sacerdoti egizi, combatté una guerra mortale con Atene. E successivamente venne sprofondata nell'Oceano dall'ira Di Zeus.
Questa ipotetica civiltà scomparsa è stata utilizzata a più riprese, soprattutto in tempi moderni, come spunto per la formulazione di ogni tipo di teorie e speculazioni; ed è stata sfruttata come trama di numerosi romanzi e lungometraggi cinematografici.
Alcuni ricercatori, non allineati alle teorie comunemente accettate, avanzano la convinzione che antiche civiltà siano realmente esistite in un passato preistorico, e che abbiano fatto da ponte di comunicazione tra i popoli mediterranei e quelli centroamericani.
Nonostante alcuni studi relativi alle formazioni geologiche del bacino Atlantico, osservazioni dei fossili e comparazione delle culture primitive, possano far nascere il sospetto di reali contatti tra le due sponde dell'Oceano, Atlantide rimane per ora poco più che una leggenda.


1) Platone e i suoi Dialoghi
Platone nasce ad Atene nel 428 a.C. circa, da famiglia nobile, e muore nel 347. Dedicatosi dapprima alla pittura e alla poesia, si distinguerà anche nella ginnastica (nasce infatti col nome Aristocle, poi soprannominato dal suo allenatore Platone, "Piattone", per le sue spalle larghe). La sua vita subirà una svolta dall'incontro col grande filosofo Socrate, di cui sarà fedele discepolo per quasi un decennio, fino alla condanna a morte del maestro. Egli diventerà a sua volta uno dei principali filosofi di tutti i tempi. Tra i suoi scritti, raccolti dapprima dai suoi allievi, e organizzati in modo organico da Trasillo, ci sono pervenuti decine di Dialoghi, non tutti ritenuti autentici, in cui troviamo trascritte conversazioni tra Socrate e suoi concittadini. Non sappiamo se Socrate sapesse scrivere, ma non risulta che abbia mai realizzato alcun libro, preferendo trasmettere le sue idee con la parola. La grande importanza che viene riservata alla parola appare evidente anche nei Dialoghi, dove le storie sono riportate da Platone sotto forma di conversazione.
La costruzione di città utopiche, abitate da società perfette, è ricorrente nella Grecia del IV secolo a.C , e si tratta spesso di isole lontane, ricche, in cui vige preferibilmente un sistema di tipo socialista e autarchico, con suddivisione del lavoro e possesso comune dei beni. Si possono citare Teopompo (con le sue città Machìmos ed Eusebès, "degli uomini guerrieri" e "degli uomini pii"), Diodoro Siculo (che nelle sue opere riporta la Panchea narrata da Evemero di Messene, e l'isola immaginata da Iambulo), Luciano di Samosata (che tra le tante isole fa anche un viaggio immaginario sulla Luna, accorgendosi quanto appaiano piccole, da lassù, le miserie umane della sua Grecia), Antonio Diogene (i cui personaggi compiono viaggi in giro per il mondo fino alla mitica Tule, nome che indica un impreciso luogo al confine settentrionale dell'Europa). Queste società immaginarie vengono sempre poste provvidenzialmente nei luoghi meno noti, situati ai confini del mondo e cioè anche della realtà, in cui le condizioni ambientali sono abbastanza ricche e i governanti abbastanza saggi e colti da costruire un mondo felice e stabile. Il termine utopia è composto dalle parole greche ou topos, nessun luogo, e si può far derivare dal saggio De Optimo reipublicae statu deque nova insula Utopia, di Thomas More (Tommaso Moro, 1478-1535, umanista e politico inglese, decapitato per non aver riconosciuto come capo della Chiesa anglicana Enrico VIII e aver rifiutato di approvare il suo divorzio), dove il suo stato perfetto, comunistico, tollerante verso la libertà religiosa, è una risposta alle contraddizioni del suo tempo e alle prime notizie che venivano dal Nuovo Mondo.
Platone rende perfetta la sua costruzione, ponendo Atlantide in un luogo non solo lontano e inaccessibile ma anche passato, e oggi scomparso. Nei suoi due dialoghi intitolati Timeo e Crizia, dal nome dei principali oratori, appare brevemente la storia di questa mitica isola.
Nella prima parte il Timeo narra che Crizia, riunito una sera con Socrate, Timeo ed Ermocrate, ricorda quel che ascoltò mentre era un fanciullo di dieci anni, e suo nonno novantenne, di nome anch'egli Crizia, spiegava ad un uomo della sua tribù ciò che aveva appreso da Solone (famoso poeta e abile legislatore, approssimativamente 640-560 a.C., che intorno al 590 a.C. diede una costituzione democratica ad Atene). Solone viaggiò molto in Oriente, soprattutto in Egitto, dove ebbe istruttivi colloqui con alcuni saggi sacerdoti della città di Sais, sul delta del Nilo.
Discorrendo con i sacerdoti, racconta Crizia, Solone si mise a parlare di cose antiche, dei primi uomini e del Diluvio che Zeus scatenò sul mondo per punire le società corrotte. Ma i sacerdoti sorridevano, e sostennero che i Greci in storia erano come fanciulli, nel senso che giudicavano antichissimo ciò che veramente antico non era, e ricordavano un diluvio mentre nella storia ve ne erano stati molti. Spiegarono che nella storia erano ricorrenti terribili fenomeni naturali. Fuoco dal cielo, che colpisce soprattutto chi vive sulle montagne e nei luoghi aridi. Diluvi, che gonfiano i mari e i fiumi, devastando le terre costiere e le pianure. Terremoti, capaci di distruggere intere civiltà. E i sopravvissuti tornano rapidamente in misere condizioni, perdendo il ricordo delle proprie origini, poichè gli uomini difficilmente scrivono e discorrono di storia e filosofia quando è in forse il pane quotidiano. Per fortuna la valle del Nilo è particolarmente protetta da queste catastrofi, e quando il Nilo allaga non è per distruggere, e i loro templi conservano tutto ciò che essi hanno conosciuto anche del più remoto passato.
I sacerdoti egizi narravano volentieri a Solone queste storie, poichè dicevano che la Dea Atena, dopo la città di Atene, aveva fondato anche la città di Sais, gemellando così i due popoli. Solone compose un manoscritto di questo racconto (Crizia afferma, nel Dialogo, di esserne in possesso), che narra "la più grande impresa" che Atene avesse mai fatto, e di cui tutto il mondo Mediterraneo doveva essergli grata.

2) Atlantide contro Atene
Crizia racconta che novemila anni prima (quindi circa nel 9500 a.C.) il mondo era molto diverso. Al di là delle Colonne d'Ercole, in quel mare ben più vasto del Mediterraneo, che si stende oltre lo stretto, sorgeva un'isola grande come Libia e Asia insieme (1), chiamata Atlantide, da cui si poteva passare ad altre isole, fino ad un enorme continente. Atlantide fu assegnata agli inizi del mondo al dio Poseidone (Nettuno). In mezzo all'isola c'era una vasta pianura, che arrivava a sud fino al mare, e che era ornata alle spalle da monti con vette altissime. Nella pianura c'era una collina; in quel luogo Poseidone giacque con una giovane donna, che era rimasta orfana, e che generò, durante cinque parti, cinque coppie di figli maschi.
Quando furono abbastanza grandi, il Dio incaricò quei figli di regnare sulle sue terre, e al primo, cui diede nome Atlante, donò la parte dove sorgeva la casa materna e che era anche la terra più bella di Atlantide. Il Dio difese quel luogo, scavando tutto intorno tre cinte d'acqua, separate da due di terra, creando così un'isola dentro all'isola, e la arricchì poi con due fonti d'acqua, una calda e una fredda.
La grande pianura era una terra ricca, che grazie alle piogge abbondanti e all'irrigazione poteva dare frutti due volte l'anno. In Atlantide c'erano pascoli favolosi che riuscivano a nutrire ogni tipo di bestiame, compresi gli elefanti, e vasti boschi, che fornivano abbondante legname per ogni uso. Vi si trovava anche ogni tipo di metalli, tra cui uno prezioso quasi quanto l'oro, di cui oggi si conosce solo il nome: l'oricalco. Le due fonti calda e fredda alimentarono vasche d'ogni tipo, per i re, per i concittadini, per le donne e anche per i cavalli, che disputavano gare nel loro ippodromo.
I re che vi regnarono, uno dopo l'altro, abbellirono quei luoghi continuamente. Scavarono un canale che congiungeva l'isola centrale al mare, in modo che fosse raggiungibile dalle navi. Anche la pianura fu circondata con un'enorme fossa, che raccoglieva le acque che scendevano dai monti, e una fittissima rete di altri canali divideva Atlantide in innumerevoli e popolati settori territoriali. Costruirono templi e reggie, ponti e porti. Per queste ricchezze, per quelle che affluivano dall'estero, nel corso di molte generazioni i regni accumularono enormi tesori.
Il popolo di Atlantide divenne eccezionalmente numeroso, assai progredito e ricco, e dominava su tutte le isole circostanti, su parte di un enorme e lontano continente occidentale, ed anche sul mondo mediterraneo fino alla Tirrenia (Etruria) e all'Egitto.
I sovrani avevano potere di vita e di morte su tutti i sudditi, ma tra loro i rapporti erano regolati dalle leggi che Poseidone aveva imposto, per primi, ai suoi figli. Si riunivano ogni cinque o sei anni, discutendo dei loro interessi, e nei casi in cui la legge era violata diventavano giudici. Prima di giudicare però compivano un rito sacrificale, uccidendo un toro presso una colonna d'oricalco, nel Tempio, su cui le leggi erano incise.
Il tempio di Poseidone era contenuto nella reggia, all'interno dell'Acropoli; di barbarica imponenza, era ricco di statue, ornato d'argento, oro, avorio e oricalco. Là erano stati concepiti i figli del Dio, e in loro ricordo ogni anno venivano offerti sacrifici.
Negli affollati porti arrivavano imbarcazioni provenienti da tutto il mondo, e ad Atlantide non mancava un grande esercito, che dislocava gli armati più fedeli fin dentro all'Acropoli. La sola provincia del re supremo, la maggiore delle dieci, poteva contare in caso di guerra su 10.000 carri, 120.000 cavalieri e altrettanti arcieri, più un gran numero di armati in vario modo (un esercito totale di oltre 1 milione di soldati), e 240.000 marinai su 1.200 navi.
I primi re, figli di Poseidone, avevano in sé una forte natura divina, sapevano gestire il potere con saggezza, e la ricchezza era per loro quasi un fardello che, inevitabilmente, cresceva grazie alla loro virtù. Ma ad ogni generazione la natura divina si mescolava con quella umana, finchè la virtù dei re si corruppe, essi degenerarono, e il desiderio di possedere il mondo intero li conquistò.
Forti della loro potenza, un giorno, i re tentarono di sottomettere anche gli altri popoli mediterranei, per dominare infine anche sull'Asia.
Non dimentichiamo che anche l'Atene di quel periodo, forse la vera città utopica del racconto, era però molto diversa. Prima che il tempo ne inquinasse la purezza, la sua civiltà non aveva pari. Intorno alla città grandi pianure, più estese di oggi, fertili, grasse, sempre nutrite d'acqua, davano abbondanti provviste a tutta la popolazione. C'erano boschi e pascoli per il bestiame. Piogge e diluvi eroderanno queste terre, lasciandole oggi, a paragone, impoverite come le ossa di un corpo infermo.
La città era retta da leggi sagge. La classe militare viveva separata dagli altri cittadini, senza fasti, ma con decoro; contava circa ventimila guerrieri, uomini e donne, come mai il mondo ne vide. La guerra che impegnò Atene e la Grecia, contro l'improvvisa aggressione, ha comunque del favoloso. La città arrivò a sostenere quasi da sola l'urto degli eserciti invasori.
I sacerdoti, nel loro racconto, ricordano con affetto come Atene riuscì, assai generosamente, a liberare molti popoli oppressi, respingendo il nemico nell'Oceano. Ma Zeus osservava da tempo la stirpe di Poseidone e ne era deluso. Giudicò quel mondo ormai troppo degenerato e meritevole di una tremenda punizione. Terremoti e inondazioni devastarono la Terra, fin quando, durante un giorno e una notte, Atlantide sprofondò nel mare, e inghiottito dalla terra fu anche l'esercito ateniese. L'Oceano, un tempo navigabile, divenne impraticabile e pericoloso, fino ad oggi, per le melme che lo sprofondamento aveva sollevato. E della gloriosa Atene rischia di scomparire anche questa incredibile vittoria militare, la più grande impresa di tutti i tempi.
Questo è il racconto che Platone trascrive per noi.

3) Alla ricerca dell'isola
Aristotele, allievo e quindi contemporaneo di Platone, giudicò la narrazione del Crizia semplicemente una fantasia, utilizzata dal maestro perché utile alla sua trattazione, e questo giudizio non venne mai sottovalutato. Fino al medioevo la mitica isola non generò un particolare interesse, ma con la scoperta delle Americhe le cose iniziano a cambiare, poichè i Dialoghi menzionano un grande continente ad ovest di Atlantide, e ci si comincia a domandare se l'Oceano Atlantico non abbia ospitato veramente, in passato, vasti territori o un arcipelago, poi inabissatosi, che abbia potuto fare da ponte tra le Americhe e il mondo mediterraneo.
Le ipotesi avanzate negli anni da studiosi della preistoria, geologi, paleontologi, antropologi, occultisti, teosofi e strani personaggi, sono le più diverse e in certi casi tendono a contraddirsi tra loro. Talvolta queste ipotesi si sono sviluppate senza un supporto credibile di fatti reali, portando discredito a studi più seri di onesti ricercatori.
Terremoti e fenomeni vulcanici hanno da sempre accompagnato la storia dell'uomo, trasformando la superficie terrestre, generando le montagne e frastagliando il suolo, che altrimenti, attraverso l'erosione dei venti e dell'acqua, diverrebbe sempre più liscio e uniforme.
La teoria della deriva dei continenti di Wegener, insieme a quella della tettonica a zolle formulata negli anni '60, immaginano le attuali terre emerse come parti di un unico, antichissimo supercontinente, il Pangea, segmentatosi in zolle continentali a partire da 180 milioni di anni fa, che si sono progressivamente allontanate, con un movimento lentissimo che continua anche oggi. I grandi Oceani presentano lunghe catene vulcaniche sommerse, le dorsali oceaniche, dove il magma prodotto periodicamente funge da margine di accrescimento, che allontana tra loro i continenti e modifica i bacini oceanici. I terremoti sono un effetto di questi movimenti della crosta terrestre. E' curioso infatti osservare che, se avviciniamo il profilo orientale delle Americhe a quello occidentale dell'Africa, i continenti sembrano assemblarsi come un puzzle.
I cultori della "ipotesi Atlantide", invece, immaginano che i confini delle terre emerse non si modifichino principalmente (o soltanto) attraverso questi movimenti orizzontali, ma che invece, per varie cause, la crosta terrestre subisca importanti spostamenti verticali. Questi, insieme alla variazione del livello delle acque dovuta ai periodi di glaciazione e deglaciazione, possono far nascere e morire interi continenti, sollevando o inabissando enormi territori, in periodi relativamente brevi. L'ipotetico sprofondamento della dorsale atlantica è però un fenomeno enorme, e si suppone allora che sia stato "aiutato" dall'impatto di un grosso meteorite.
L'attenta osservazione della fauna, delle popolazioni antiche e dei materiali archeologici in genere, hanno convinto alcuni studiosi dell'esistenza di stretti e strani rapporti tra terre oggi lontane e separate. Reperti fossili del Cambriano lungo la costa orientale del Canada e degli USA presentano specie affini all'Europa. Campioni di roccia vulcanica prelevati dal fondo marino a nord delle Azzorre hanno le caratteristiche che il magma assume solidificando all'aria libera. D'altra parte l'Atlantico presenza una zona poco profonda, che dall'Islanda scende a sud includendo il Rialto di Rockall, il Plateau delle Azzorre e prosegue a lungo anche nell'oceano meridionale. Si potrebbe immaginare che nell'ultimo periodo della Glaciazione, in cui enormi quantità d'acqua erano immobilizzate sotto forma di ghiaccio sulle terre emerse, creando tra l'altro enormi pressioni sulla piattaforma continentale, le isole atlantiche venissero ad occupare spazi ben più vasti degli attuali. Al largo, lungo le coste atlantiche e mediterranee, non sono rari i ritrovamenti di antiche costruzioni sommerse, a riprova che il livello del mare cambia lungo i millenni, e che le zone costiere sono suscettibili di sprofondamenti.
Le civiltà precolombiane americane, inoltre, presentano aspetti che ricordano quella egiziana: architetture piramidali, profonde conoscenze astronomiche, riti e mummificazione dei morti, apparenti somiglianze di alcuni vocaboli. Antiche leggende locali raccontano che gli Aztechi erano originari di Aztlan, una terra ad oriente, sprofondata nell'Atlantico. Che avrebbe facilitato i contatti tra le due sponde dell'Oceano, potremmo aggiungere.
Alcuni studiosi, muovendosi ai confini della scienza ufficiale, sostengono che l'esistenza di società umane assai progredite, in grado di navigare gli oceani, precedenti a quelle comunemente riconosciute come originarie, è più certezza che ipotesi (tra gli altri Peter Kolosimo, Otto Muck e Charles Berlitz).

4) Il mito si complica
Il mito del continente scomparso ha finito per moltiplicarsi, ispirando innumerevoli teorie. Di volta in volta si è ritenuto di localizzarne dei resti nelle Bahamas (il "muro di Bimini", la cui scoperta venne predetta dal chiaroveggente E.Cayce, che sostenne di avervi abitato in una delle sue vite precedenti), in Svezia, in Sud Africa, nell'Artico, in Antartide, in Armenia, e in molti altri luoghi. Ma si è anche immaginato che la descrizione di Platone potesse essere esagerata, e che l'antica civiltà scomparsa equivalesse semplicemente all'isola greca di Santorini (Thera), distrutta nel 1400 a.C. da un'eruzione vulcanica. O si identificasse con Tartesso, una città-stato fenicia esistita fino al V secolo a.C. nei pressi di Cadice, sull'Atlantico. E chi ne vide invece il ricordo di Tirrenide, una specie di Atlantide costituita dall'unione di Corsica, Sardegna e Baleari, di cui si è favoleggiato. Atlantide avrebbe anche potuto essere la catena montuosa dell'Atlante (2) se in passato alcuni laghi interni, nelle aree sahariane, l'avessero trasformato in una specie di isola. Oppure una terra oggi sommersa che collegava la Tunisia alla Sicilia e divideva il Mediterraneo in due bacini, secondo un'altra recente ipotesi.
L'esistenza di ciclopiche costruzioni di pietra, ancora in parte inspiegabili, localizzate in varie parti del mondo e che risalgono a periodi remoti, ha ugualmente autorizzato alcuni storici ad avanzare l'ipotesi che la storia conosciuta sia incompleta. Che le civiltà storiche siano state precedute da altre civiltà più avanzate e molto antiche, regredite successivamente a causa di catastrofi naturali o di altri avvenimenti che possiamo solo immaginare. C.Berlitz ci ricorda che in Perù esistono costruzioni con blocchi di pietra di 200 tonnellate, che a Tiahuanaco blocchi da 100 tonnellate sono stati utilizzati a 4000 metri d'altezza, e che nel ciclopico Tempio di Zeus a Baalbek, tra Siria e Libano, si stima che un macigno pesi quasi 2000 tonnellate. Le popolazioni indigene non sanno dire chi abbia realizzato quelle costruzioni. Fondamenta di questo tipo sono state utilizzate talvolta per successive edificazioni, realizzate però con materiali più piccoli. Un monolito incompiuto sull'Isola di Pasqua è lungo 21 metri.
Documenti che pare siano ricopiati da antichissime carte nautiche, porta qualcuno ad immaginare che, in epoca pre-storica, le conoscenze delle coste atlantiche fossero migliori che nelle epoche successive.
L'ipotesi di importanti movimenti verticali della crosta terrestre, regala argomenti alle tesi di altri continenti perduti.
Madagascar e Arcipelago Indonesiano presentano somiglianze di fauna e flora, che mancano tra il Madagascar e l'Africa, geograficamente assai più vicina. Poichè i lèmuri, primati e parenti delle scimmie, sono diffusi nell'isola africana e presenti anche in Indonesia, dei biologi hanno suggerito il nome di Lemuria ad una ipotetica terra in grado di collegare Madagascar e India.
La singolare occultista russa Helena Petrovna Blavatsky, fondatrice a New York nel 1875, insieme al colonnello Henry S.Olcott, della Società Teosofica (poi trasferita in India), indicò in Lemuria uno dei luoghi originari della civiltà umana. E i successivi teosofi, a partire dal chiaroveggente W.Scott Elliot, decisero di spostare l'ubicazione di questa ipotetica terra nel Pacifico, che poteva contenere un continente di maggiori dimensioni. Le "dottrine segrete" della Blavatsky, di valenza puramente favolosa, derivano dall'altrettanto favoloso Libro di Dzyan (Libro della Terra), che ella illustra nella sua opera La dottrina segreta.
Secondo il colonnello James Churchward, invece, il Pacifico ha ospitato il mitico continente di Mu, la "Madre Terra". Il nome Mu deriva in realtà da una catena di interpretazioni errate, relative a un ducumento maya (il cosiddetto Codice Troano), per colpa prima del missionario spagnolo Diego De Landa e poi del francese Abate Brasseur de Bourboung che del primo utilizzò una strampalata chiave di lettura della scrittura maya. Le informazioni sulla storia della Terra sono state comunque apprese dal colonnello Churchward attraverso misteriosi documenti osservati in India (miracolosamente tradotti grazie a un'intensa concentrazione mentale e poi scomparsi) e una raccolta di oggetti trovati in Messico dal geologo americano William Niven, interpretati con la stessa tecnica.
Ecco che, come inevitabile risultato di tutta questa particolare lettura storica, arriviamo a ricostruire una indefinita ipotesi finale, di una civiltà antidiluviana (preadamitica, precataclismica) risalente a decine di migliaia di anni fa, globale, con cognizioni tecnologiche che il mito ha trasformato in magia, da cui in qualche modo discendiamo. Civiltà che conosceva il volo aereo e l'energia atomica (che sfuggita al controllo avrebbe potuto causare la catastrofe ricorrente nelle antiche leggende), che sapeva controllare la forza gravitazionale per poter spostare i massi enormi con cui erano costruite le loro città. Forse formata da una razza superiore, probabilmente extraterrestre, pressoché scomparsa all'epoca del biblico Diluvio (la cui origine potrebbe anche essere l'effetto dell'impatto sulla Terra di un grande meteorite, o una piccola luna). E per Saint-Yves d'Alveydre questo popolo misterioso potrebbe ancora sopravvivere, nell'Agarthi, un mondo sotterraneo, inaccessibile, con pochi ingressi segreti nel Deserto di Gobi, in Russia,in India, nel Tibet Orientale e nel Borneo. Un mondo di immense caverne, che collegano forse tutto il globo. Lì l'antico popolo si è rifugiato, guidato dal Re del Mondo che segretamente domina la Terra, e che perfino Hitler e il suo nazismo magico tentarono invano di contattare con tre spedizioni sull'Himalaya. (3)

5) Etimologia e mitologia
Nel Crizia Poseidone assegna il nome di Atlante al primo dei dieci figli. Ed è da questo che deriverà il nome di Atlantide per l'isola e di Atlantico per il mare. Introducendo il discorso, però, Crizia avverte che i sacerdoti avevano interpretato in lingua egizia i nomi del racconto, modificandoli, e lo stesso fa Solone, traducendo, e utilizzando così nomi greci con lo stesso significato di quelli egizi.
Atlante infatti (dal greco Atlas) è anche un personaggio mitologico greco, che Zeus (Giove) confina, secondo la leggenda, all'estremo occidente del mondo, condannandolo a sostenere in eterno la volta celeste. Il suo nome può significare infaticabile, ma anche "colui che sostiene", per questo atlanti sono la variante maschile delle cosidette cariatidi: figure umane che fungono da colonne in certe antiche strutture architettoniche.
Riferendosi brevemente alla mitologia greca e al racconto noto come titanomachia, basti sapere che quando Zeus insidia il potere del prepotente padre e titano Crono (Saturno), re dell'Universo (che aveva anch'egli usurpato il trono cacciando il proprio padre Urano, e che tentò di rendere inoffensivi Zeus e gli altri suoi figli ingoiandoli), gli altri suoi fratelli Titani si dividono, difendendo chi l'uno e chi l'altro. A capo dei titani che attaccano Zeus c'è appunto il gigantesco e feroce Atlante.
Dopo dieci anni di battaglie Zeus, dall'alto del monte Olimpo, chiama in suo aiuto altre creature che Crono aveva crudelmente sprofondato nell'inferno del tartaro, tra cui i ciclopi, costruttori di fulmini. La battaglia, terribile oltre ogni immaginazione, sbriciola le montagne, e forse per questo le coste greche sono tanto frastagliate e cosparse di isole. Al termine, con la completa sconfitta di Crono e dei titani ribelli, Atlante sarà dunque costretto a sorreggere per sempre la volta del Cielo. Quando l'Etna brontola ed erutta fuoco, si tratta forse degli altri titani sconfitti, terribilmente ustionati dai fulmini di Zeus, che dal profondo della loro prigione si contorcono.
Diodoro Siculo invece, in Biblioteca storica, ci racconta che il regno di Urano fu semplicemente diviso tra i suoi figli, tra cui Atlante e Crono. Il primo ricevette le regioni che si affacciano sull'oceano. Le sue sette figlie diedero i nomi alle principali stelle che compongono l'ammasso stellare delle Pleiadi. Approfitto per ricordate che Atlante è anche il nome assegnato dagli astronomi ad un satellite di Saturno.
Erodoto poi, parlando del Monte Atlante nell'Africa nord-occidentale, racconta che le sue vette sono così alte da scomparire perennemente tra le nuvole, tanto che gli abitanti del luogo lo considerano una delle colonne del Cielo.
Il nome Atlante, quindi, è generalmente associato a luoghi posti agli estremi confini occidentali dell'ecumene (ossia l'insieme delle terre conosciute), compreso quel mare misterioso e pressoché inesplorato, posto oltre le Colonne d'Ercole, in cui i navigatori temono avventurarsi.
Nel 1546 A. Lafreri realizza una raccolta di carte geografiche, e decide di mettere in prima pagina l'immagine di un titano Atlante impegnato a sostenere il mondo.
Qualche decennio dopo, nel 1585, G. Mercatore deciderà di dare il titolo Atlas al suo libro di carte geografiche, creando un precedente che verrà ripetuto in maniera diffusa. Oggi atlante è il nome con cui comunemente si indicano i libri che riportano le cartine della Terra, ma anche più genericamente qualsiasi raccolta di tavole illustrate, di anatomia o astronomia. In qualche caso è possibile vedere ancora Atlante in copertina che regge il mondo, o una sfera con i segni zodiacali a simboleggiare il cielo, ad esempio sui volumi di alcune enciclopedie.
Ma il termine ha oggi assunto anche il significato di "grande", come nel caso del cosidetto Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, che nulla ha a che fare con lo spaventoso titano, se non la "grandezza".
Anche la missilistica e l'astronautica hanno attinto spesso nomi dalla mitologia. Per quanto riguarda i termini trattati in questa pagina, Atlas è il nome del primo missile balistico intercontinentale (ICBM) che la Difesa degli Stati Uniti ha realizzato nella seconda metà degli anni '50, nel tentativo di colmare il vantaggio raggiunto nel primo dopoguerra dall'Unione Sovietica. Progressivamente smantellati dal 1965, sono stati utilizzati in seguito come vettori per il programma spaziale. Quasi contemporaneamente venne costruito dagli USA anche il Titan, anch'esso prodotto in numerose versioni, utilizzato anche per la messa in orbita di satelliti militari, ricevette come primo armamento nucleare una testata da 4 megatoni. Atlantis è invece il nome di uno Space Shuttle (in onore dell'omonima nave da ricerca oceanografica del Woods Hole Oceanographic Institute of Massachusetts), uscito di fabbrica nel 1985 e quarto della flotta (se si esclude l'Enterprice, non adatto ad andare in orbita), che sopravvive insieme al Discovery e all' Endeavour (primo volo 1992), dopo la distruzione avvenuta durante il lancio del Challenger (1986) e quella del Columbia (2003), occorsa durante il rientro in atmosfera. Disastri che hanno portato alla sospensione dell'utilizzo delle navette spaziali per due anni; i voli sono ripresi nel 2005.
In campo scientifico si può anche ricordare che Atlas (A Toroidal LHC ApparatuS) è il nome del più grande rivelatore di particelle del mondo (in costruzione), che dovrebbe essere capace di analizzare un miliardo di collisioni all'anno e che diverrà operativo all'interno del Large Hadron Collider presso il CERN di Ginevra (per inciso il CERN è il luogo di nascita del World-Wide Web, la "ragnatela che avvolge il mondo", inventato nel 1990 da Tim Berners-Lee e Robert Cailliau). L'Italia partecipa al progetto LHC attraverso l'Infn (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare).

6) Film e letteratura
Oltre che da stimolo ad una vastissima serie di ipotesi scientifiche (o autodefinite tali), il mito di Atlantide è anche ispirazione di un buon numero di libri e opere cinematografiche, su mondi perduti e utopie più o meno positive.
Nel 1626 viene stampato, anche se rimasto incompleto, The New Atlantis, dello statista inglese Francis Bacon (Francesco Bacone). Nel racconto alcuni viaggiatori che dal Perù stanno navigando verso la Cina, sbarcano casualmente in una terra sconosciuta che si chiama Bensalem. Sul posto vivono dei discendenti della scomparsa Atlantide; la società descritta si fonda sulla famiglia (in contrasto con l'idea platonica), promuove la ricerca e il progresso, e vi si trova una fondazione scientifica, chiamata Casa di Salomone, che in un certo senso troverà la sua corrispondenza reale con la fondazione della Royal Society inglese.
Le rovine di un mondo sommerso vengono raggiunte nel 1870 dal Nautilus del capitano Nemo, creato dalla penna di Jules Verne per il suo Vingt mille lieues sous les mers (Ventimila leghe sotto i mari), che dovrà attendere fino al 1954 per una trasposizione cinematografica. Nel 1900 possiamo invece conoscere Atlantide nel momento della sua distruzione, attraverso il romanzo The Lost Continent (Il Continente Perduto), di C.J.Cutcliffe Hyne. Nel 1919 il francese Pierre Benoit preferisce trasferire l'avventura in territorio coloniale e scrive L'Atlantide, in cui due militari francesi scoprono in pieno deserto del Sahara il regno degli ultimi discendenti atlantidei, guidati dal sinistro fascino della regina Antinea, che colleziona amanti trasformandoli in statue d'oro. Dal romanzo viene tratto un film nel 1921 per la regia di Jacques Feyder, ma più famoso è quello diretto nel 1932 da G.W.Pabst con l'attrice Brigitte Helm nella parte di Antinea; sempre ispirati a questo romanzo seguono Siren of Atlantis (1948) e Antinea, L'Amante della Città Sepolta (1961), in cui sopra al leggendario regno sotterraneo dove vivono i sopravvissuti, i francesi creano un poligono militare per esperimenti nucleari (veramente sfortunati!).
Il 1919 è anche l'anno di un'altro romanzo, scritto da H.R.Haggard (già famoso per Le Miniere di Re Salomone, 1885, che scrisse per scommessa, tentando di superare il successo de L'Isola del Tesoro di R.L.Stevenson), si tratta di When the World Shook, si dice ispirato dall'amico Rudyard Kipling (Premio Nobel per la Letteratura nel 1907, autore tra l'altro, negli anni 1894-95, de "Il Libro della Giungla" e "Il Secondo Libro della Giungla"). Nel 1928 S.Arthur Coblentz scrive The Sunken World e nel 1929 è la volta di The Maracot Deep, scritto un anno prima della morte da A.Conan Doyle, inventore del famoso personaggio Sherlock Holmes. Doyle fu anche autore, nel 1912, di The Lost World, ma qui il mondo perduto è assai più remoto, con tanto di dinosauro che fa a pezzi il Tower Bridge di Londra, antesignano quindi dei vari Kink Kong, Godzilla, Jurassik Park. Il cavernicolo Alley Oop invece è una striscia a fumetti apparsa nel 1933, dove l'eroe è originario di una Mu preistorica, e che dal 1939 potrà anche viaggiare nel tempo, grazie all'aiuto del nuovo personaggio prof. Wommung. La bibliografia è ovviamente vasta e si arricchisce continuamente di nuovi romanzi. Nel 1971 c'è The Dancer from Atlantis di Poul Anderson, mentre è del 1972 Stonehenge di Harry Harrison. Neanche la Walt Disney si lascia sfuggire questa opportunità, e nel dicembre 2001 esce con il lungometraggio a cartoni animati Atlantis l'Impero Perduto. Tra i romanzi più recenti Il Codice di Atlantide (2004), di Stel Pavlou, in cui uno strano segnale emesso in Antartide rimette in funzione una antichissima rete di comunicazione che collega antiche rovine di tutto il mondo, dal Messico, all'Egitto, alla Cina.
Non mi risultano opere importanti di autori italiani. Recentemente mi è però stato segnalato il romanzo di un giovane autore esordiente, L'ultimo segreto di Atlantide, di Fabio Battisti (2005, Beta Edizioni), dove un perito assicuratore si imbatte casualmente in un reperto egizio, che lo trascinerà in una enigmatica e incalzante ricerca.
L'idea di un mondo pre-storico, fatto di terre e popoli sconosciuti, ha d'altra parte ispirato famose saghe fantastiche. L'Era Hyboriana creata da R.Ervin Howard è un affresco di grandi civiltà preistoriche, successive allo sprofondamento di Atlantide, ispirate anche a leggende nordiche, egiziane e indiane, e in cui si muove l'eroico barbaro Conan. I racconti del ciclo escono sulla rivista Weird Tales dal 1932 al 1936 (4). Nel 1979 Conan the Barbarian viene prodotto come fumetto a colori dalla Marvel Comics Group. Nel 1981 Dino de Laurentiis produce il film Conan diretto da John Milius e interpretato da Arnold Schwarzenegger, che avrà anche un episodio successivo. Sempre appartenente al filone Sword & Sorcery la serie di racconti del personaggio Elak of Atlantis creato da Henry Kuttner, apparsi dal 1938 (Thunder in the Down) al 1941 su Weird Tales. Citiamo infine il ciclo di Thongor, a firma Lin Carter, che inizia nel 1965 con The Wizard of Lemuria.

7) Una nuova ipotesi
Incoraggiato dalla disinvoltura con cui si sono susseguite le più svariate ipotesi, alcune delle quali obbiettivamente inverosimili, dimenticherò per una volta la prudenza, avventurandomi a proporre una nuova soluzione del "mistero Atlantide". Consideriamo che le citate Colonne d'Ercole del Crizia non corrispondano allo Stretto di Gibilterra, ma al Bosforo, e che la mitica isola sia l'odierna penisola di Crimea (in realtà credo che la Crimea sia già stata considerata, ma non so esattamente quando, da chi e in che termini).
Elenco di seguito alcune circostanze che potrebbero suffragare questa tesi.
- Nel Crizia si narra di un vero mare oltre lo stretto, ben più vasto di quello che lo precede, e infatti il Mar Nero (il Ponto Eusino greco) è assai più vasto del Mar di Marmara che stà tra i Dardanelli e il Bosforo.
- Atlantide combatte una guerra mortale contro Atene. Il più antico documento greco che descriva una guerra, il poema epico dell'Iliade, localizza il nemico ad est, presso i Dardanelli. Inoltre l'espansione greca si è svolta preferibilmente nel Mar Egeo, ed è verso oriente che ha dovuto affrontare tutte le sue più importanti campagne militari.
- Per quanto riguarda la citata età di Atlantide, quei novemila anni fà, come anche i numeri dell'esercito atlantideo, 120.000 cavalieri o 240.000 marinai, provenienti dai 60.000 settori territoriali, ricordano nella grandezza altri documenti. La lista dei primi leggendari re babilonesi, la "WB 444", che regnarono "prima del diluvio", ci racconta di regni che durarono 28.800 anni, oppure 36.000 o addirittura 43.200. Tutte le cifre che ho appena citato suggeriscono un'origine a base 12, cioè sono divisibili per dodici, una base di numerazione assai diffusa nel mondo dell'Asia anteriore, da cui abbiamo ereditato i dodici settori degli orologi, le uova contate a dozzine e i 360 gradi dell'angolo giro. Se esiste un errore originario di interpretazione, comune a tutti questi documenti, verificatosi in qualche punto della catena di trasmissione (che ha verosimilmente utilizzato nel tempo linguaggi ed alfabeti diversi), forse quelle cifre andranno un giorno ridimensionate e Atlantide assumerà una forma meno gigantesca e remota di quella fin qui attribuita.
- La Crimea è una penisola, ma l'istmo che la congiunge alla terraferma è così sottile da renderla quasi un'isola, senza contare che il collegamento potrebbe essersi formato in tempi più recenti per fenomeni naturali. Come Atlantide la Crimea ha pianure e montagne, ed un clima relativamente mite. La presunta popolazione animale, cavalli, tori ed elefanti, è presente da tempi remoti in Eurasia.
- Atlantide domina il mondo fino all'Etruria e all'Egitto. Un regno localizzato in Crimea potrebbe aver avuto, abbracciando il Mar Nero, una potenziale influenza verso la penisola italiana e la Palestina. Le minacciose mire espansionistiche sull'Asia potrebbero riferirsi all'Asia Minore, cioè la moderna Turchia, molto spesso contesa anche successivamente dai greci ad altre potenze asiatiche.
- Le forze armate di Atlantide contano numerosi cavalli e carri da guerra. Il carro leggero da guerra sembra essere apparso per la prima volta in Asia Minore ad opera degli Ittiti (altri carri, come quelli sumerici, erano pesanti, con ruote piene, probabilmente utilizzati per il trasporto). Il popolo degli Ittiti era di origine indoeuropea e proveniva da nord, come le innumerevoli migrazioni che si sono nei secoli verificate dall'Asia centrale.
- I terremoti e il diluvio che decretano la fine di Atlantide, lasciano il suo mare limaccioso e difficilmente navigabile. Il Mare di Azov, a nord-est, ha queste caratteristiche e fondali bassissimi. Un antico terremoto, provocando magari la deviazione di corso di un affluente, potrebbe aver generato l'allagamento di vaste aree e il trasporto di detriti che hanno abbassato ulteriormente i fondali, modificando la morfologia del luogo.
E' evidente che quelle qui raccolte sono poco più che idee in libertà, che andrebbero più attentamente vagliate, selezionate e approfondite. Le possibili obiezioni sono molte e fondate, ma l'idea appare in ogni caso promettente e meritevole di ulteriori indagini. Inoltre, così espressa, la tesi non necessita di spropositati disastri naturali, esistenza di civiltà fuori da ogni contesto conosciuto, né una obbligatoria rivoluzione delle conoscenze storicamente acquisite. Il che è senza dubbio un punto a favore.

8) Conclusioni
Il passato si racconta.
Dal momento in cui le popolazioni umane preistoriche mossero i primi passi alla conquista del mondo, si trovarono circondate da stupefacenti spettacoli naturali: i vulcani, i fulmini, i terremoti, le maree, le eclissi astronomiche, ma anche semplicemente il giorno e la notte, la luna e le stelle, le stagioni, l'arcobaleno, l'eco. Furono spettatori della vita e della morte. Essi tentarono sicuramente di dare risposte, con la semplice ragione, e dove non bastava con la fantasia. La trasmissione orale delle informazioni e delle esperienze, durata millenni, non poteva non mescolare ai fatti le leggende. Le cose migliorarono quando fu inventata la scrittura, ma non tutto il materiale realizzato è potuto giungere sino a noi, e anzi più è antico e più difficilmente si è conservato. I testi andavano ricopiati a mano, con pazienza, e grandi biblioteche del passato sono andate distrutte, da Persepoli, a Cartagine, ad Alessandria, a Costantinopoli. Ci sono comunque altri documenti, il passato non è fatto solo di parole. Le realizzazioni in legno spariscono rapidamente, e solo più lentamente anche quelle in ferro, ma rimangono comunque fossili di ogni tipo, ed anche materiale dipinto, scritto o inciso su pietra e tavolette d'argilla. Anche se alcuni aspetti potrebbero rimanerci sconosciuti per sempre, il passato racconta la sua storia.
Possiamo credere a Platone?
Bisogna considerare che nella sua opera il filosofo rispecchia le vicende e le lotte ideali del suo tempo. Egli visse un'epoca di instabilità e insicurezza; nacque durante la Guerra del Peloponneso, mentre Atene democratica si opponeva a Sparta totalitaria, e che terminò con la sconfitta della sua città natale quando lui aveva 24 anni. La successiva guerra civile portò al governo dei Trenta Tiranni, del quale fecero parte due suoi zii. Le vicende che egli analizzò per tutta la vita, lo convinsero che le società erano condannate ad un'inevitabile corruzione e che ogni cambiamento portava alla degenerazione. Come conseguenza di questo assunto il passato doveva inevitabilmente aver visto società migliori, ed ecco che l'Atene antica, che combatte e vince la poderosa armata atlantidea, assomiglia alla città perfetta che Platone sogna. Il racconto del Timeo e del Crizia serve quindi a rafforzare la sua visione della storia.
E' comunque possibile che il racconto dei sacerdoti egizi si sia realmente svolto e che il racconto di Atlantide, non si sa quanto leggendario, venga effettivamente da un passato più remoto di Platone. Riguardo al bacino atlantico lo studio dei fossili e delle popolazioni antiche invita, come abbiamo visto, a ipotizzare una comunicazione tra le due sponde ed è probabile che la geografia dell'Oceano e i confini delle terre emerse siano mutate con le glaciazioni e per effetto del vulcanesimo tipico di quell'area.
Si ritiene che le Americhe siano state popolate attraverso l'Asia, dove anche oggi i due continenti si sfiorano, ma è probabile che anche prima della loro scoperta ufficiale, nel 1492, fossero già state raggiunte dall''Europa, ad esempio ad opera di navigatori Vichinghi. Nella zona tropicale i venti alisei spirano con regolarità dall'Africa verso il Centro America, ed è questa anche la strada percorsa da Cristoforo Colombo, perchè giudicata più facile per il viaggio di andata. Non è pura fantasia l'ipotesi che navigatori coraggiosi e fortunati abbiano potuto compiere dei viaggi, magari favoriti da isole intermedie poi scomparse, portando in epoche antiche, dal Mediterraneo al Nuovo Continente, un pezzo di cultura lontana, senza più poter ritornare. Perché anche il ritorno di Colombo fu pieno di insidie; anche la sua avventura avrebbe potuto essere un'altro viaggio senza ritorno. Non ci sono pervenute notizie su fatti simili, ma dobbiamo considerare anche la scarsa propensione dei naviganti a diffondere le conoscenze acquisite, quando possono riservare vantaggi commerciali.
La verità su Atlantide ci è sconosciuta. Il problema, comunque, non si esaurisce con Atlantide. Raccontare la storia è un compito pieno di insidie. Lo storico si trova a lavorare con documenti e testimonianze, di cui deve valutare l'attendibilità. Si può essere troppo severi, o troppo creduloni. E allora vi invito a terminare questa lunga lettura con la descrizione del proprio metodo di lavoro, di uno storico contemporaneo a Platone, Tucidide, che riguardo alla cronaca della Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.) da lui descritta, ci mette in guardia così:
"Riguardo ai fatti verificatisi durante la guerra, non ho creduto opportuno descriverli per informazioni desunte dal primo venuto, né a mio talento; ma ho ritenuto di dover scrivere i fatti ai quali io stesso fui presente e quelli riferiti dagli altri esaminandoli, però, con esattezza a uno a uno, per quanto era possibile. Era ben difficile la ricerca della verità perchè quelli che erano stati presenti ai singoli fatti non li riferivano allo stesso modo, ma secondo che uno aveva buona o cattiva memoria, e secondo la simpatia per questa o quella parte. E forse la mia storia riuscirà, a udirla, meno dilettevole perchè non vi sono elementi favolosi; ma sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno indagare la chiara e sicura realtà di quanto in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l'umana vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l'eternità è stata essa composta, non già da udirsi per il trionfo nella gara d'un giorno." (Tucidide, I, 22, traduz L.Annibaletto, Il cammino della Storia, Editore Principato, 1967).

Cavini Maurizio
© Dicembre 2004
Ultima revisione Maggio 2007

Note

Bibliografia
Oltre all'ovvia lettura del Timeo e Crizia di Platone, per la stesura del testo ho consultato principalmente I Continenti Perduti, Roberto Pinotti, Oscar Mondadori, 1995; I Misteri dei Mondi Perduti, Charles Berlitz, Sperling & Kupfer, 1977; La geografia degli antichi, Federica Cordano, Editori Laterza, 1992; Grande Enciclopedia della Fantascienza, Editoriale del Drago, 1982; I Miti degli Dei, Gherardo Casini Editore, 1976; Dizionario Etimologico, Rusconi Libri, 2003; Enciclopedia geografica, Zanichelli, 2001.

(1) I Greci sono stati certamente tra i primi ad occuparsi della geografia globale. Dopo aver immaginato l'insieme delle terre come un cerchio, circondato dal fiume Oceano, si arriva a considerarlo più come un rettangolo, sul modello del Mediterraneo, i cui confini rimangono incerti, ad eccezione della costa occidentale. Il mondo è comunque diviso in tre continenti: Europa, Asia e Africa. Erodoto sospetta che l'Europa sia più grande dell'Asia, non per ragioni geografiche, ma storiche: tramite la Grecia ha sconfitto l'esercito persiano. Dell'Africa (chiamata Libia) si conosce solo la parte settentrionale e dell'Asia non molto più dell'impero persiano. Paragonare comunque Atlantide alla somma di Asia e Libia significa assegnarle una superficie enorme. Ma quando in seguito, in una descrizione particolareggiata, Platone ne cita le misure espresse in stadi, sembra descrivere un'isola più piccola della Gran Bretagna. I due dati sembrerebbero inconciliabili.
Nel corso di un Convegno Internazionale su Atlantide, svoltosi a Milo nel 2005, il micenologo Rosario Vieni ha presentato una relazione in cui contesta la consueta traduzione che si fa del testo greco. Egli ritiene che quel "Atlantide grande (meizon) come Libia e Asia insieme", sia da leggere come "importante", "potente" e non nel senso di "vasta", "estesa". Sostiene inoltre che, data l'origine incerta del racconto, con troppa sicurezza viene interpretato quel "oltre le Colonne d'Ercole" come "oltre lo Stretto di Gibilterra". Atlantide potrebbe tranquillamente trovarsi all'interno del Mediterraneo.
In riferimento poi a quel "9000 anni fa", come dato temporale dello sprofondamento di Atlantide, è utile ricordare che l'Egitto dei Faraoni, come altri popoli antichi, non possedeva una esatta cronologia degli avvenimenti storici. I moderni archeologi, attraverso una attenta comparazione dei documenti antichi (in cui si intrecciano i riferimenti tra le varie civiltà), la possibilità di datare con precisione alcuni episodi astronomici citati, e moderni metodi di datazione dei reperti, possono oggi ricostruire le più lontane vicende storiche con maggior accuratezza dei Greci e degli stessi Egizi di 2500 anni fa. La data riportata del 9500 a.C. potrebbe quindi essere fuorviante.

(2) Contemporaneamente alla scomparsa dei ghiacciai in Europa, almeno 12.000 anni fa, nella fascia sahariana terminava una lunga fase arida. Il mutamento climatico comportò la scomparsa dei deserti; il lago Ciad aumentò fino a dimensioni simili all'attuale Mar Caspio. Ma una successiva fase arida ebbe inizio circa 5.000 anni fa e attorno al 2.000 a.C. il lago Taoudenni in Mali si era completamente prosciugato. Oggi la catena montuosa dell'Atlante si estende dal Marocco alla Tunisia, separando la costa mediterranea dal deserto sahariano. Il sistema montuoso ha una grande influenza sul clima, generando una barriera alle correnti umide oceaniche, contribuendo quindi in maniera determinante all'aridità della fascia interna. Presenta molte vette sopra i 3000 metri e culmina nell'Alto Atlante con il Gebel Toubkal (4165).

(3) Il nazionalsocialismo è stato da più parti accusato di inconfessabili rapporti con ambienti esoterici, fino a definirlo, sostanzialmente, una setta segreta andata al potere. Subito dopo la fine della guerra circolò l'ipotesi che Hitler fosse sfuggito agli Alleati. Nel 1964 uscì un libro firmato Darius Caasy, che riprendeva una serie di fantasmagoriche ipotesi che si erano susseguite negli anni. Secondo l'autore Hitler era sopravvissuto e si era rifugiato in Sud America, dove in una enorme e autosufficiente città sotterranea stava preparando il ritorno del Quarto Reich. I nazisti erano anch'essi in possesso della bomba atomica, di altre armi segrete ed erano i reali costruttori dei dischi volanti. I mondi sotterranei suscitano evidentemente un'attrazione irresistibile.

(4) Conan il Cimmero nasce come evoluzione di un personaggio precedente chiamato Kull. I Cimmeri discendono dalla razza Atlantidea, e vivono una lotta fatta di sopraffazione e sopravvivenza, insieme con altre razze umane e preumane, in un'epoca e in un mondo immaginario, sprofondato in uno stato ferocemente primitivo e precedente all'epoca storica: l'Era Hyboriana. Questo tempo, successivo ai cataclismi che hanno distrutto Atlantide e Lemuria, che possiamo immaginare esistito circa 12.000 anni fa, viene raffigurato con grande profusione di particolari, come sarà caratteristico anche della saga "Il Signore degli Anelli", di J.R.R.Tolkien. Il termine Hyboriani richiama quello greco Iperborei, con cui si indicavano genericamente i popoli poco conosciuti dell'estremo nord, da cui veniva appunto il vento di borea. Robert Ervin Howard, autodidatta, descritto di umore variabile, sempre oscillante tra l'allegria e la depressione, muore prematuramente a trent'anni, suicida, dopo la notizia che la madre malata è entrata in coma. Dopo la II Guerra Mondiale L.Sprague De Camp fu il grande artefice della rinascita di Conan, terminando molti racconti rimasti incompleti e creandone di nuovi, affiancato da Lin Carter e Bjorn Nyberg, Poul Anderson e altri.

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jasmine23
view post Posted on 22/7/2007, 14:20




CIVILTà PERDUTE - Atlantide

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Le origini
Con il termine Atlantide si vuole indicare, anche da parte dei geologi, un ipotetico grandissimo continente sprofondato, migliaia e migliaia di anni fa, nelle acque dell'attuale Oceano Atlantico che ne assunse il nome.
Una teoria che circolava nel XVII era quella secondo la quale l'Atlantide sarebbe esistita ad occidente di Gibilterra, ed inoltre si affermava che le isole Canarie e l'arcipelago delle Azzorre devono considerarsi avanzi dell'antico continente atlanteo. Ma cosa c'è di vero? E' frutto solo di immaginazione oppure è esistito davvero il continente dell'Atlantide?
Comunque sia fra tutti i popoli della terra esistono tradizioni concordanti che manifestano il ricordo del misterioso continente sommerso, al quale si deve attribuire l'origine di molte leggende.
Le notizie più complete di cui disponiamo di Atlantide ci vengono fornite da Platone (Atene 428-27 348-47 a.C.) che la descrisse in due dei suoi famosi dialoghi, il "Timeo" e il "Crizia" che hanno dato origine a opinioni contrastanti.
Il filosofo greco basa la sua descrizione di Atlantide su quelli che, secondo lui, erano i documenti scritti conservati dai sacerdoti egizi di Sais e i dipinti sulle colonne del tempio.
Ecco dunque riportato dal testo del Timeo il dialogo che il legislatore ateniese Solone (638 558 a.C.), un antenato di Platone, ebbe proprio con i sacerdoti Sais:
"Molte grandi opere pertanto della città vostra (Atene) qui si ammirano, ma a tutte una ne va di sopra per grandezza e per valore; perocché dice lo scritto di una immensa potenza cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaso insieme l'Europa tutta e l'Asia, venendo fuori dal mare atlantico.
Infatti allora per quel mare la si poteva passare; che innanzi a quella foce stretta che si chiama, come dite voi, colonne d'Ercole, c'era un isola. E quest'isola era più grande della Libia e dell'Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole, e da queste isole alla terraferma di fronte ( ... ). In quell'isola chiamata Atlantide v'era un regno che dominava non solo tutta l'isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente al di là: il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle Colonne d'Ercole; includendo la Libia, l'Egitto e altre regioni dell'Europa fino alla Tirrenia.
In tempi posteriori per altro, essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte ... tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l'isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve".
A parlare è Crizia, parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella capitale amministrativa dell'Egitto, Sais. Qui aveva cercato di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei confronti di un altro su cui gli Egizi possedevano molta documentazione scritta.
Secondo il sacerdote egiziano, una civiltà evoluta era esistita per secoli su "un'isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme"; l'isola era stata distrutta novemila anni prima da un immane cataclisma insieme a tutti i suoi abitanti.
Le parole di Crizia sono riportate nei "Dialoghi" Timeo e Crizia, scritti da Platone attorno al 340 a.C. Ecco come il filosofo greco descrive l'isola, sempre per bocca del sacerdote egiziano. "Dal mare, verso il mezzo dell'intera isola, c'era una pianura, la più bella e la più fertile di tutte le pianure, e rispetto al centro sorgeva una montagna non molto alta ( ... )."
La descrizione continua a lungo, inframmezzata da commenti sulla genealogia degli abitanti di Atlantide: ne emerge l'identikit di un territorio rettangolare di 540 x 360 chilometri, circondato su tre lati da montagne che lo proteggono dai venti freddi, e aperto a sud sul mare. La pianura è irrigata artificialmente da un complesso sistema di canali perpendicolari tra loro, che la dividono in seicento quadrati di terra chiamati "klerossu" in cui si trovano floridi insediamenti agricoli. La città principale, Atlantide, sorge sulla costa meridionale; è circondata da una cerchia di mura la cui circonferenza misura settantun chilometri; la città vera e propria, protetta da altre cerchie d'acqua e di terra, ha un diametro di circa cinque chilometri.
In altre parole Atlantide misura quasi otto volte la Sicilia; se non proprio un continente, è pur sempre un'isola di grandezza non disprezzabile. Crizia descrive la fertilità delle sue terre popolate, tra l'altro, da elefanti giacché anche per quell'animale, il più grosso e il più vorace di tutti, c'era abbondante pastura.
Dopo aver descritto la fondazione di Atlantide per opera di Poseidone il filosofo si addentra nei particolari sulla ricchezza e lo splendore di un impero che si riteneva vasto come l'Egitto: "Possedevano ricchezze così ingenti come mai prima d'ora ve ne furono in alcuna dominazione di Re e come è improbabile che potranno esservene in futuro, e disponevano di tutto ciò di cui potevano aver bisogno, sia nelle città, sia nelle campagne. Grazie alla loro potenza, molte cose venivano procurate da paesi stranieri; ma l'isola produceva essa stessa quasi tutto ciò che è necessario alla vita, in primo luogo tutti i metalli solidi e fusibili. E quel metallo, del quale non conosciamo oggi altro che il nome, l'oricalco, vi si trova in abbondanza, essendo estratto in molti punti dell'isola e dopo l'oro, era il metallo più prezioso. L'isola forniva alle arti tutto il materiale onde abbisognavano; nutriva un gran numero di animali domestici e di bestie selvagge, e tra questi numerosissimi elefanti; dava pastura agli animali degli stagni, dei laghi e dei fiumi,, a quelli delle montagne e dei piani …".
L'accenno che Platone fa sugli elefanti suggerisce una connessione con le leggende e le raffigurazioni degli elefanti in America.
La descrizione del clima dell'Atlantide e della varietà di alimenti di cui i suoi abitatori potevano disporre fa pensare ad un paradiso terrestre: "Produceva e manteneva tutti i profumi che la terra produce oggi in diverse contrade, e cioè radici, erbe, piante, succhi scorrenti dai fiori o dai frutti. Vi si trovava altresì il frutto della vite; e quello che ci serve di solido nutrimento, il grano … Questi sono i divini e mirabili tesori che in quantità indicibile produceva quell'isola, fiorente allora sotto il sole".
Il possente impero di Atlantide, che si estende sulle isole vicine, è diviso in dieci stati confederati, ognuno dei quali è retto da un re; lo stato sovrano, quello che comprende la città di Atlantide, è suddiviso a sua volta in sessantamila distretti; ogni cinque o sei anni si svolge una sorta di pubblica assemblea con la partecipazione del popolo che giudica l operato delle varie amministrazioni.
Gli Atlantidei, non paghi di dominare sulle loro isole, hanno fondato colonie nella terraferma di fronte (l'America?), in Egitto, in Libia e in Etruria.
Ma non sono riusciti a sconfiggere l'impero di Atene, fondato nel 9600 a.C. dalla Dea Minerva e organizzato secondo gli stessi criteri che Platone aveva esposto nella sua opera La Repubblica.
Dopo molti anni di guerra, un grande terremoto e un'inondazione devastano Atene, inghiottono il suo esercito e fanno sprofondare anche Atlantide nelle acque dell'oceano. Una giusta punizione, in quanto, con il trascorrere dei secoli, gli Atlantidei si sono corrotti:
"Quando l'elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro, il carattere umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli che sono inetti a scorgere qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano di avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente, volle impartir loro un castigo affinché diventassero più saggi. Convocò gli dei tutti, e disse ...".
Cosa disse Giove, possiamo solo intuirlo: infatti con queste parole si conclude il Crizia. Ma il vecchio sacerdote l'ha già spiegato in precedenza:
"Più tardi, avvenuti dei terremoti e dei cataclismi straordinari, tutta la vostra stirpe guerriera (cioè gli Ateniesi) sprofondò sotto terra, e similmente l'isola di Atlantide s'inabissò in mare e scomparve".
Di quanto ha raccontato, afferma Crizia, l'Egitto è l'unico paese che possiede molta documentazione scritta, perché, contrariamente alle terre vicine, non fu coinvolto dalla catastrofe; e a questo proposito si scusa con i lettori per aver imposto nomi greci ai sovrani di Atlantide.
Nei loro annali, infatti, gli Egiziani avevano tradotti i nomi nella propria lingua, secondo il costume dell'epoca; successivamente Solone li aveva a sua volta reinterpretati in greco, e così glieli aveva riferiti. "Quando dunque udrete dei nomi simili a quelli nostri, non meravigliatevene, giacché ne conoscete il motivo".

Da Platone a Colombo
Probabilmente il filosofo greco non immaginava che la sua breve narrazione (più o meno una decina delle nostre pagine) avrebbe fatto scorrere più inchiostro del suo intero corpus filosofico: circa venticinquemila opere dedicate a una civiltà che, forse, non è neppure esistita.
Caso più unico che raro (altri antichi luoghi misteriosi, come il Triangolo delle Bermuda, sono stati scoperti e discussi solo in tempi recentissimi), il problema dell'esistenza o meno di Atlantide scatenò subito polemiche.
A parte vari accenni a terre al di là delle colonne d'Ercole (per esempio la Cymmeria citata da Omero nell'Odissea), e l'accenno al popolo degli Atalanti, "che non mangiano alcun essere animato" e "non sognano mai", nelle Storie di Erodoto, il tema del Timeo e Crizia costituiva (almeno per quanto ne sappiamo noi) un'assoluta novità. Aristotele, discepolo di Platone, non diede molta importanza alla narrazione del suo Maestro, e questa non-opinione ebbe un peso determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato un'autorità indiscussa e ciò che lui aveva detto ("Ipse Dixit"), e che non a caso concordava con la visione geocentrica dell'universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato.
Per di più l'esistenza di un continente distrutto novemila anni prima non coincideva con la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.
Ma, nel 1492, Cristoforo Colombo scoprì che, al di là dell'Atlantico, esisteva davvero una terra e il filosofo inglese Francis Bacon suggerì che avrebbe potuto trattarsi del continente descritto nel Crizia.
(Si narra che anche Cristoforo Colombo fu spinto ad avventurarsi nell'oceano dopo aver udito il racconto di un monaco irlandese che affermava di aver traversato l'atlantico con dei navigatori normanni e di essere approdato in una vastissima terra popolata di uomini rossi. Colombo pensò allora che questa terra fosse un avanzo dell'antica Atlantide, ma durante il viaggio non incontrò sulla sua rotta che la terra delle Indie, che fu poi chiamata America).

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Molte opinioni cominciarono a modificarsi, tanto che nel XVI e XVII secolo Guillaume Postel, John Dee, Sanson, Robert de Vangoudy e molti altri cartografi chiamarono le Americhe con il nome di Atlantide.
Dopo la Conquista, si scoprì pure che un antica leggenda degli indigeni del Messico, trascritta nel Codice Aubin, iniziava con queste parole: "Gli Uexotzincas, i Xochimilacas, i Cuitlahuacas, i Matlatzincas, i Malincalas abbandonarono Aztlan e vagarono senza meta". Aztlan era un'isola dell'Atlantico e le antiche tribù avevano dovuto lasciarla perché stava sprofondando nell'oceano.
Dall'isola i superstiti avevano preso il nome: si facevano infatti chiamare Aztechi, ovvero "Abitanti di Aztlan". Per la cronaca, in Messico questa teoria non è relegata nei volumi fantastici: viene insegnata a scuola un po' come da noi la storia di Romolo e Remo; al Museo di Antropologia di Città del Messico sono esposti molti antichi disegni che descrivono la migrazione.

Il ritorno di Atlantide
Qualcuno comincia a rilevare alcune analogie tra la civiltà dell'antico Egitto e quelle dell'America Centrale: costruzioni piramidali, imbalsamazione, anno diviso in 365 giorni, leggende, affinità linguistiche. Atlantide sarebbe stata dunque una sorta di ponte naturale tra le due civiltà, esteso, probabilmente, tra le Azzorre e le Bahamas.
Nel 1815, Joseph Smith, contadino quindicenne di Manchester, nella Contea di Ontario a New York, ebbe un primo incontro con un angelo di nome Moroni che gli promise rivelazioni straordinarie. Molti anni dopo l'angelo gli mostrò il nascondiglio di alcune preziose tavole scritte in una lingua sconosciuta, che Smith, illuminato dall'ispirazione divina, si mise diligentemente a tradurre.
Nel 1830 uscì Il libro di Mormon, vera e propria bibbia della setta dei Mormoni, che descrive una distruzione con caratteristiche del tutto atlantidee (anche se l'Atlantide non vi è citata) avvenuta subito dopo la crocifissione di Cristo.
"Nel trentaquattresimo anno, nel primo mese, nel quarto giorno, sorse un grande uragano, tal che non se ne era mai visto uno simile sulla terra; e vi fu pure una grande e orribile tempesta, e un orribile tuono che scosse la terra intera come se stesse per fendersi ( ... ). E molte città grandi e importanti si inabissarono, altre furono in preda alle fiamme, parecchie furono scosse finché gli edifici crollarono, e gli abitanti furono uccisi e i luoghi ridotti in desolazione ( ... ) Così la superficie di tutta la terra fu deformata e scese una fitta oscurità su tutto il paese e per l'oscurità non poterono accendere alcuna luce, né candele né fiaccole ...".
I superstiti, il popolo di Nefi, si erano rifugiati in tempo "nel paese di Abbondanza", dove avevano costruito templi e città, tra cui quello di Palenque e una grande fortezza identificata successivamente con Machu Picchu.
Trentadue anni più tardi un eccentrico studioso francese, l'abate Charles-Etienne Brasseur, scoprì la "prova definitiva" del collegamento tra Mediterraneo, Atlantide e Centro America.
Le sue teorie furono immediatamente screditate, ma ispirarono la prima opera veramente popolare sull'argomento: Atlantis, the Antediluvian World ("Atlantide, il mondo antidiluviano") dell'americano Ignatius Donnelly (1882).
Secondo Donnelly, Atlantide era il biblico Paradiso Terrestre, e là si erano sviluppate le prime civiltà. I suoi abitanti si erano sparpagliati in America, Europa e Asia; i suoi re e le sue regine erano divenuti gli Dèi delle antiche religioni.
Poi, circa tredicimila anni fa, l'intero continente era stato sommerso da un cataclisma di origine vulcanica. A sostegno della sua tesi, Donnelly adduceva le analogie culturali descritte sopra e qualche prova geologica a dire il vero non troppo convincente.
Dall'altra parte dell'oceano Augustus Le Plongeon, medico francese contemporaneo di Donnelly, che per primo aveva scavato tra le rovine Maya nello Yucatan, riprese indipendentemente la tematica di The Antediluvian World in Sacred Mysteries among the Mayas and Quiches 11.500 Years Ago; their Relation to the Sacred Mysteries of Egypt, Greece, Caldea and India ("Misteri sacri dei Maya e dei Quiché 11500 anni fa; loro relazione con i Misteri Sacri degli Egizi, dei Greci, dei Caldei e degli Indiani").
A parte la smisurata lunghezza del titolo, il suo libro ottenne un grande successo e contribuì in larga misura alla diffusione al rilancio del mito.

I predatori della città perduta
Gli studi pseudo-scientifici pro e contro Atlantide cominciarono a succedersi a ritmo vertiginoso. La gran massa degli studiosi concordava nel situare Atlantide in mezzo all'Atlantico, come suggerisce la sua stessa denominazione; ma in Francia le cose andarono diversamente.
Il botanico D. A. Godron fondò la "Scuola dell'Atlantide" in Africa nel 1868, collocando la città perduta nel deserto del Sahara. Godron e il suo seguace Berlioux si rifacevano all'opera Biblioteca Storica del greco Diodoro Siculo (90-20 a.C.), il quale aveva affermato che "un tempo, nelle parti occidentali della Libia, ai confini del mondo abitato, viveva una razza governata dalle donne ( ... ). La regina di queste donne guerriere chiamate Amazzoni, Myrina, radunò un esercito di trentamila fanti e tremila cavalieri, penetrò nella terra degli Atlantidei e conquistò la città di Kerne".
Niente, dunque, a che vedere con la tradizione platonica; tuttavia i francesi possedevano molte colonie in Nord Africa e una possibile collocazione di Atlantide in quel territorio solleticava, evidentemente, il loro nazionalismo.
Si spiegano così le numerose spedizioni susseguitesi alla ricerca della città perduta nel massiccio dell'Ahaggar.
Altre Atlantidi sono state collocate in luoghi spesso ancor più fantasiosi: in Inghilterra al largo delle coste della Cornovaglia ove sarebbe sprofondata la mitica città di Lyonesse, in Brasile, Nord America, Ceylon, Mongolia, Sud Africa, Malta, Palestina, Prussia Orientale, Creta, Santorini.
Quest'ultima collocazione, sostenuta dall'archeologo greco Spiridon Marinatos, insieme con l'irlandese J. V. Luce, e descritta nel volume The End of Atlantis: New light on an Old Legend ("La fine di Atlantide"), accontenta parecchi studiosi tradizionali.
La civiltà di Akrotiri, nell'isola greca di Santorini, fu effettivamente distrutta nel 1400 a.C. da un'eruzione vulcanica. Per un espediente narrativo, Platone l'avrebbe trasportata al di là delle colonne d'Ercole, l'avrebbe ingrandita a livello di continente e avrebbe ambientato l'episodio in un epoca assai precedente.
Secondo l'italiano Flavio Barbero, Atlantide si sarebbe trovata in Antartide.
In tempi remoti il clima di quel territorio era temperato e una civiltà vi ci si sarebbe potuta tranquillamente sviluppare; poi le glaciazioni l'avrebbero completamente distrutta (l'ipotesi é esposta nel volume Una civiltà sotto il ghiacci, 1974).
Un altra recente teoria identifica Atlantide con Tartesso, prosperosa città-stato di origine fenicia costruita su un'isola alle foci del Guadalquivir.
Nel quinto secolo a.C. la città venne completamente distrutta, probabilmente da un attacco cartaginese, lasciando sicuramente dietro di sé la leggenda di una grande civiltà scomparsa all'improvviso.
Intorno al 1920 l'archeologo tedesco Adolf Schulten ne identificò la posizione: sarebbe sorta nei pressi di Cadice, l'antica Gades, e, in effetti, Platone parla nel suo racconto di un re chiamato Gadiro. Tartesso presenta qualche analogia con la città descritta dal filosofo greco: era irrigata da canali, era fertile e ricca di minerali, e sopratutto andò distrutta in brevissimo tempo.
Sempre a Cadice è ambientata una singolare truffa: nel 1973 la sensitiva Maxine Asher riuscì a convincere il rettorato dell'università di Pepperdine (California) a finanziare una spedizione sottomarina in Spagna, dove forti vibrazioni psichiche le avevano segnalato la presenza di una città sommersa. Parecchi studenti e professori sborsarono dai 2000 ai 2400 dollari, e la Asher partì effettivamente per Cadice, da dove diramò un falso comunicato stampa che confermava il ritrovamento. Ricercata dalle autorità spagnole - si era eclissata con il denaro raccolto - fu arrestata in Irlanda, mentre stava organizzando un'identica messinscena.
Se anche voi intendete partire alla ricerca di Atlantide, prendete contatto con l'Atlantis Research Group (F.G. Lanham Federal Building, 819 Taylor Street, Box 17364, Ft. Worth, TX 76102-0364, USA): i suoi affiliati vi sapranno dare preziose indicazioni.

L'Atlantide esoterica
Verso la fine del secolo scorso, lo studioso inglese Philip L. Slater ipotizzò l'esistenza di un sub-continente sommerso (da lui battezzato "Lemuria") che avrebbe potuto unire l'Africa all'Asia in un'epoca remotissima.
Non c'è da stupirsi se, nel romantico clima ottocentesco, l'ipotesi dell'esistenza di un nuovo continente scomparso incontrò subito grande successo.
Nel 1888 Helena Blavatsky, fondatrice di un gruppo esoterico chiamato "Società Teosofica", confermò entusiasticamente la teoria, che lei già conosceva per averla letta (insieme alla "vera" storia della fine di Atlantide) nelle misteriose "Stanze di Dzyan", un antico libro scritto in una lingua sconosciuta che racchiudeva la storia dimenticata dell'uomo.
Secondo la Blavatsky, ad Atlantide e a Lemuria abitava la terza di sei razze che avrebbero popolato la terra in tempi remoti; i suoi rappresentanti erano poco meno che Dèi, dotati di straordinarie conoscenze esoteriche poi tramandatesi solo entro una ristrettissima cerchia di iniziati.
La Teosofia rese così popolare una nuova concezione di Atlantide: il continente divenne d'improvviso l'inizio del sapere e della civiltà (Gerardo D'Amato, 1924); addirittura la fonte primigenia della civilizzazione.
Alcuni "Grandi iniziati" sopravvissuti alla sua distruzione - tra cui il Mago Merlino dei miti di Re Artù - avrebbero trasmesso ai loro discendenti segrete conoscenze esoteriche; come gli alieni per i fautori della "ipotesi extraterrestre": essi sarebbero i responsabili di molte delle costruzioni, oggetti e fenomeni inesplicabili".
Nel 1935 il medium americano Edgar Cayce affermò in stato di trance che Atlantide era stata distrutta a causa del cattivo uso di oscure forze da parte di malvagi sacerdoti e predisse che alcune parti del continente perduto sarebbero riemerse entro pochi anni a Bimini, al largo della costa della Florida. In effetti, proprio in questa località e proprio alla data prevista, nel 1969, l'archeologo subacqueo Manson Valentine rinvenne alcune costruzioni sommerse (le tracce di una larga strada e un tempio) la cui origine è tutt'ora in discussione. Secondo "l'ipotesi extraterrestre", Atlantide e Mu sarebbero invece state basi di alieni, distruttesi a causa di un cattivo uso dell'energia nucleare.

Il cataclisma
Ammessa (e non concessa) l'esistenza di Atlantide, quando potrebbe essere avvenuta la sua distruzione e cosa potrebbe averla determinata?
Sul primo punto ("Quando"), gli Atlantidisti sono abbastanza concordi: intorno a 10.000 anni fa, più o meno nel periodo descritto da Platone. Otto Muck, autore de "I Segreti di Atlantide", ha ricostruito con complessi calcoli basati sul calendario Maya addirittura il giorno esatto della catastrofe: il 5 giugno dell'8498 a.C.
Per quanto riguarda le cause, le ipotesi sono molteplici: dall'eruzione vulcanica, a una guerra nucleare, alla caduta di un asteroide o di una seconda luna che, in tempi remoti, avrebbe orbitato intorno al nostro pianeta.
Un cataclisma di tale portata potrebbe arrecare conseguenze di vari ordini. La scomparsa di un continente modificherebbe innanzitutto le correnti oceaniche, mutando in modo radicale le situazioni climatiche, creando nuove glaciazioni e nuove zone desertiche.
L'onda d'urto e la susseguente marea distruggerebbero gran parte delle città portuali e molte città dell'interno; l'immensa e rapidissima compressione causata dall'impatto con un gigantesco asteroide provocherebbe una radioattività pari a quella di numerose bombe H. La polvere sollevata da una simile esplosione oscurerebbe il sole per anni, provocando terrori ancestrali (e, tra l'altro, ulteriori conseguenze sul clima e i raccolti).
Se Atlantide fosse stata davvero la dominatrice di altre civiltà, inoltre, la sua scomparsa avrebbe suscitato lotte e sconvolgimenti.
Insomma, se Atlantide fosse stata distrutta in un giorno e una notte, come Platone asserisce, la Terra avrebbe conosciuto necessariamente un'era di barbarie e una nuova civilizzazione non avrebbe potuto evolversi prima di cinque - seimila anni. Il tempo sufficiente per cancellare e trasformare in leggenda ogni traccia di un remoto passato.
Platone conferma la storia dei cataclismi che si scatenarono in quel periodo, nelle "Leggi" in cui afferma che "un tempo vi furono grandi mortalità, causate da inondazioni e da altre generali calamità, dalle quale ben pochi uomini riuscirono a salvarsi. Ed è ovvio pensare che, essendo state le città completamente rase da tale distruzione, gran parte della loro civiltà fu con esse seppellita sotto le acque, ed è occorso lunghissimo tempo per ritrovarne la traccia, e cioè non meno di parecchie migliaia di anni".
Secondo la tradizione egizio - indiana, confermata anche da quella del Galles, la scomparsa dell'Atlantide sarebbe avvenuta in seguito a quattro catastrofi, scatenate probabilmente dall'azione vulcanica.
Il primo cataclisma avvenne circa 800.000 anni fa e fu determinato dal rovesciamento dei poli. Questo avrebbe cominciato ad attaccare l'ossatura terrosa dell'Atlantide che successivamente sarebbe stata spazzata via insieme a tutte le terre emergenti dell'Oceano dalle masse d'acqua provenienti dal nord.
Il secondo Cataclisma probabilmente di origine vulcanica, sarebbe avvenuto circa 200.000 anni fa e per causa sua l'Atlantide restò ridotta e diminuita.
Il terzo cataclisma, causato all'azione vulcanica, avvenne 80.000 anni fa e dette alla terra un aspetto del tutto differente, riducendo l'Atlantide a due isole Routo e Daitya.
Infine il quarto cataclisma ebbe luogo nell'anno 9564 a.C. quando Atlantide non esisteva che allo stato d'isola: l'isola di Poseidone. Essa fu inghiottita e disparve così dalla terra.
E' importante notare come queste tradizioni coincidano in un certo senso con il racconto di Platone, in cui il sacerdote Sais afferma che a lunghi intervalli, avvengono perturbazioni causate dei movimenti celesti, in modo che delle conflagrazioni generali necessariamente ne seguano.
Una memoria della catastrofe geologica che colpì Atlantide è stata conservata dalle nazioni che secondo ogni probabilità, facevano parte dell'antico impero atlantideo.
I Toltechi del Messico e gli Incas del Perù affermavano di essere discendenti di Atlan o Aztlan una terra lontana "dove si elevava un'alta montagna ed un giardino abitato dagli dei".
Anche i Dakotas dell'America del nord raccontano che essi provengono da un'isola situata contro il sol levante, che fu poi sommersa e dalla quale scapparono all'epoca del cataclisma.
Una descrizione dell'immagine del cataclisma è contenuta nell'atzeco Codex Chimalpopoca: "In tal momento il cielo si congiunse con l'acqua, in un sol giorno tutto fu perduto e il giorno consumo tutta l'umanità … anche la montagna sparì sott'acqua".
Nel famoso libro sacro Maya (conservato nel British Museum) si legge: "Nell'anno 6 del Kan, il II muluc, nel mese di zac, si fecero dei terribili terremoti e continuarono senza interruzione sino al 13 chuen. La contrada delle colline di Argilla, il paese di Ma, fu sacrificato. Dopo essere stato scosso due volte, scomparve ad un tratto durante la notte. Il suolo era continuamente sollevato da forze vulcaniche, che lo facevano alzare ed abbassare in mille località. Infine cadette … ciò avvenne 8060 anni prima della composizione di questo libro".
E' importante notare come questa data dell'inabissamento di Atlantide coincida esattamente con quella dei preti egiziani che la stabiliscono come avvenuta nell'anno 9564 a.C. Infatti aggiungendo a quest'epoca gli anni dell'era volgare, si arriva a 11490 anni circa, e aggiungendo agli anni 8060 del Maya i 3400 di antichità del Libro, si ottiene in totale 11460 anni.
Ad Haiti e nelle Antille vi è una tradizione che dice: "Il mare si rovesciò attraverso i rotti argini e tutta la pianura che si stendeva lontano, senza né fine né termine da alcun lato, fu coperta dalle acque … soltanto le montagne, a causa della loro altezza, non furono coperte da questa inondazione e le isole".
Secondo le tradizioni gallesi, riguardanti l'Atlantide, tre razze avevano occupato il paese dei Galli e l'Armonica: la popolazione indigena, gli invasori atlanti e i Galli ariani. Inoltre secondo tali tradizioni, ci furono tre grandi catastrofi che avevano sommerso a tre varie riprese un immenso continente, del quale il paese dei galli costituiva una estremità. Inoltre i vecchi Galli raccontavano, mostrando l'Oceano Atlantico, che una volta le foreste si stendevano molto lungi nel mare e coprivano una immensa distesa.
Più preciso è un testo scritto dal filosofo greco Proclo (Costantinopoli 410 - Atene 485) nel quale afferma che: "Gli storici che parlano delle isole del Mare Esteriore dicono che ai loro tempi vi erano sette isole consacrate a Proserpina e tre altre ne esistevano, di una superficie immensa, delle quali la prima era consacrata a Plutone, la seconda ad Ammone e la terza, della grandezza di mille stadi, a Poseidone. Gli abitanti di quest'ultima isola hanno conservato dai loro antenati il ricordo di Atlantide, cioè un'isola immensamente grande, che esercitò lungamente il dominio su tutte le isole dell'oceano atlantico …".
Informazioni più dettagliate su Atlantide le troviamo sempre nel testo del Timeo, ed è Critia che ce le espone: "L'Atlantide era dunque toccata a Poseidone. Egli mise in una parte di quest'isola dei piccoli che aveva avuto da una mortale ... Ed era una pianura situata vicino al, mare e, verso il mezzo dell'isola, la più fertile di tutte le pianure ... I figli di Poseidone ed i loro discendenti regnarono nel paese per una lunga serie di generazioni, ed il loro impero si estendeva sopra un gran numero di altre isole, anche al di là dello stretto, come già si disse fino all'Egitto e alla Tirrenia …".

Prove
A parte alcune intuizioni del racconto di Platone (per esempio quella di un vero continente al di là dell'oceano) rivelatesi poi veritiere, quali fatti concreti supportano l'esistenza storica di Atlantide?
Le uniche prove a favore su cui possiamo basarci sono di carattere puramente indiziario. Esistono, per esempio, manufatti non inquadrabili in modo canonico come prodotti di civiltà note.
C'è, soprattutto, una vasta tradizione a proposito di una grande catastrofe avvenuta in tempi remoti: lo spaventoso diluvio universale da cui solo pochi eletti si salvarono per volere divino.
Nel XVIII secolo geologi e naturalisti valutando la modificazione fisica dei terreni e la somiglianza tra le razze animali e la flora del nuovo e dell'antico continente, ammisero la necessità di un continente intermedio, che fosse loro servito da ponte naturale.
Inoltre la presenza della vita di animali e insetti continentali nelle Azzorre, nelle Canarie e a Madera implica che le Azzore facevano un tempo parte di un continente.
Anche il naturalista francese Luigi Germain, dopo attenti studi sulla fauna e la flora delle Azzorre, di Madera, delle Canarie e del Capo Verde, concluse che verso la metà dell'evo terziario questi quattro arcipelaghi formavano una sola terra unita a nord con la penisola iberica, a sud con la Mauritania, ad ovest con le Bermuda e con le Antille. Alla fine del terziario, a causa di vasti movimenti orogenici, ci fu lo "spezzamento": da prima è una larga frattura occidentale che isola definitivamente l'Antico e il nuovo continente, poi è un profondo avvallamento che lo separa dall'Africa attuale. Ciò che ne restò avrebbe formato L'Atlantide di cui parla Platone.
Dunque, sia la geologia che la paleontologia, ammettono ufficialmente l'esistenza dell'Atlantide, un vastissimo continente dell'epoca terziaria che man mano si riduce di estensione dalla fine del terziario all'inizio del quaternario.
L'archeologo e paleontologo francese De Morgan constata che "al principio del post-glaciale dei ponti esistevano molto certamente nel mar mediterraneo, e fosse per mezzo dell'Atlantide o di qualche terra scomparsa il Nuovo mondo comunicava con la nostra Europa".
Le isole Canarie, dove venne trovata e sterminata un'antica razza di sopravvissuti, e le Azzorre, dove si dice siano state ritrovate statue, lapidi e rovine sommerse, vengono considerate da alcuni ricercatori come le cime delle montagne del sommerso continente di Atlantide.
Secondo gli scandagli fatti in epoca recente sul fondo dell'Atlantico il livello medio è di 4800 metri sotto la superficie liquida, ma con una voragine di 7137 metri. Immaginando l'Atlantico senza acqua, vedremmo due vallate che si allungano da nord a sud e separate da una ruga mediterranea a lato di questo solco, del quale la sommità resta soltanto a 1800 metri sotto il livello delle acque, con due fossati, larghi e profondi.
Nel 1898 una nave posacavi, nel tentativo di recuperare un cavo che si era spezzato a nord delle Azzorre, portò in superficie frammenti di tachilite, una specie di lava vetrosa che si forma esclusivamente sopra il livello delle acque e in presenza dell'atmosfera. Da qui la certezza di immensi inabissamenti, nei quali delle isole e forse dei continenti sono scamparsi. Da qui la certezza che la terra che costituisce oggi il fondo dell'Atlantico, a 900 chilometri dalle Azzorre, fu coperta da colate di lava quando ancora era sommersa.
Bory de Saint-Vincent dichiara che, dopo aver compiuto lunghe crociere per studiare lo stato geologico delle isole ad occidente dell'Africa settentrionale, Madera, le Azzorre e le isole del Capo Verde appaiono come resti di un antico continente.
Inoltre, secondo la sua teoria, la scomparsa dell'Atlantide sarebbe stata causata da un lago immenso, chiamato Tritonide, anticamente esistito in Africa settentrionale, che in conseguenza di un violento terremoto avrebbe rotto la sua breve diga, rovesciando le sue enormi masse d'acqua prima nel canale che separava il continente africano da quello atlantico e poi sulla stessa Atlantide, lasciando così a secco il suo letto, che non è altro che il deserto del Sahara.

Cronologia Atlantidea
Comparando le varie teorie sull'origine e la distruzione di Atlantide è possibile tracciarne un'immaginaria cronologia.
Prima di ogni paragrafo troverete citata tra parentesi la dottrina a cui la cronologia si riferisce; noterete l'abbondanza di riferimenti alla Teosofia, il movimento fondato da Madame Blavatsky.
1 - Tra 4.500.000 e 900.000 anni fa: l'Homo sapiens nasce ad Atlantide (Teosofia)
"A 7 gradi di latitudine Nord e a 5 gradi di Longitudine Ovest, nella località ove ora si trova la costa Ashanti, compaiono gli Atlantidei, primi rappresentanti della Quinta Razza Madre" (W. Scott Eliott, The Story of Atlantis & Lost Lemuria, 1896). Si sono evoluti lentamente a partire dalle razze Lemuriane; hanno perso il loro colore azzurro e sono diventati prima rossi, poi viola e infine del nostro attuale colore rosato. I primi Atlantidei si chiamano Rmohal ; sono dotati di poteri ESP e di una struttura sociale piuttosto grossolana; daranno origine all'Uomo cosiddetto "di Cro Magnon" che genererà la razza Lappone e Australiana.
Nel giro di due milioni di anni i Rmohal emigrano verso un vastissimo territorio: Atlantide; non si tratta dell'isola "Più grande della Libia e dell'Asia messe insieme" descritta da Atlantide, ma di un supercontinente che comprende le due Americhe, Irlanda, Scozia, parte dell'Inghilterra e, dal Brasile, raggiunge la Costa d'Oro. Dopo aver sconfitto gli ultimi superstiti della catastrofe Lemuriana che vi si erano insediati, gli Atlantidei si differenziano in vari ceppi, tra cui i popoli che i moderni antropologi hanno battezzato Tlavatli (Cinesi e Aztechi, "Violenti, indisciplinati, brutali e crudeli" ), Toltechi e Turanici (i futuri Caldei, "Sotto parecchi aspetti, gente poco simpatica").
2 - 900.000 anni fa: la fondazione di Tiahuanaco (Dottrina del Ghiaccio Cosmico)
La terza delle varie lune che - secondo la "Dottrina del Ghiaccio Cosmico" del visionario pseudo-scienziato tedesco Hans Horbiger - avrebbero ruotato in tempi remoti intorno alla Terra per poi precipitare disastrosamente sulla sua superficie, si avvicina alla Terra, facendo salire il livello delle acque.
Gli uomini e i giganti, loro re, salgono quindi sulle cime più alte e fondano la civiltà marittima mondiale di Atlantide.
Presso il lago Titicaca, nell'attuale Bolivia, i giganti edificano il complesso di Tiahuanaco; la loro forza colossale permette loro di realizzare un'opera impossibile per i comuni esseri umani (Hans Horbiger, Glazial Kosmologie, 1913).
"Dai lineamenti dei volti dei giganti giunge ai nostri occhi e al nostro cuore un'espressione di sovrana bontà e di sovrana saggezza; un'armonia di tutto l'essere spira dal colosso, le cui mani ed il cui corpo, nobilmente stilizzati, posano in un equilibrio che ha un valore morale" (Anthony Bellamy, Moons, Myths and Man, 1931).
I Toltechi, la Seconda Sottorazza atlantidea, con i loro due metri e mezzo di altezza non sono da meno dei Giganti; ad Atlantide edificano un immenso complesso, "La città delle porte d'oro", che sorge "presso la costa orientale, a circa quindici gradi a nord dell'Equatore, sulle pendici di una collina alta circa centocinquanta metri sulla pianura; sulla sommità della collina erano il palazzo e i giardini dell'imperatore, in mezzo ai quali sgorgava un getto d'acqua che forniva il palazzo e le fontane e quindi scendeva in quattro direzioni, e poi perveniva, per mezzo di cascate, a un canale circolare che circondava il giardino" (Arthur E. Powell, The Solar System, 1923).
Secondo l'esploratore Percy Fawcett i Toltechi, che possedevano un potere per invertire la forza attrattiva della gravità in una forza repulsiva, cosicchè il sollevamento di grosse pietre a grandi altezze era cosa facilissima, avevano fondato anche Tiahuanaco (700.000 anni fa) e una città chiamata Zeta, perduta nella giungla amazzonica del Mato Grosso.
Il Tolteco diventa la lingua ufficiale del vastissimo impero atlantideo (circa sessanta milioni di abitanti, sui due miliardi che popolano la Terra); la tecnologia raggiunge un alto sviluppo. "Per spostarsi, usavano delle aeronavi con una capacità da due a otto posti costruite dapprima in legno, e poi con una lega metallica leggera, che brillava al buio come se fosse stata dipinta con una vernice luminosa. Durante le battaglie le astronavi spargevano gas tossici. Nei primi tempi erano mosse dal Vril, la Forza personale; quindi esso fu sostituito con un'energia generata con un procedimento sconosciuto che agiva con l'intermediario di una macchina. Per far salire l'astronave - che poteva raggiungere le cento miglia all'ora - si proiettava la forza in basso, attraverso le aperture dei tubi sul retro dell'apparecchio" (Arthur E. Powell, Op.Cit.).
3 - 600.000 anni fa: la prima distruzione di Atlantide (Teosofia e altri)
Dopo centomila anni dalla fondazione, la "Città dalle porte d'oro" degenera. I seguaci della Magia Nera, tra cui l'Imperatore, diventano sempre più numerosi; "la brutalità e la ferocia aumentano, e la natura animale si avvicina alla sua espressione più degradata". (W. Scott Eliott, Op. Cit.).
Un primo, grande cataclisma, forse scatenato dallo sconsiderato uso dei poteri occulti, colpisce Atlantide; la "Città dalle porte d'Oro" viene distrutta, l' Imperatore Nero e la sua dinastia periscono. L'attuale continente americano si separa dal resto dell'Atlantide; la Gran Bretagna si unisce in una grande isola con la Scandinavia e la Francia Settentrionale. L'avvertimento viene preso a cuore, e per un lungo periodo la stregoneria è meno diffusa.
4 - 150.000 anni fa: seconda distruzione di Atlantide (Dottrina del Ghiaccio Cosmico)
Anche per la "Dottrina del Ghiaccio Cosmico" è tempo di grandi catastrofi; la terza Luna si abbatte sulla Terra causando la sua distruzione di Atlantide, "e gli uomini primitivi la identificano con il Diavolo".
Le acque "si abbassano bruscamente per il calo della forza di gravità" (?) e le grandi città Atlantidee rimangono isolate sulle vette di inaccessibili montagne. I giganti che governavano da milioni di anni perdono il loro popolo: gli uomini ritornano allo stato primitivo. (A. Bellamy, Op. Cit.).
5 - Tra 150.000 e 75.000 anni fa: civiltà corrotta (Teosofia)
Sull'Isola di Ruta, ad Atlantide, viene ricostruita la "Città delle Porte d'oro"; vi prospera una civiltà potente, ma troppo sontuosa. Gli imperatori si abbandonano alle pratiche di magia nera e solo una piccola minoranza di Maghi bianchi cerca di tenere a freno i malvagi occultisti. Lo stregone Oduarpa, associato al "Culto di Pan", fonda "La Grotta Nera" in opposizione alla "Grotta Bianca" iniziatica; orribili esperimenti di biogenetica creano un esercito di mostri, ibridi a metà tra l'uomo e gli animali. Ma, nelle profondità dell'Himalaya, i saggi di Agharti vigilano.
6 - 75.025 a.C.: terza distruzione di Atlantide (Teosofia)
Il "Re del Mondo" Vaivaswata muove contro gli Atlantidei corrotti con un grande esercito, a bordo delle astronavi chiamate Vimana; i mostri di Pan e Oduarpa vengono sconfitti; le potentissime armi del "Re Del Mondo" distruggono quasi totalmente il continente corrotto.
Daitiya è completamente sommersa; di Ruta si salva solo una piccola parte, Poseidonia, ovvero l'Atlantide descritta da Platone.
Non è escluso che queste antichissime guerre celesti siano in qualche modo legate a quanto accadde (accadrà?) intorno al 2000 a.C. a Mohenjo-Daro.
7 - 10.000 a.C.: la distruzione finale (Ipotesi Extraterrestre)
Gli spaziali giunti dal pianeta Suerta, atterrati in tempi remoti in qualche angolo del Brasile e considerati divinità dalla tribù degli Ugha-Mongulala, decidono nell'anno 10.048 a.C. di abbandonare la Terra. "Stava per incominciare un'epoca terribile, dopo che le splendenti navi dorate dei primi signori si furono spente nel cielo, come stelle ...".
E, in effetti, qualcosa di terribile accade davvero: "Che cosa avvenne sulla Terra? Chi la fece tremare tutta? Chi fece danzare le stelle? Chi fece scaturire l'acqua dalle rocce? Il freddo era atroce e un vento gelido spazzava la Terra. Scoppiò una calura terribile e al suo alito gli uomini bruciavano. E uomini e animali fuggivano, in preda al panico. Tentavano di arrampicarsi sugli alberi e gli alberi li scaraventavano lontano. Quello che era in basso si capovolse e si ritrovò in alto. Quello che era in alto precipitò sprofondando negli abissi ..." (Karl Brugger, Akakor, 1976).
L'immensa quantità di ghiaccio accumulatasi sull'Artide durante l'ultima glaciazione scivola nell'Oceano scatenando un maremoto gigantesco, divenuto nella tradizione il Diluvio Universale.
La tecnologia dei Nefilim (un altra stirpe di spaziali che si è insediata in Mesopotamia) ha previsto la catastrofe; l'ordine è di abbandonare la Terra e i suoi abitanti al loro destino. Ma, contravvenendo alle disposizioni, i Nefilim (evidentemente più umanitari dei colleghi spaziali venuti da Suerta) ospitano alcuni esemplari dei terrestri della stirpe di Ziusudra (Noè) nelle loro arche; questi ultimi ripopoleranno il pianeta. Conclusa la missione, i Nefilim lasciano la Terra (Zakarias Setchin, The 12th Planet).
La trappola sistemata da un gruppo di spaziali inseguiti da un'armata nemica finalmente scatta: i cattivi distruggono il "Quinto pianeta" (un corpo celeste in orbita tra Marte e Giove) che si disintegra formando la cintura degli asteroidi; poi ritornano alla loro galassia. La distruzione del quinto pianeta crea notevoli scompensi gravitazionali in tutto il sistema solare. L'asse terrestre si sposta di alcuni gradi, provocando lo scioglimento dei ghiacci polari e l'inondazione nota come Diluvio Universale. Gli spaziali esiliati sulla terra si salvano nelle loro gallerie; quando ne escono vengono considerati Dèi dagli sparuti gruppi di superstiti. Operazioni di biogenetica compiute sui terrestri affrettano la loro evoluzione (è la Genesi biblica); ma "gli Dèi erano irascibili e impazienti; erano rapidi a punire e a spazzar via i ribelli o coloro che non si adattavano alle loro leggi biologiche", cosicché gli uomini cominciarono a temerli e a costruire, con titanici sforzi, rifugi per evitare la loro ira (le varie cattedrali sotterranee e le opere fortificate la cui funzione non è ancora stata identificata dagli archeologi) (Erich Von Daeniken, Opere varie).
8 - Platone (Teosofia)
Poseidonia, l'Atlantide descritta da Platone - ultimo relitto del gigantesco impero teosofico - è ormai completamente corrotta.
In un giorno e una notte, nell'anno 9564 a.C. gli Dèi la sprofondano nell'Oceano con tutti i suoi abitanti. La catastrofe si ripercuote a livello mondiale; le opere edificate dai Greci - dominatori del Mediterraneo grazie alla recente vittoria - sono completamente spazzate via dagli elementi; il Mare del Gobi si solleva e diventa l'attuale deserto; uguale sorte tocca alla pianura del Sahara (Otto Muck). Un gigantesco meteorite proveniente dalla Zona degli Asteroidi si abbatte nell'Atlantico, generando una mostruosa onda di marea che distrugge la civiltà di Atlantide. È il 5 giugno del 8498 a.C. (Otto Muck, I Segreti di Atlantide, 1976).
9 - (Dottrina del Ghiaccio Cosmico)
Dopo essere rimasta priva di satelliti per 138.000 anni, la Terra attira la sua quarta Luna, quella attuale. Il fenomeno cosmico scatena una gigantesca marea che, in una sola notte, distrugge Atlantide. I possenti giganti scompaiono; nasce la ben più modesta civiltà giudeo - cristiana (Hans Horbiger, Op. Cit. ).
10 - 10.000 a.C.: Il ritorno degli Atlantidei (The Cosmic Doctrine)
Alcuni Grandi Iniziati Atlantidei, tra cui il Mago Merlino, sopravvissuto alla distruzione della città di Lyonesse (un insediamento realmente sprofondato al largo della Cornovaglia, e da molti ritenuto una delle città di Atlantide), fondano il centro magico di Avalon, ove ripristinano gli antichi culti esoterici del Continente Perduto, scegliendosi dei discepoli come Artù che portino avanti la Tradizione. Gli Atlantidei si mescolano con i Celti, e si diffondono per tutta l'Europa, ove elevano megaliti a simboleggiare il culto del Sole (Dion Fortune, Avalon of the Heart, 1936).


Paleoastronautica
"Superstiti da Atlantide"


image La "nave" spaziale di Cerro de la Cantera e l’enigma degli Olmechi

Un oggetto dall'aspetto campanulare che emette fiamme dalla parte posteriore sembra viaggiare in una tempesta. All'interno un uomo di aspetto enigmatico siede con le mani su un pannello rettangolare.
Un nuovo enigma dal passato emerge dalle nebbie del tempo generando motivati dubbi sul suo reale significato. L'incredibile rappresentazione è un bassorilievo di origine olmeca ritrovato su una parete di roccia basaltica a Cerro de la Cantera, Chalcatzingo Morelos, in Messico. Non è mai stato presentato in nessuna opera di paleoastronautica o di archeologia misteriosa scritta sinora da eminenti studiosi del settore, eppure sembra non presentare alcuna spiegazione razionale su quanto vi è raffigurato. Si tratta di una mia personale scoperta, non dal punto di vista archeologico (in quanto l'opera è accessibile a tutti ed è stata presentata anche su un libro di archeologia, scritto da Pina Chan intitolato "Olmechi", Jaca, Milano 1989), ma da quello paleoastronautico, in quanto il disegno è del tutto sconosciuto agli studiosi di archeologia misteriosa e paleoastronautica.
La prima volta che mi sono trovato dinanzi a quest’opera sono rimasto sbalordito. A mio parere, infatti, il bassorilievo di Cerro de la Cantera non può avere altra spiegazione, se non quella di un velivolo simile alle nostre capsule o shuttle a propulsione convenzionale. I motivi stilizzati della parte posteriore della capsula non sono interpretabili in modo diverso se non quali fiamme generate da un sistema propulsivo, così come la stessa forma campanulare dell'oggetto. Gli stessi archeologi non hanno trovato una spiegazione convincente al disegno del bassorilievo. In effetti la figura è completamente priva di ogni motivo simbolico che possa aiutare a classificarlo come rappresentazione religiosa.

Il confronto con Palenque
Un utile confronto può venire dal paragone con la stele di Palenque. Da un punto di vista paleoastronautico, i due bassorilievi sono molto simili.

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In entrambi i casi, un uomo sembra essere ai comandi di un velivolo che genera fiamme dalla parte posteriore, come farebbe un moderno mezzo volante a combustibile convenzionale. Ma la stele di Palenque è ricca di motivi ornamentali dal profondo significato simbolico. Chi può contestare che sulla lapide di Pacal non sia rappresentato l'albero della vita? L'opera ritrovata nel tempio delle iscrizioni si presta a numerose interpretazioni alternative rispetto a quella avanzata da von Daniken che la spiega come un astronauta nel suo apparecchio. Inoltre il bassorilievo di Palenque può essere osservato e "letto" sia in orizzontale che in verticale, conferendovi, in tal modo, diverse spiegazioni. Questo non accade con il bassorilievo di Cerro de La Cantera che può rappresentare solo in orizzontale ciò che vi è stato scolpito: una capsula per viaggi spaziali.
In comune le due opere hanno la presenza di un uccello, che nel bassorilievo di Cerro de La Cantera è all’interno del velivolo. Qualcuno potrebbe obiettare che l’uccello è il simbolo della morte. Obiezione valida per la lapide del sovrano Maya Pacal, ma quale é il significato di un siffatto simbolo nell’opera olmeca? Molto più verosimile pensare ad una figura rappresentante il volo.
A parte l’uccello, il bassorilievo di Cerro de la Cantera, non ha altre figure simbolico - religiose che possano suggerire un significato alternativo a quello da me ipotizzato. Sembrerebbe essere davvero un oggetto in volo, pilotato attraverso un pannello portatile (ricordate i filmati del Santilli Footage? L’analogia è davvero interessante). Ma che tipo di velivolo è? Qualcuno potrebbe dire un UFO, ma personalmente rifiuto quest'interpretazione. Nessun UFO è mai stato visto decollare, atterrare o semplicemente volare generando una fiamma come quella appartenente ad una propulsione convenzionale. E ciò è proprio quanto si desume dal disegno. La propulsione sembra essere convenzionale e troppo simile al tipo che noi oggi normalmente utilizziamo nei nostri Shuttle.
E' più credibile il fatto che ci troviamo in presenza di un indizio dell'esistenza di una civiltà remota e scomparsa, l’Atlantide, che aveva raggiunto un livello evolutivo e tecnologico simile al nostro. Civiltà che una volta estintasi ha lasciato le sue tracce, grazie ad individui scampati all'olocausto, che rifugiatisi in diverse parti del globo, hanno conservato memoria della perduta grandezza del continente atlantideo. Ma l’astronave di Cerro de La Cantera è solo l’ultimo in ordine di tempo degli enigmi olmechi.

L'uomo nel serpente di La Venta
Gli Olmechi sono stati il primo popolo civile dell'area meso americana. La loro importanza non sta solo nella priorità storica della loro civiltà ma anche nel fatto che molti elementi culturali fondamentali da loro elaborati si sono trasmessi a tutta l'area dell'America centrale, rimanendo poi costanti, presso le popolazioni più diverse, fino alla conquista spagnola. Probabilmente i popoli degli odierni Messico e Guatemala dovettero agli Olmechi i templi a piramide, lo sviluppo della matematica e dell'astronomia e in particolare quell'interesse per il cielo che ha spesso suscitato molti interrogativi negli studiosi.
Il territorio degli Olmechi era di ridotta estensione e comprendeva la parte dell'istmo di Tehuantepec rivolta verso il golfo del Messico. La loro prima capitale, tra il 1000 e il 400 a.C., fu il centro di La Venta. Si trattava di una città che svolgeva funzioni primariamente religiose, ragione per cui poteva considerarsi più un santuario che un agglomerato urbano vero e proprio. Essa riveste notevole importanza per le testimonianze artistiche che conserva. Gli Olmechi furono abili scultori, che si dedicarono con maestria alla realizzazione tanto di teste colossali come di figure minute, a statue a tutto tondo, a bassorilievi e ad altorilievi, esplorando praticamente tutti i campi dell'arte plastica. Nel centro di La Venta si ritrova anche quella che è l'opera più significativa dal punto di vista paleoastronautico. Parliamo della stele nota come "l'uomo nel serpente". Il serpente in questione sembra una delle primissime rappresentazioni di Quetzalcoatl, il serpente piumato, che sulla stele è raffigurato chiudersi su se stesso. All'interno dell'anello, che in tal modo si forma, è rappresentata una figura umana particolare per molti aspetti. Innanzitutto si presenta pesantemente vestita a differenza di tutte le altre raffigurazioni umane dell'arte olmeca che sono seminude ed inoltre gli abiti si modellano sulla forma del corpo, come se fossero una tuta, mentre in quelle regioni sono sempre state in uso tonache o mantelli. Ciò che lascia veramente stupiti è, comunque, una sorta di scafandro indossato dal misterioso personaggio. Il casco protegge tutta la testa ma presenta un'apertura che lascia vedere il volto. Altri dettagli notevoli all'interno del serpente sono una borsa (oggetto mai esistito nell'America precolombiana) tenuta in mano dall'uomo ed un paio di pannelli scarsamente definiti connessi ad una sorta di trave. Anche se si è parlato di mito dimenticato a proposito del significato di quest'opera, sembra che la conclusione cui deve giungersi è proprio quella opposta. Ci troviamo infatti di fronte alla prima, inaspettata rappresentazione del mito diffusissimo e mai dimenticato del serpente piumato, cioè, in termini ufologici, davanti ad una astronave sigariforme del tipo del "Leviatano". L'uomo scolpito all'interno del serpente che si tocca la coda con la testa, non è altri che un cosmonauta alla guida del veicolo nel suo interno e bisogna riconoscere all'ignoto artista che lo ha rappresentato una grande sensibilità descrittiva. Non dimentichiamo, infatti, che, migliaia di anni dopo, gli Aztechi rimasero sbigottiti davanti ai cavalieri spagnoli ritenendoli, insieme ai loro cavalli, un unico animale fantastico capace di dividersi in due.

Una civiltà multirazziale
Dalle stesse rovine di La Venta possiamo avere delle affidabili risposte circa le straordinarie conoscenze degli Olmechi anche in campo antropologico. Questo popolo ha lasciato numerose statue e statuette, indice di una mescolanza di razze della quale gli era stranamente a conoscenza: le teste di Basalto olmeche, alte oltre due metri e mezzo, pesanti sino a 37 tonnellate, che l'archeologia ortodossa ritiene ritratti di sovrani olmechi.

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In realtà le loro fattezze somatiche sono chiare rappresentazioni della razza negroide del tutto sconosciuta in sud-america sino al 17° secolo. Inoltre gli Olmechi erano soliti scolpire statuette di giada a tutto tondo, rappresentanti individui piccoli, glabri e dai tratti somatici orientali. Queste statuette dagli occhi a mandorla sono spesso rappresentate nella posizione del loto. Ancora una razza, quella orientale, sconosciuta in america sino ai tempi recenti. In una di queste opere nominata "presepe", una serie di individui "orientali" è posta affianco a delle colonne affusolate chiamate "le lancie che spazzano il cielo". Un ennesimo e indiretto ricordo di una tecnologia a razzo per viaggi spaziali oppure un riferimento mitizzato ad astronavi sigariformi? Va detto che un termine dal medesimo significato "Thn" (leggi Tehen, cioè "lancie che spaccano il cielo") era usato in Egitto per indicare gli obelischi. Ancora una inaspettata coincidenza tra culture così distanti, a ulteriore conferma dell’esistenza di un continente ponte tra il vecchio e il nuovo mondo.
Gli Olmechi hanno realizzato altre statue che rappresentano la razza bianca. Si tratta di uomini barbuti dai tratti indo-europei e caucasoidi. Altra stranezza se si pensa che gli amerindi non sviluppano peli e quindi neanche la barba. Inoltre la razza bianca, era una razza mitizzata. Come è possibile che gli Olmechi conoscessero le quattro razze base che popolavano il pianeta? Erano presenti su Atlantide? Se si pensa che come popolazione gli Olmechi furono la prima razza civilizzata presente in meso America non è assurdo pensare che fossero i discendenti di alcuni superstiti atlantidei e che conservassero memoria sia delle razze che popolavano qual mitico continente, sia della tecnologia che quella civiltà, forse multirazziale, era arrivata a sviluppare. Una tecnologia rappresentata in modo inequivocabile nel bassorilievo di Cerro de La Cantera.


CIVILTà PERDUTE - La Fine di Atlantide

Spazzata via da un'eruzione vulcanica? Nei geroglifici incisi su un frammento pre-Maya trovato nella piramide messicana di Xochicalco, decifrati in parte dagli studiosi La Plongeon, francese, e Brolio, brasiliano, si leggerebbe: "Nell'undicesimo giorno ... avvenne la sciagura: una pioggia violentissima e ceneri caddero dal cielo; il cielo precipitò, la terraferma sprofondò e la "Grande Madre" (Atlantide?) fu tra i ricordi della distruzione del mondo".
Secondo un'opinione diffusa tale passo sarebbe inequivocabilmente relativo alla distruzione di Atlantide. I sostenitori di questa tesi si richiamano al pensiero del geologo ed astronomo austriaco Otto H. Much, secondo il quale la scomparsa di Atlantide fu determinata da un corpo celeste precipitato sulla Terra. Secondo Much si sarebbe trattato di un asteroide attratto dalla non usuale "congiunzione" Terra-Luna-Venere, avvenuta nell'8496 a.C.
Secondo Alberto Arecchi, autore del libro "Atlantide, un mondo scomparso, un'ipotesi per ritrovarlo" (Pavia, 2001), le iscrizioni egizie di Medinet Habu sono prova che le catastrofi descritte avvennero veramente.
Secondo quanto riportato nel testo, fra il 1235 e il 1220 a.C., una serie di terremoti si abbattè sulla Terra determinando inevitabilmente l'incrinarsi di sbarramenti rocciosi: tale reazione avrebbe provocato un'improvvisa congiunzione fra il mare sahariano e il Mediterraneo occidentale. Onde anomale si sarebbero generate sino a "spazzare via" Atlantide, ad una distanza di circa 600 km dallo sbarramento.

La fine di Atlantidedi Alberto Arecchi
Immaginiamo di ritornare indietro nel tempo, 3300 anni fa, intorno all’anno 1300 a.C. (ossia novemila mesi prima di Solone, dalla cui narrazione il filosofo Platone trasse le proprie informazioni su Atlantide).
Quello che oggi è il Mare Mediterraneo doveva essere a quel tempo distinto in due mari, posti a quote diverse e privi di comunicazioni reciproche.
Ad ovest, il bacino costituito dal Mediterraneo occidentale e dal Tirreno era - come oggi - in comunicazione con le acque dell’Oceano, attraverso lo stretto dell’attuale Gibilterra, che si era aperto più di mille anni prima, e le sue acque avevano ormai raggiunto un livello simile a quello odierno, grazie all’apporto costante garantito dall’apertura di quella bocca di comunicazione con le acque oceaniche.
Un secondo mare, ad est, andava dalla Piccola Sirte alla costa siro-palestinese e comprendeva lo Ionio, il basso Adriatico e il Mar di Candia (mentre il territorio Egeo, tutto emerso, costituiva una vasta pianura costellata di rilievi montuosi di origine vulcanica). Esso era ben separato dal primo, perché al posto dello stretto di Messina esisteva un istmo roccioso e quello che oggi è il canale di Sicilia era allora una fertile pianura, irrigata da fiumi e protetta da alte montagne, che scendeva dolcemente verso le sponde del mare inferiore.
Le acque del Mediterraneo orientale dovevano trovarsi ad una quota di circa 300 m sotto quella odierna. Faremo riferimento a questa quota come “livello zero” per misurare le altitudini relative.
All’estremo occidente del Mediterraneo orientale, non lontano da dove ora si erge l’isola di Malta, due strette imboccature davano accesso ad un grande golfo, profondo oltre mille metri. Intorno a quel golfo, protetto alla sua imboccatura da una vasta isola, era sorta una civiltà fiorente, fondata da una stirpe libica che era forse scesa sino a qui dalle alte montagne del sud.
Chi fosse provenuto da oriente, da Creta o dall’Egitto, avrebbe visto una costa rocciosa, piuttosto ripida, nella quale si aprivano due stretti, ai lati di un’ampia isola, con un’estensione compresa tra 11.000 e 17.000 km2, che si ergeva sino ad una collina di circa 150 m.
I due stretti a nord e ad ovest dell’isola misuravano tra i 15 e i 30 km. Poteva però essere anche una penisola, con un solo stretto alla sua estremità nord, quale unico accesso al grande golfo.
Possiamo identificare in questo sistema di stretti le “colonne d’Eracle” dell’antica mitologia (e una delle due “colonne” appare identificabile nel massiccio roccioso dell’attuale isola di Malta).
Le alture più elevate di quel sistema emergono ancora dal mare del canale di Sicilia e sono: Pantelleria, le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa), le isole maltesi.
Lungo la sponda settentrionale del golfo si ergeva un sistema di rilievi, un po’ più elevato di 500 m, che dominava il panorama (le attuali isole maltesi); le coste meridionali erano un po’ più dolci, ma un lungo e piatto rilievo si elevava vicino al mare, sino ad oltre 400 m dal pelo delle onde, e di fronte ad esso, non lontano, un’alta isola sorgeva dalle acque del bacino (le attuali isole di Lampedusa - la prima - e di Linosa, quella staccata dalla costa). In direzione nord-ovest, in fondo al grande golfo, si stagliava un imponente picco vulcanico, alto più di 1100 m dalle acque del mare. Per usare un chiaro riferimento attuale, si trattava di quella che oggi conosciamo come l’isola di Pantelleria. Dietro di essa, a nord, la costa saliva a delimitare l’orizzonte, per un’altezza di almeno 300 m. Al di là vi era l’altro mare, che riceveva ormai da secoli l’apporto delle acque dall’Oceano, e da lì “era possibile raggiungere le altre isole per coloro che allora compivano le traversate e dalle isole a tutto il continente opposto, che si trovava intorno a quel vero mare (pontos) ...
Infatti tutto quanto è compreso nei limiti dell'imboccatura di cui ho parlato appare come un porto caratterizzato da una stretta entrata: quell'altro mare, invece, puoi effettivamente chiamarlo mare e quella terra che interamente lo circonda puoi veramente e assai giustamente chiamarla continente.” (Platone)
Quel mare, che era da secoli in collegamento con le acque dell’Oceano tramite la bocca di Gibilterra, era molto vicino a debordare al di qua della sua sponda e a dilagare verso il golfo ed il Mediterraneo orientale, posti ad una quota più bassa. Questa era la vera maledizione pendente sul capo del popolo (Atlanti-Tjehenu) che abitava quelle terre, ma essi forse erano convinti che la situazione di precario equilibrio potesse durare in eterno, così come essi l’avevano sempre vissuta.
Ad ovest del “porto” o golfo che abbiamo descritto si stendeva un’ampia, fertile pianura irrigua, che ritorniamo a descrivere con le parole usate da Platone. Essa riceveva da nord le acque della Medjerda, che oggi scendono al mare non lontano da Tunisi, mentre da ovest poteva essere abbondantemente irrigata grazie alle acque provenienti dall’ampio “mare” interno, le cui acque dovevano essere piuttosto dolci. Quell’estensione di pianura corrisponde, per misure e caratteristiche fisico-climatiche, al territorio descritto da Platone: la distanza dalla chiusura del golfo, verso sud, sino alle sponde del Mediterraneo occidentale, è di 540 km (tremila stadi), e quella dalla costa del golfo sino ai rilievi alle spalle della pianura, che delimitavano il mare interno, di 360 km (duemila stadi).
Il filosofo narra che gli abitanti di Atlantide coltivavano - fra l’altro - datteri e banane, in mezzo ad una fauna in cui spiccava la presenza di elefanti.
Dalla costa, la pianura saliva dolcemente verso ovest, in direzione di una cresta di colli di origine vulcanica, ricchi di giacimenti metalliferi, dalla struttura morfologica in prevalenza tufacea. Al di là della cresta, a circa 450 km di distanza dalle acque del Mediterraneo, si stendeva un enorme bacino d’acqua: un vero e proprio mare, la cui superficie era posta ad una quota di circa 650 m superiore a quella del Mediterraneo. Quel mare raccoglieva le acque di un vasto bacino pluviale, che andava dall’attuale massiccio degli Aurès, a nord, a sud sino ai massicci del Tassili e dell’Ahaggar (la “montagna Atlante”, secondo il testo di Erodoto), dal quale scendeva il fiume che oggi ha il nome di Wed Igharghar. Le sue acque, a loro volta, alimentavano un emissario che scendeva verso est, al Mediterraneo: un fiume perenne, che irrigava le terre della vasta pianura.
Quando l’acqua toccava il massimo livello quel mare poteva raggiungere una profondità di circa 350-380 m ed aveva una forma quasi circolare, con una superficie di oltre 280.000 km2, paragonabile per estensione a quella dell’intera penisola italiana. Nel fondo del suo bacino oggi c’è un grande sedimento di sabbia, il Grand Erg orientale (Igharghar): uno dei deserti sabbiosi più estesi al mondo. Si può suppone che a quel grande mare fosse attribuito in epoca antica il nome primitivo di “oceano (pelagos) Atlantico”. Per comodità, visto che il mito antico pose in quella regione il Giardino delle Esperidi e che ancora oggi il suo fondo disseccato si chiama “Chott el Djerid” (palude disseccata del giardino, del palmeto), lo chiameremo “il mare dei Giardini”.
A sud-ovest del mare dei Giardini, a una distanza di altri 500 km, si ergeva verso il cielo il grande massiccio roccioso dell’Atlante... si tratta della montagna oggi nota col nome berbero di Ahaggar, “nobile”. Ricorriamo alla descrizione offertane da Erodoto:
“È stretto e circolare da ogni parte ed alto - a quanto si dice - tanto che le sue vette non si possono scorgere: giammai infatti le abbandonano le nubi, né d’estate né d’inverno. Gli indigeni dicono che sia una colonna della volta celeste”.
Le cime più alte di quel massiccio, nella montagna oggi chiamata Atakor, erano quasi 2800 m più in alto del livello delle acque dell’oceano (ossia 3400 al di sopra del livello del Mediterraneo di allora). Alle pendici di quella montagna - racconta Erodoto - viveva un tempo il popolo degli Atlanti:
“Da questo monte gli abitanti del paese hanno tratto il nome, si chiamano infatti Atlanti. Si dice che essi non si nutrano di alcun essere animato e che non abbiano sogni.
Due percorsi principali, tradizionalmente, conducono dalle sponde del Mediterraneo verso le montagne dell’Ahaggar, e corrono l’uno lungo la sponda ovest dell’antico Mare dei Giardini (è la strada che conduce alle oasi di El Goléa e di Ghardaia, “alti luoghi” del turismo sahariano, i cui wed - quando portano acqua - puntano ancora in direzione del grande mare disseccato), l’altro lungo la sua sponda orientale, ed è la grande “strada dei carri”, cosparsa di dipinti e graffiti rupestri, descritta nelle sue tappe e oasi dal racconto di Erodoto, percorsa a suo tempo anche dalle truppe romane che penetrarono l’Africa sino al bacino del Niger. La sponda nord era rocciosa, dello stesso tipo di rocce che si frantumarono nel disastro che provocò la fine di Atlantide: sono le gole e i canyon che solcano il versante sud delle montagne degli Aurès e che, in prossimità di Bou Saada, vanno a sfociare sulle prime sabbie dell’antico grande mare. Il fondo disseccato di quel grande mare è occupato ancora oggi da un impenetrabile deserto di sabbia. Ad ovest, all’interno del primitivo bacino, corre ancora da sud a nord una falda d’acqua abbastanza ricca da fornire vita e nutrimento alle oasi del Souf: in questa regione è sorta El Wed e ad una quota più in alta, verso l’antica sponda occidentale, si trovano Wargla e i pozzi petroliferi di Hassi Messaoud.
In quella regione viveva un popolo libico o “pre-libico”, prospero per agricoltura e commerci, dotato di una propria struttura di stati “confederati” in una sorta di impero. Quegli uomini erano grandi costruttori e grandi navigatori e usavano una scrittura, presumibilmente simile a quella libico-berbera; nei geroglifici egizi erano chiamato Tjehenu e nei testi greci Atlantói. Diversi popoli erano loro confederati o vassalli (e ne ritroveremo taluni nell’elenco dei popoli del mare che sciamarono verso l’Egitto, dopo la catastrofe finale).
Se vogliamo provare a riunire gli indizi offerti dai vari autori dell’epoca classica, quel popolo poteva essere giunto alle coste del Mediterraneo dalla grande montagna dell’interno, detta Atlante, al di là del mare “sospeso”, con una migrazione di oltre 2000 km. Almeno sin dal 3000 a.C. gli Atlanti erano capaci di costruire con grandi blocchi di pietra città fortificate e vivevano in costante confronto con l’impero dei Faraoni, in quel lungo confronto che taluni studiosi hanno chiamato “la guerra del bronzo”. Fra i prodotti di vitale importanza per la diffusione della tecnologia, essi detenevano il monopolio di importanti giacimenti di ossidiana, un materiale litico (vetro vulcanico) molto pregiato per la produzione di lame e di altri oggetti d’uso. Fra le principali fonti dell’ossidiana nel Mediterraneo, si collocano inftti Pantelleria l’alto picco vulcanico, posto proprio al fondo del loro grande golfo) e le isole Eolie, che dovettero far parte dei territori sotto loro controllo.
Le miniere di rame nativo (oréi-chalkos) si trovavano sulle colline alle spalle della pianura atlantide, ma una grande innovazione tecnologica fu costituita dall’uso del bronzo, lega tra rame e stagno, con migliori caratteristiche di durezza e di resistenza.
L’obiettivo strategico per ottenere il monopolio del bronzo era il controllo delle miniere di stagno, di cui l’Africa è priva. I Faraoni sostennero per questo la lunga guerra contro gli Hittiti e conquistarono il controllo delle miniere dell’Anatolia. Gli Atlanti dovettero rivolgersi altroveò il loro stagno proveniva dal sud-ovest della penisola iberica, e forse dalla Cornovaglia. In effetti, la rete dei loro rapporti commerciali potrebbe essere stata connessa con la diffusione delle “culture megalitiche” in Europa e nel Mediterraneo occidentale.
Secondo il racconto sviluppato da Platone nei suoi Dialoghi, la società atlantide era strutturata in un sistema statale (una confederazione di piccole monarchie, a quanto pare di poter interpretare il racconto del filosofo), che praticava l’agricoltura, costruiva città, fondeva i metalli (oro, rame e stagno) e aveva scoperto il modo di legarli per ottenere il bronzo, conosceva la scrittura, aveva praticato un espansionismo di conquiste estese sino alla Tirrenia (attuali Lazio e Toscana), combatteva da 2000 anni contro i signori dell’Egitto ed era entrata in conflitto con popolazioni pelasgiche che vivevano sulle coste della pianura egea... i suoi combattenti sono stati raffigurati in bassorilievi egizi e nei dipinti rupestri delle piste sahariane, usavano carri da guerra e da caccia trainati da cavalli, e Platone si sofferma a lungo su una serie di usanze di quel popolo sulle quali, oggi, non possiamo esprimere molti dubbi ...
Secondo Platone, i sacerdoti di Sais avevaro raccontato a Solone che grandi siccità, mai viste prima, avevano calcinato la terra intera, immensi incendi avevano imperversato sulle contrade e distrutto le foreste, fulmini erano caduti dal cielo, terremoti avevano scosso il pianeta, provocando grandi e considerevoli distruzioni, disseccando sorgenti e fiumi. Alle siccità sarebbero sopravvenute le inondazioni ed enormi trombe d’acqua si sarebbero riversate sulla terra, inghiottendo - tra l’altro - l’isola degli Atlanti. Quei cataclismi sembravano segnare una fase di transizione, il passaggio da un periodo con un clima più caldo ad un’altra fase, con condizioni di vita più dure.
Corrispondono tali descrizioni a mutamenti climatici che potrebbero essere realmente avvenuti nel sec. XIII a.C.?
Secondo altri documenti contemporanei (le iscrizioni egizie di Medinet Habu, l’Esodo biblico), le catastrofi descritte avvennero veramente. Fu proprio verso il sec. XIII a.C. che la Libia (Nordafrica) conobbe il culmine di una grande fase di desertificazione. Un’iscrizione di Karnak precisa: “I Libici vengono in Egitto per cercare di sopravvivere”. Anche il mito di Fetonte può ricordare una serie di drammatiche siccità che colpì il Mediterraneo, “all’origine della storia dei Greci”.
Tutto quel mondo che abbiamo descritto finì nello spazio di ventiquattr’ore, in un giorno di un anno compreso tra il 1235 e il 1220 a.C.. Una serie di violenti terremoti incrinò seriamente la consistenza degli sbarramenti rocciosi (fatti di tufo e quindi abbastanza friabili, forse già indeboliti da infiltrazioni d’acqua) e aprì alcune brecce, che ben presto cedettero di fronte alla pressione delle acque dei due grandi bacini posti alle quote superiori: il mare sahariano e il Mediterraneo occidentale, costantemente rifornito dalle acque dell’Oceano. Le acque si fecero strada con impeto in canaloni larghi decine di chilometri, con ondate di piena veramente immani, neppure lontanamente paragonabili a quella del Vajont, che è drammaticamente rimasta nella memoria degli italiani. Pur calcolando per difetto il volume del mare sahariano, abbiamo detto che esso in antico conteneva almeno 50.000 chilometri cubi d’acqua, sino ad una quota massima di 650 m sul livello del Mediterraneo orientale. Per determinare l’energia potenziale di quell’ondata, potremmo schematicamente identificare il baricentro della massa d’acqua versata a + 350 m. Ne sarebbe derivato l’impatto di un’energia equivalente almeno a 17,5 x 1015 kgm = 17 x 1016 Joule. Supponiamo pure che il livello dell’acqua nell’invaso originale potesse essere già sceso di molto, all’epoca della catastrofe, a causa dei sopravvenuti cambiamenti climatici, ma certo un’ingente l’onda d’urto si poté rovesciare sulla pianura sottostante. Per distruggere e spazzar via completamente Atlantide, sarebbe bastata un’ondata costituita da meno di un decimo del volume del mare superiore, riversata dal dislivello allora esistente con il bassopiano. L’enorme cascata andò a colpire con un impatto diretto l’isola con la capitale di Atlantide, che si trovava ad una distanza di circa 600 km dallo sbarramento.
Ancora oggi, a chi guardi con attenzione su una carta geografica o su una foto satellitare la regione del Grand Erg orientale, del Golfo di Gabès e della Piccola Sirte, l’antica catastrofe traspare “tra le righe”: il Golfo di Gabès appare come un vero e proprio “imbuto” e non è difficile immaginarsi l’enorme massa d’acqua che vi si scaricò, per riversarsi, con grandi quantità con fango e sabbia, nei bassifondi antistanti, che un tempo dovevano costituire una fertile pianura. Dobbiamo ancora spiegarci, però, perché mai quella zona sia poi rimasta, nei secoli, annegata sotto le acque.
La stessa serie di terremoti ruppe altri diaframmi rocciosi: innanzitutto quello che delimitava a nord la grande pianura in declivio e che costeggiava un mare a un livello più basso, ma di gran lunga più pericoloso: perché quel mare era ormai collegato agli Oceani, e da loro riceveva un afflusso d’acqua costante. Quando anche quelle acque cominciarono a riversarsi sulla pianura di Atlantide, la storia di quella civiltà fu definitivamente sommersa sotto centinaia di metri di acqua salata. I due Mediterranei si fusero in un solo mare. Fu definitivamente sommersa la pianura dell’Egeo, costellata di rilievi montuosi, che rimasero trasformati in arcipelaghi. Per alcuni secoli, gli Achei e gli altri antenati delle culture mediterranee videro l’acqua che saliva, copriva i loro porti, le città costiere e portava via i loro migliori terreni coltivabili... Alcuni di loro tentarono di conquistare l’unico rifugio possibile, la grande pianura che s’innalzava lungo il corso del grande fiume Nilo, al riparo dalla salita del mare ... ma furono respinti o assorbiti dalla grande civiltà che già, lungo quelle sponde, aveva costruito un impero, destinato a durare nei secoli e a lasciare di sé un’impronta immortale ...
Tutto ciò rimase impresso nei miti di origine della stirpe greca, col diluvio di Deucalione e Pirra, con le grandi epopee di Eracle e degli Argonauti. Il quadro del cataclisma appare completo se immaginiamo che la stessa serie di scosse telluriche provocasse il cedimento del diaframma (istmo roccioso) che collegava l’Italia alla Sicilia, con la conseguente apertura dello stretto di Messina.
L’impeto della corrente scavò un solco profondo, un letto tortuoso al centro del canale di Sicilia, intaccando e disgregando le rocce di minore resistenza, e andò a biforcarsi, con violenza, contro le rocce più consistenti dell’imponente picco vulcanico di Pantelleria. Il risultato dei cataclismi di quel periodo dovette essere un flusso di corrente verso est, dalla portata molto maggiore di quella che, attraverso Gibilterra, alimentava il livello del Mediterraneo; un flusso che durò a lungo, il cui effetto fu probabilmente rafforzato da quello proveniente dallo stretto di Messina. Si può calcolare che l’innalzamento delle acque nel Mediterraneo sino al livello attuale abbia comunque impiegato alcuni secoli. Le acque fluivano come una veloce corrente tra le sabbie e i fanghi che si erano riversati nel golfo della Piccola Sirte dal grande mare sahariano, e salivano di livello sino ai Dardanelli, alla costa siriana, al Delta del Nilo, coprivano tutti i porti dell’antica cultura minoica, trasformavano Ilio in una città marinara, e spingevano sino a lì i conquistatori Achei, ben decisi a impadronirsi dei poteri e delle ricchezze che il nuovo mare rendeva loro accessibili. Altri di loro partirono verso le rovine sommerse dell’antica Atlantide e incontrarono altre vicissitudini (gli Argonauti nella regione delle Esperidi ... ). Finirono sommersi tutti gli stabilimenti portuali allora esistenti nell’area del Mediterraneo orientale. Finì sott’acqua ciò che rimaneva della civiltà di Thera, già fortemente colpita dalla gigantesca esplosione vulcanica di due secoli prima; finirono sott’acqua i templi maltesi, scavati nella grande roccia sacra che era stata, sino ad allora, la “sentinella” di Atlantide. La roccaforte maltese ci appare come una delle due primitive “colonne d’Eracle”, e forse la sua collocazione in questo contesto può aiutare a gettare nuova luce sulla ricchezza di insediamenti sacri, di costruzioni ipogee e di ritrovamenti sottomarini che l’attuale isola e i suoi fondali offrono ancora oggi.
I fanghi, le correnti e i bassi fondali della Piccola Sirte e del Canale di Sicilia resero a lungo difficile la navigazione, come è riferito da Platone e da altri autori classici (incluse le narrazioni del mito degli Argonauti).
Se è credibile quanto abbiamo esposto, Atlantide non si è mai mossa, non è sprofondata in nessun abisso oceanico. È stata sconvolta da immani ondate, le sue rovine sono state ricoperte da decine di metri di fango e sabbia e poi da alcune centinaia di metri d’acqua.
La distruzione del centro economico-culturale di Atlantide può apparire collegata alla “misteriosa” interruzione delle attività di costruzione di complessi megalitici, che intorno a quell’epoca si verificò in tutta l’area del Mediterraneo occidentale: nella penisola iberica, così come in Sardegna e in Corsica e - potremmo aggiungere - sino alle isole britanniche. Era scomparso un importante polo di ricchezza e di riferimento, un paese di grandi navigatori, che commerciavano con i paesi più occidentali per importare lo stagno, essenziale a fondere il bronzo, e in cambio esportavano ossidiana ed altri prodotti mediterranei.
I popoli ad esso collegati, per i quali era venuto a mancare il principale partner economico, si trovarono così di colpo proiettati in una condizione di “barbarie”, o quanto meno nella nuova esigenza di basarsi su un regime di sussistenza alimentare.
Lo svuotamento completo del grande mare africano, avviato dall’improvvisa catastrofe, fu il colpo di grazia per la desertificazione del Nord Africa. Il fenomeno proseguì con l’inaridirsi del clima e col disseccarsi dei corsi d’acqua che alimentavano il bacino dell’Igharghar, e durò più d’un millennio: il livello scese per l’accresciuta evaporazione e gli uomini dell’antichità classica conobbero un grande lago Tritonide, con un fiume Tritone, che scendeva dalle pendici dell’Ahaggar nel letto dell’attuale Wed Igharghar, la cui lunghezza complessiva raggiunse i 2000 km, secondo i calcoli effettuati da Butavand.
Assumono così un tragico colore le vicende di quella terra di Atlantide che, secondo il racconto platonico, era stata “assegnata a Poseidone”: letteralmente, in quanto era posta al di sotto del livello del mare (nel significato che oggi assume una tale espressione).
Si potrebbe tentare di individuare i diversi livelli costieri sommersi, corrispondenti alla progressione delle acque dal momento della catastrofe di Atlantide sino al completo riempimento del mare Mediterraneo alla quota attuale. Ma, naturalmente, questo oggi appare solo come un sogno utopistico. Un’importante conferma, relativa agli antichi livelli marini, potrebbe provenire dalla ricerca in profondità degli antichi porti minoici, che potrebbero essere identificabili nei fondali intorno all’isola di Creta in modo certo meno complesso e macchinoso di una ricerca che puntasse direttamente al ritrovamento di resti nell’area dell’antica Atlantide.
Se ora proveremo a rileggere i Dialoghi di Platone e a confrontarli con la “nostra” mappa di Atlantide, avremo la netta sensazione che le cose corrispondano e vadano al loro posto. Le acque del mare salivano gradualmente e allagavano le fertili pianure dell’Egeo, lasciandone emergere solo le cime dei rilievi, che si trasformavano in isole, sempre più piccole ... ci renderemo conto che i “novemila anni” di Platone devono davvero corrispondere a un periodo lungo, sì, ma “a misura” della stirpe degli Achei e dei Greci, dopo che essi si insediarono nel bacino del Mediterraneo.
“Accadute dunque molte e grandi inondazioni per novemila anni (tanti ne sono corsi da quel tempo sino ad ora), la terra, che in quei tempi e avvenimenti scendeva dalle alture, non si ammassò come altrove in monticelli degni di menzione, ma sempre scorrendo scomparve nel profondo del mare: pertanto, come avviene nelle piccole isole, sono rimaste in confronto di quelle d’allora queste ossa quasi di corpo infermo, essendo colata via la terra grassa e molle e rimasto solo il corpo magro della terra. Ma allora ch’era intatta, aveva come monti alte colline, e le pianure ora dette di Felleo erano piene di terra grassa, e sui monti v’era molta selva, di cui ancora restano segni manifesti. Dei monti ve ne sono ora che porgono nutrimento soltanto alle api, ma non è moltissimo tempo che vi furono tagliati alberi per coprire i più grandi edifici, e questi tetti ancora sussistono. V’erano anche molte alte piante coltivate e vasti pascoli per il bestiame. Ogni anno si raccoglieva l’acqua del cielo, e non si disperdeva, come ora, quella che dalla secca terra fluisce nel mare, ma la terra, ricevutane molta, la conservava nel suo seno, e la riportava nelle cavità argillose, e dalle alture la diffondeva nelle valli, formando in ogni luogo ampi gorghi di fonti e di fiumi, dei quali le antiche sorgenti sono rimaste ancora come sacri indizi, che attestano la verità delle mie parole”.
La fine del centro di Atlantide, che basava la propria potenza sull’egemonia commerciale e culturale nel bacino del Mediterraneo occidentale e del Nord-ovest Africano (diremmo oggi, con un termine arabo, Maghreb), dovette causare diverse gravi conseguenze, di cui è rimasta traccia nei “misteri” di quelle aree:
- Per lungo tempo crollò il commercio dello stagno dalla penisola iberica e dalla Cornovaglia, sino a che non fu rimesso in auge dai commercianti fenici e cartaginesi. L’Egitto, infatti, era soddisfatto del monopolio sul bronzo ottenuto grazie alle guerre contro gli Hittiti, e la fine di Atlantide costituì per i Faraoni un insperato ausilio all’abolizione di una pericolosa concorrenza sulla produzione della preziosa lega (benché l’arrivo nell’area del Mediterraneo degli Achei, dotati di armi di ferro, avesse considerevolmente ridotto l’importanza strategica del bronzo).
- Scomparvero “misteriosamente” i costruttori di megaliti, in tutto l’arco del Mediterraneo occidentale. Una volta diminuite le risorse economiche, la popolazione locale era ricaduta in un regime di povertà e di sussistenza alimentare, che non permetteva certo la concezione e la realizzazione di grandi opere.
- Le successive occupazioni delle grandi isole (Sardegna e Corsica) da parte dei popoli del mare fecero sprofondare sempre più nel mistero le origini di quel “popolo dei megaliti” che li aveva preceduti.
- Un piccolo gruppo di sopravvissuti del popolo Tjehenu conservò forse il ricordo di una parte degli antichi miti. La mitica regina Tin Hinan, sepolta nel massiccio dell’Ahaggar, nel cuore del Sahara, ne può costituire una traccia, almeno nella permanenza del nome, così come l’alfabeto tifinagh, usato nelle più antiche lingue libico-berbere. Certamente, però, l’entità e le modalità della catastrofe sopra descritta furono tali da sterminare l’intero gruppo dirigente, che doveva abitare nella città capitale e nella vasta e fertile pianura, devastate dall’onda di tracimazione del “mare dei Giardini”.
Un’obiezione che mi è capitato di ricevere più e più volte, nel corso dello svolgimento di questa indagine, è stata: “ ma se tutta la storia era così evidente, perché nessuno l’ha mai scritta prima?” La risposta è molto semplice: “È proprio perché qualcuno l’ha scritta, che possiamo raccontare questa storia. L’ha scritta Platone, e con grande precisione; ne hanno scritte delle parti importanti Eudosso di Cnido, Diodoro Siculo ed altri autori antichi, ne hanno scritte e raffigurate altre parti i cronisti dell’Antico Egitto, con una precisione che sarebbe invidiabile da parte di molti cronisti moderni ... si trattava di raccogliere una serie di “pezzi sparsi”, metterli insieme e partire sulle tracce di un disastro i cui superstiti non sono rimasti per raccontarlo ... un “Vajont” dei tempi antichi, avvenuto in uno spazio e in un tempo incredibilmente vicini a noi, molto più di quanto ogni nostra fantasia non ci consentisse di immaginare.
Dobbiamo essere grati all’attenzione di Platone che ha tramandato con una tale ricchezza di particolari il resoconto di Solone su Atlantide: una memoria che sarebbe potuta scomparire, sepolta nell’oblio, come tanti altri eventi dimenticati, nel corso della storia dell’uomo.

FONTE





 
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jasmine23
view post Posted on 23/7/2007, 11:49




SEMPRE MISTERIOSA ATLANTIDE
L’uomo d’oggi s’interessa sempre di più al passato. Si pone allora un affascinante problema: è forse esistita una cultura più antica e più evoluta che ha aiutato a formare quella egiziana, sumera, cretese, etrusca e forse anche le cultura sud- americane?
Una parola sembra venire da un incerto passato, simile ad un richiamo proveniente dalle brume di un oceano: Atlantide!
Prima culla della civiltà, terra splendida e opulente, distrutta da una serie da cataclismi al momento della sua massima espansione.
Per molti è soltanto una leggenda inventata da Platone, per altri invece è effettivamente esistita anche se abbiamo tracce incomplete, però documentate dalle storie provenienti da diversi popoli.
Atlantide è sempre viva, oggi più che mai! E’ una parola magica, Atlantide.
Poi abbiamo anche racconti pervenuti da scrittori come Edgar Cayce. E allora Atlantide si rinnova continuamente come il mito dell’Araba Fenice e non finisce mai di stupire, anche se è la più nota tra tutte le storie misteriose del mondo e fa sempre notizia.
Resterà comunque sempre per noi un grande interrogativo: quello di distinguere tra realtà e fantasia quando incontriamo sul nostro cammino la storia di Atlantide, meravigliosa leggenda dei mari che anima e animerà ancora per molto tempo l’immaginario dell’uomo e le pagine di moltissimi libri!
La fonte spesso citata è quella di Platone; Atlantide secondo i greci era un isola più estesa dell’Asia e della Libia riunite e circondata ad occidente da un gruppo di isole minori identificate come le “Antille”.
Platone fa risalire la storia al mito di Poseidone che sposo una donna mortale e nacque un figlio di nome Atlante. Continua la leggenda raccontando delle immense ricchezze dei discendenti di Atlante; rivestivano i loro edifici con l’oricalco, metallo giallo enormemente prezioso per i greci antichi!
Aggiunge Platone che le sue informazioni gli venivano da documenti egiziani e proprio dei papiri si sarebbero ritrovati riferimenti ad Atlantide; alcuni di questi parlavano del “Regno degli Dei” che governarono l’Egitto per migliaia di anni prima delle dinastie storiche ed egiziane.
Un sacerdote egizio parlò a Solone di Atlantide in termini comprensibili; trasmise il racconto come avrebbe fatto un abitante nel descrivere la propria casa vista dalle coste del continente perduto, prima della sua distruzione avvenute intorno al 9.600 a.c.
Gli egiziani ricordavano di un invasione di “popoli dal mare” che venivano da “in capo al mondo”
Sempre seguendo il mito, sarebbe esistita un isola nell’Atlantico, chiamata “isole di Blest” di vaste dimensioni, ad ovest dalle coste della Libia e abitata da una popolazione che godeva di ogni bene senza alcun sforzo ed alcune fatica; le stagioni erano temperate ed il passaggio da una stagione all’altra era cosi mite che era diffusa la convinzione che rispecchiassero i Campi Elisi descritti da Omero.
Nell’isola si trovavano fiumi navigabili, le acque erano utilizzate per l’irrigazione; c’erano piante ed alberi di ogni tipo; giardini costeggiata da acqua limpida!
Le abitazioni erano adibite a pubblici banchetti, inondate da fiori dove i cittadini trascorrevano le loro giornate; la caccia era molto praticata, si trovavano molti animali selvatici di ogni specie.
Secondo sempre il mito, il clima di quest’isola era cosi prospero da sembrare la dimore degli Dei e non quella degli uomini!
Nel 1665, un prete gesuita tedesco, Athanasius KIRCHER, pubblicò “MUNDUS SUBTERRANEUS”, un grosso libro che contiene la riproduzione di un antica mappa egizia di Atlantide, LA QUALE ERA STATA RUBATA DAI ROMANI IN Egitto, probabilmente dopo la caduta di Cleopatra. Kircher non possedeva un mappamondo con il quale confrontare la discalia in latina che dice “posizione di Atlantide ora sotto il mare, secondo le credenze degli egiziani e la descrizione di Platone”.
Un saggio egiziano avrebbe detto a Solone: “…Voi elleni non siete che dei bambini…giovani siete, giovani mentalmente, poiché la vostra anima non conserva nessuna antica credenza giunta a voi attraverso la tradizione, nessuna conoscenza maturatasi nel corso delle età. Ed eccone la causa! Il genere umano è stato e sarà ancora sterminato per innumerevoli ragioni…” (Platone)
Un altro argomento è in comune con Atlantide, il diluvio universale. E’ difficile capire se si tratta dello stesso avvenimento oppure se è una conseguenza della catastrofe e che viene identificata come diluvio!
E’ evidente che il diluvio è una tradizione comune a tutti i popoli della Terra; con questo fatto si evidenzia una matrice comune: cioè, tutte le razze umane sembrano in possesso della stessa storia!
Possibile questo per le popolazioni mediterranee, ma per gli indiani d’America e le altre popolazioni del continente?

ATLANTIDE, CULLA DI CIVILTA?
Iniziamo il nostro viaggio.
- Sono state ritrovate iscrizioni della Valle dell’Indo, oggi Pakistan, e dell’Isola di Pasqua che rivelano una straordinaria somiglianza malgrado distanti migliaia e migliaia di km. Tavolette che non hanno ancora trovato un traduttore….
- Australia; Ande e Sahara; Egitto; Il continente MU; Tibet e Shamballah; (vedi libro)
- Gli Aztechi dicevano di provenire da AZTLAN, un luogo posto ad oriente nell’Oceano Atlantico; il nome stesso significa popolo di “Az”.Quando gli invasori spagnoli del Messico hanno saputo che gli Aztechi provenivano da una terra nel mare chiamtaa “Aztlan”, si convinsero che gli indigeni fossero perciò i discendenti degli Atlantidei! in Hanno anche una strana figura chiamata “coxcox”, Noè del cataclisma messicano che si salvo con la moglie grazie ad un imbarcazione costruita in legno di cipresso.
Dipinti di questo racconto sono stati rinvenuti anche tra i Miztechi, gli Zapotechi, i Tlascoltechi e altre popolazioni limitrofe.
Una delle scoperta più interessanti a proposito dei Maya era il loro famoso libro religioso, conosciuto a fino 800, come “TROANO CODEX”. Questo codice parlava di una catastrofe che aveva devastato il Centro America in un passato lontano e che gli indigeni si tramandavano per via orale, avvento verso il 9930 a.c.
Il TROANO CODEX riportava che la regina MU nacque in Egitto dove poi ritornò; il testo parlava anche di terremoti che facevano abbassare e rialzare il suolo varie volte prima di sgretolarsi!
Agli inizi del 900’, altri studiosi spiegavano di avere trovato tracce di superstite iscrizioni maya in India che con il permesso di un bramino avevano ricopiato; collocavano il continente sommerso di Atlantide nel Pacifico invece che nell’Atlantico e di avere scoperto delle analogie tra la flora e la fauna di zona dell’Australia e dell’India.
Esistono anche le tavolette scritte da sacerdoti Nacaal sono Maya, erano state inviate dal continente MU in Centro America. Costituiscono una testimonianza della civiltà MU esistente da 2000 anni. Sulla terra dei Maya sarebbero giunto da est uomini dagli occhi blu e la pelle chiara che avevano simboli di serpenti sulle loro teste.
Nel 1953, il prof. Bird che aveva lavorato al Museo di Storia Naturale di Lima, studioso dei Quechua; rinvenne negl’ intorni della capitale peruviana la tomba di un principe “KAPAC” che era vissuto tra il V e il IV millennio prima di Cristo e che aveva un sarcofago simile a quelli egizi.
Un altro sarcofago fu scoperto con statue di stile messicano nella cosiddetta “valle egizia” che si estende tra i fiumi “Xingù” e “Tocantius” nella giungla dell’Amazzonia meridionale.
Nel 1954, nel villaggio di DURADOS sul fiume Pira-Evé fu trovato un cameo egizio col volto di una sovrana circondata da geroglifici che dicevano: “Dopo la morte, l’anima della regina salì al mondo di Dio e trovò per le sue virtù, un cielo di pace”.
Sempre nel 1953 casualmente furono rinvenute nel Messico in una grotta del Sonora, 30 mummie perfettamente custodite, antiche di almeno 10.000 anni e appartenenti ad una civiltà sconosciuta!
Nell’estate del 2001, un gruppo di ricercatori canadesi guidato da un ingegnere sovietico Pauline Zelisky ha scoperto nel canale dello Yucatan a circa 700 metri di profondità un estesa piana di terra con forme che ricordano piramidi, strade e costruzioni che risalirebbero al periodo preclassico, nella testa degli studiosi è nata subito l’idea: si tratta di Atlantide!
Questa scoperta avvalorerebbe le ipotesi sostenute da uno studioso di civiltà antiche, Andrei Collins e un docente dell’università di Pisa, Emilio Spedicato che l’area tra Cuba e le Bahamas è stata inondata e colpita da comete e asteroidi probabilmente nel periodo che descrive proprio Platone.
- Gli Olmechi parlavano di ATLAINTIKA
- I Vichinghi di ATLI
- I Celti di AVALON (se sostiamo la V con la T diventa ATALON)
- I Fenici e Cartaginesi di ANTILLA
- I Berberi di ATARANTES
- Gli Irlandesi di ATALLAND
FONTE



 
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jasmine23
view post Posted on 24/7/2007, 11:35




La prima parte del discorso la potete trovare QUI

ATLANTIDE SOTTO GHIACCIO?

Non solo Erich Von Daniken e Graham Hancock hanno ripreso le teorie di Charles Hapgood sulla mappa di Piri Reis e altre rappresentazioni cartografiche medievali e rinascimentali.
Flavio Barbiero ha infatti pubblicato il libro "Una civiltà sotto ghiaccio" in cui ipotizza che la leggendaria Atlantide si trovi sepolta sotto i ghiacci dell'Antartide. Barbiero è un ingegnere, entrato nella Marina Militare nel 1961 ha successivamente trascorso gran parte della sua carriera professionale nei centri di ricerca della Marina Militare e della NATO. Purtroppo anche lui, a metà di un libro altrimenti serio e documentato, non resiste alla tentazione di vedere nelle mappe antiche quello che non c'è mai stato.
In "Una civiltà sotto ghiaccio", oltre alla mappa di Piri Reis, sono pubblicati diversi mappamondi medievali el'autore afferma che il mondo che viene lì rappresentato è Atlantide, che è identificabile con l'Antartide. In quelle carte riconosce il Mare di Ross, la baia di McKenzie, la zona di Weddell e altre parti del continente attorno al Polo Sud. A proposito di alcune mappe afferma che si tratterebbe della rappresentazione di Atlantide/Antartide come era 10.000 anni fa, di altre dice che la raffigurerebbe addirittura nel Pleistocene (il periodo compreso tra 1.600.000 e 11.000 anni fa).
Tutto questo senza curarsi del fatto che in quelle carte compaiono chiaramente non solo nomi geografici europei, asiatici e africani, ma anche rappresentazioni di luoghi mitici come il Paradiso Terrestre, o delle tombe degli Apostoli.... Vediamo qualche esempio delle carte che rappresenterebbero Atlantide.

Planisfero tratto dalla Grandes Croniques di Saint Denis, 1364-1372.

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Barbiero afferma che il disegno raffigura Atlantide, quindi l'Antartide. Vi riconosce la "fitta rete di canali analoga a quella descritta da Platone".
Si tratta invece di una delle tante raffigurazioni medioevali composte secondo lo schema tripartito Asia (in alto) Europa (in basso a sin.) e Africa (in basso a destra). Il mondo, al cui centro è Gerusalemme, è circondato dall'Oceano, oltre il quale sono raffigurati i dodici venti. Si notano anche molte città fortificate (Roma, Atene, Costantinopoli, Nazareth, Damasco, Babilonia, Alessandria) e diverse regioni (Spagna, Inghilterra, Grecia, Germania, Ungheria, Egitto, Etiopia, Mesopotamia, Sardegna, Sicilia, Cipro...), tutte con la loro denominazione ben in evidenza.
Sono rappresentati anche i mitici Gog e Magog (Ezechiele, 38-39), così come il Paradiso Terrestre.
Questo tipo di mappamondo non teneva conto delle conoscenze geografiche ma era inteso come una rappresentazione ideale e filosofica e si basava sullo schema O-T, derivato dai manoscritti di Isidoro di Siviglia, che possiamo vedere nelle immagini seguenti.

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Da notare che proprio questo era anche l'orientamento delle cattedrali romaniche e gotiche, che avevano quasi sempre l'abside rivolto a oriente.

Mappa Mundi di Hidgen, dell'Abbazia di Ramsey, 1350.

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L'impostazione di questa carta si rifà alla filosofia di Ugo di San Vittore, che concepiva il mondo come un'Arca per tutti i mortali. Nella carta possiamo leggere oltre 200 toponimi, per lo più classici e biblici, quelli in Asia e Africa, moderni quelli in Europa. Si vedono persone che salpano da Brindisi verso Gerusalemme (sempre al centro del mondo), e forse la prima citazione del Passo di San Gottardo. In basso a sinistra è l'Inghilterra, disegnata in rosso con molti dettagli, e piena di raffigurazioni di città. Nel rettangolo vuoto in alto avrebbe forse trovato posto, come in altre mappe simili, il Paradiso Terrestre. Il Mar Rosso è disegnato con grande evidenza in rosso.

Planisfero di Gervasio di Tilbury, 1236

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Anche questo planisfero è basato sullo schema a T. Ma la sua peculiarità è che il Mondo è raffigurato come il corpo di Cristo, con la testa in alto, quindi a Est, le mani a Nord e Sud e i piedi a Ovest.
Vediamo raffigurati i luoghi più importanti del mondo (reale e mitologico): il Paradiso Terrestre con i suoi quattro fiumi, il Gange, le montagne della Cina, la terra dei Persi, l'Egitto con il Nilo e i coccodrilli, la Francia con Parigi, l'Inghilterra e la Scozia, Roma, Venezia...
Anche questa mappa non tiene conto delle reali conoscenze geografiche ma rappresenta il mondo idealizzato, secondo principi filosofico-religiosi.
L'originale è andato distrutto durante la seconda guerra mondiale e ora rimangono solo alcune copie di epoche successive e una fotografia.

Planisfero di Andrea Bianco, 1436

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In questa mappa lo schema a T è meno evidente e l'area del mediterraneo inizia ad essere rappresentata in modo più accurato. Anche in questo caso però la predominanza nei luoghi rappresentati è data alle storie bibliche. Due isole mitiche sono posizionate al largo dell'Oceano Atlantico, oltre Gibilterra: la mitica Antilia e Satanaxium, l'isola dei demoni.
Qui sotto lo schema della mappa ruotato di 90°, in modo da portare il Nord in alto..
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Secondo Barbiero anche questo mappamondo raffigurerebbe Atlantide 10.000 anni fa.

Mappamondo di Giovanni Leardo, 1448

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Continua la serie delle raffigurazioni simboliche del mondo, legate alle concezioni medioevali. Questa (di cui esistono altre due varianti) presenta però alcuni tratti moderni, ad esempio la forma del Mediterraneo e dell'Europa orientale è stata ricavata da portolani (mappe nautiche), certi nomi derivano dalla Geografia di Tolomeo e in alcuni particolari dell'Asia si vede l'influenza di Marco Polo.
Attorno al mondo c'è un calendario degli anni 1448-1494, con la possibilità di calcolare il giorno di Pasqua. Gerusalemme continua ad essere posizionata al centro del mondo, a Nord e a Sud vediamo due zone colorate di rosso e definite inabitabili perchè rispettivamente troppo fredda e troppo calda.
Secondo Barbiero anche questo mappamondo raffigurerebbe Atlantide, in questo caso nel periodo del Pleistocene.

Mappamondo anglosassone o cottoniano, 1025-1050 circa

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Più che improntato al simbolismo religioso questo mappamondo rappresenta le grandi civiltà della storia: Babilonia, Media, Macedonia e Roma. Le coste dell'Inghilterra (in basso a sinistra), della Danimarca, del Peloponneso, Francia e Spagna sono rappresentate in modo più realistico di quelle delle altre carte dell'epoca. Non è presente il Paradiso Terrestre. Contiene informazioni di natura enciclopedica, classiche e bibliche. La carta mostra le migrazioni degli Ebrei e cita Betlemme. Gog e Magog sono confinati dietro a un muro nel nord-est dell'Asia, si vedono uomini con la testa di cane e grifoni, e in Africa un leone.

Mappamondo di Hereford, di Richard De Bello, 1290

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Secondo Barbiero "la corrispondenza con il profilo dell'Antartide pleistocenica è straordinaria. Si noti la Baia di Ross in alto a destra, la Baia McKenzie a sinistra, entrambe con il loro caratteristico profilo".
Secondo gli studiosi di storia e di cartografia questo, che è il più grande planisfero medioevale sopravvissuto, rappresenta l'apice della tradizione "classica" delle carte geografiche. In alto si può vedere il Giudizio Universale, con la Madonna che prega per il genere umano. Al centro c'è sempre Gerusalemme sormontata da una immagine della crocifissione, i nomi dei luoghi rievocano i quattro imperi della storia umana, i viaggi degli apostoli e le vie dei pellegrinaggi, ma anche storie mitologiche, come quella del Vello d'Oro. Sono raffigurati e nominati precisamente anche Alessandria col suo faro, il delta del Nilo con le Piramidi,il Mar Rosso, l'India col fiume Gange e il solito Paradiso Terrestre in alto, a Est.
L'immagine dell'Inghilterra e del Galles contiene rappresentazioni della Lincoln Cathedral e dei castelli gallesi costruiti di recente per Edoardo I. Inoltre sono rappresentate le rotte commerciali contemporanee in una commistione di significati sacri e profani.

Nel libro di Barbiero sono riprodotte anche altre mappe, tutte identificate con la mitica Atlantide, in tutti i casi senza il minimo fondamento nè una prova di queste affermazioni. L'unico metodo "scientifico" utilizzato dall'autore è la somiglianza. Ma visto che comunque questi planisferi non somigliano affatto all'Antartide di oggi si afferma che raffigurerebbero l'Antartide/Atlantide di centinaia di migliaia di anni fa, addirittura nel Pleistocene. Secondo Barbiero infatti "tutti i planisferi medioevali non sono altro che riproduzioni più o meno stilizzate e adattate di antichissime carte geografiche dell'Antartide".
Quello che però è sfuggito a Barbiero è che in molte di queste carte medievali è rappresentata chiaramente, nell'emisfero sud, la mitica Terra Australis, con un grande mare che la separa dal mondo conosciuto (Europa, Asia, Africa).

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Anche tutte le carte derivate dal Beatus, mostrano chiaramente la regione degli "Antipodes" all'estremo sud del mondo, e in alcune viene chiaramente disegnato un personaggio che sembra appeso con i piedi sopra la testa (antipode).

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Dunque non è possibile che quella che secondo Barbiero è una rappresentazione dell'Antartide contenga al suo interno un'altra rappresentazione della stessa Antartide. Questi mappamondi medievali erano basati sulla fede, sui racconti bilblici e mitologici, non certo su fantomatiche carte geografiche di Atlantide conservatesi non si sa come per più di 10.000 anni e finite nelle mani dei monaci europei (di che materiale avrebbero dovuto essere fatte per durare tanto? e se sono durate tanto da arrivare ai monaci come mai non sono citate da nessuno di loro, e soprattutto dove sono finite?).
Oltretutto all'epoca in cui sono stati disegnati quei mappamondi , e questo dovrebbe far capire lo scopo, esistevano già carte geografiche più accurate che si basavano su osservazioni, misure, resoconti di viaggi. Alla metà del '300 ad esempio (all'epoca dei planisferi di Saint Denis e di Hidgen e prima di quello di Andrea Bianco) risale il meraviglioso Atlante Catalano. Il mediterraneo è disegnato in modo abbastanza corretto mentre l'Asia ha ancora l'aspetto fantasioso tipico dei mappamondi del vecchio tipo a T.

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I mappamondi medievali che abbiamo visto in precedenza in questa pagina non erano realizzati da navigatori o da cartografi ma quasi sempre da monaci, all'interno delle Abbazie, per scopi simbolici e religiosi, non pratici. Rappresentavano un mondo spirituale, basato sulle Sacre Scritture e sugli insegnamenti della Chiesa, quindi ciò che ritenevano la realtà della fede e non quella geografica, tantomeno quella dell'Antartide.
"Le mappe medievali non avevano funzione scientifica ma rispondevano alla richiesta di favoloso da parte del pubblico, vorrei dire nello stesso modo in cui oggi riviste in carta patinata ci dimostrano l'esistenza dei dischi volanti e in televisione ci raccontano che le Piramidi sono state costruite da una civiltà extraterrestre." (Umberto Eco, "Dalla Terra Piatta alla Terra Cava", in "Segni e sogni della Terra", DeAgostini, 2001).
"Ecco qui un'altra mappa. Sapete da dove proviene? Appare nel secondo trattato della Utriusque Cosmi Historia di Robert Fludd. Fludd è l'uomo dei Rosa-Croce a Londra, non dimentichiamolo. Ora cosa fa il nostra Roberto de Fluctibus, come amava farsi chiamare? Non presenta più una mappa ma una strana proiezione del globo intero dal punto di vista del Polo, del Polo mistico naturalmente e dunque dal punto di vista di un Pendolo ideale appeso a una chiave di volta ideale. Questa è una carta concepita per essere messa sotto il Pendolo!" (Umberto Eco, da "Il Pendolo di Foucault", Bompiani, 1989).

FONTE
 
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jasmine23
view post Posted on 21/8/2007, 11:32




Trovo molto interessante il libro Una civiltà sotto ghiaccio di Flavio Barbiero edito dalla Casa Editrice Nord, che espone una teoria nuova e rivoluzionaria su Atlantide e sulla sua ubicazione.
Un libro che oltre a presentare un’affascinante teoria scientifica è anche un appassionante romanzo di storia archeologica.
Quando Heinrich Schliemann, l’archeologo tedesco che pur fra tanti errori trovò la Troia omerica, si accinse alla sua immortale scoperta, fu oggetto di scherno da parte degli studiosi ufficiali, non tanto perché non era un cattedratico, quanto per la fede cieca che aveva per le cose scritte da Omero.
Era convinto che il poeta non avesse falsato con la fantasia la verità dei riferimenti topografici che delimitavano l’antica città di Priamo, e se Omero aveva scritto che 34 sorgenti d’acqua circondavano le mura della città, bisognava ricercare quelle 34 sorgenti e Troia sarebbe tornata alla luce del sole.
Agli studiosi che sorridendo gli facevano notare che si trattava di un numero generico e che essi ne avevano trovate alcune ma che nessuna città era venuta alla luce nei loro pressi, Schliemann rispondeva, con cocciutaggine e assoluta convinzione, che se Omero aveva scritto quel numero, di quello si trattava e non di alcune sorgenti.
La sua fede vinse, il suo amore e rispetto per Omero trionfarono. L’archeologo aveva accettato in blocco, come verità indiscusse, le indicazioni del poeta e cosí il mito di Troia fu una realtà.
In questo libro Flavio Barbiero, ingegnere dalla vasta preparazione scientifica, propone una teoria secondo la quale ciò che Platone ci ha descritto di Atlantide nei suoi dialoghi Timeo e Crizia non è frutto di pura fantasia: una delle più grandi menti speculative della storia dell’umanità come fu quella di Platone non concedeva troppo spazio alle fantasie politiche: dichiarò più volte di non avere eccessive simpatie per i poeti e non si può credere che cambiasse idea soltanto a proposito di Atlantide.
Barbiero ha accettato in blocco la descrizione di Platone e ha scelto la strada piú difficile per dimostrare la sua teoria: quella della sperimentazione. Il valore del metodo scientifico consiste maggiormente nel fatto che nulla è stato distorto dal racconto platoniano per piegarlo alla tesi di Barbiero: tutto doveva essere dimostrato con prove scientifiche, o nulla doveva essere accettato.
Ne è uscita un’opera appassionante a tutti i livelli: la spiegazione di una teoria sconvolgente, provata con rigore scientifico, che parte dall’immane catastrofe che rivoluzionò l’assetto ecofisico della Terra, arrivando sino alla spiegazione della diffusione dell’uomo nel mondo.
Manca soltanto la prova per eccellenza, quella archeologica, che la teoria di Flavio Barbiero sia esatta, ma l’interesse che la tesi dell’autore ha suscitato (la sua enunciazione fu fatta nel dicembre ’74) è stata tale da promuovere ben tre spedizioni scientifiche in Antartide, nel corso delle quali Barbiero scoprì, nell’isola Re Giorgio, una grande quantità di tronchi fossilizzati che potrebbero risalire a 10/12.000 anni fa. Questa fu la prima prova ufficiale della teoria di Barbiero, ma successivamente furono trovati entusiasmanti manufatti (una cinquantina di palline di sabbia e "cemento" poste su colonnine dello stesso materiale) venuti alla luce nell’isola Seymour.
L’affascinante mistero archeologico che da sempre appassiona l’umanità ora attende la verifica scientifica, e questa si potrà trovare con una campagna di scavi nell’isola Berker, la zona che nelle precedenti spedizioni il governo argentino vietò di visitare. Là si avrà conferma se ciò che ci ha tramandato Platone e che Barbiero ha esaminato con grande preparazione e serietà svelerà il più grande mistero archeologico di tutti i tempi.



FLAVIO BARBIERO: ROTTA VERSO ATLANTIDE
di Mauro Paoletti
per Edicolaweb

Le notizie che giungono dal mondo politico, economico, scientifico e, recentemente, sportivo, evidenziano che tutto quanto è marcato Italia non gode di assoluta e buona credibilità, considerazione e rispetto; non ha più, come si usa dire, "il peso politico" di una volta; salvo si tratti di mete turistiche e vacanziere o specialità culinarie. Difatti i paesi stranieri, europei in particolare, cercano di emulare i nostri prodotti regionali e nazionali e privarci dell’esclusiva con strane leggi che prendono a pretesto norme igieniche. In tal modo vorrebbero appropriarsi di produzioni che sono il nostro vanto come il parmigiano, il lardo di Colonnata, gli spaghetti nostra bandiera nel mondo. Ciò che è italiano "fa gola", ma il marchio disturba gli invidiosi. Si rileva la quasi totale mancanza di qualcuno che sappia battere il pugno sul tavolo e ottenga il rispetto che gli altri ci devono.
Non voglio disquisire su tematiche di economia o politica; se è giusto essere tolleranti con coloro che giunti nel nostro territorio dimostrano di non esserlo con noi; se siano giuste le scelte dei nostri amministratori politici; se il loro operato è rivolto alla tutela del nostro patrimonio, dei nostri usi e costumi nei confronti di un’Europa che sembra ci consideri il fanalino di coda; voglio solo riappropriarmi di ciò che è mio da sempre: l’essere Italiano. E non credo di essere il solo a sentire tale bisogno.
Se l’Europa non si sporca più le dita a tavola è merito di un italiano che ha inventato la forchetta; è a Firenze che si dettarono le regole di come comportarsi a tavola ad opera di Monsignor Della Casa; mentre nel rinascimento alle mense dei regnanti si faceva uso delle dita, a Firenze si sperimentavano due nuovi utensili: il coltello e la forchetta. Sono trascorsi molti secoli ma la Comunità Europea non ha ancora imparato a stare insieme agli altri commensali.
Noi Italiani subiamo soprusi in ogni campo e in modo palese; l’ultimo nel corso dei mondiali di calcio in modo clamoroso... Ve ne sono altri che passano inosservati agli occhi dei media, quelli verso i nostri scienziati, archeologi e ricercatori.
Nel 1997 Flem Rand e Rose pubblicarono un libro: "La fine di Atlantide" ove indicavano l’ubicazione del continente perduto nella terra antartica.
Riguardo a tale argomento ho letto molto di quanto è stato scritto; ma a causa delle circostanze della vita, che ci portano talvolta a trascurare i nostri interessi, mi sono perso alcune letture compreso il libro che Flavio Barbiero scrisse nel 1974: "Una civiltà sotto ghiaccio".
Non sappiamo il vero nome di quella civiltà che visse prima della nostra, ma credo che sia realmente esistita da qualche parte, oltre dodicimila anni fa e che molti dei megalitici monumenti di pietra ne siano in qualche modo l’eredità.
Sono anche fermamente convinto che siamo solo i sopravvissuti di quella grande civilizzazione perché tutte le ricerche riguardo al nostro passato si fermano a quella data e davanti al continente perduto.
Ma non divaghiamo troppo dall’argomento.
Tempo fa girovagando fra gli scaffali di una nota libreria mi sono trovato davanti al libro di Barbiero; una ristampa. Dopo ben 28 anni ho potuto leggere quanto dedotto dall’Ammiraglio italiano scoprendo che non è stato dato il giusto risalto a quest’opera.
Flem e Ath hanno indicato nell’Antartide l’Atlantide perduta, hanno parlato dello spostamento dei poli, citato la teoria di C.Hapgood e altri antichi testi, ma non hanno fornito i dettagli, le deduzioni, le conclusioni di Flavio Barbiero. Mi sembra invece ne abbiamo copiata l’intuizione. Perché considerarli come coloro che hanno indicato il continente perduto sotto il ghiaccio dell’Antartide? Perché assegnare loro il riconoscimento di un’intuizione fatta da un italiano molto tempo prima? Perché non si operano scavi sistematici nel punto indicato dall’Ammiraglio Barbiero?
La ragione è il marchio Italia?
Diamo a Cesare quel che è di Cesare; anzi "a Flavio quel che è di Flavio"!
Tutte le ricerche riguardo alle origini dell’umanità, la sua storia, la sua provenienza e la sua evoluzione si fermano a 12.000 anni fa. I ricordi si perdono nella parola "Atlantide" e in quella parola nascono i miti e le leggende dei popoli. Fra questi miti si nasconde la verità che la scienza ufficiale e i suoi rappresentanti si ostinano a disconoscere; un po’ per non perdere faccia e potere, un po’ per esorcizzare quelle paure ancestrali insite ancora dentro di noi; il timore che l’evento catastrofico avvenuto in quel remoto passato possa ripetersi decretando la nostra estinzione e con essa ogni credo e ogni schema costruito per gestire l’intero sistema.
Siamo consapevoli che la storia dell’uomo non inizia dodicimila o trentamila anni fa, bensì milioni e milioni di anni prima; come del resto la vita su questo pianeta. Tutto quanto concerne l’evoluzione dei grandi sauri, dei mammiferi, dell’uomo, rimane inalterata finché non si proverà sia andata in modo diverso; ma per quanto riguarda Atlantide e la sua storia è cosa ben diversa.
Sportivamente parlando dobbiamo rendere l’oro a colui che ha centrato per primo il bersaglio e invitando tutti a leggere "Una civiltà sotto ghiaccio" evidenziamone i punti più interessanti auspicandoci che qualcuno si decida, finalmente, ad eseguire i sopralluoghi del caso nella terra di Berkner.
L’immagine del nostro pianeta, oltre diciottomila anni fa, presentava una coltre di ghiaccio di nove milioni di chilometri quadrati; dodicimila anni fa almeno sei milioni di chilometri quadrati. L’Europa vedeva la Danimarca e parte della Germania sotto il ghiaccio. Di contro, la Siberia godeva di un clima temperato e nelle sue vaste praterie pascolavano milioni di mammut. Nell’emisfero sud metà dell’Antartide era libero dai ghiacci; il polo si trovava nelle isole Mariquarie, quindi la penisola di Palmer, l’area di Weddel, la terra della Regina Maud erano prive di ghiaccio. Qui l’ammiraglio colloca la mitica Atlantide.
L’inclinazione terrestre era fra i 6 e gli 8 gradi, la calda corrente equatoriale rendeva mite e stabile la temperatura e garantiva la regolarità delle piogge in tutto il globo.
Stando a quanto narrano le cronache egizie il sole era tramontato due volte nel punto in cui precedentemente era sorto e per due volte si era levato dove era uso tramontare, di conseguenza contando i cicli precessionali si può dedurre che fossero trascorsi oltre cinquantamila anni. Quarantamila anni fa l’uomo può aver colonizzato l’Australia; ventimila anni dopo poteva aver popolato l’America del Sud e attraverso la Terra del Fuoco invaso l'Antartide.
A causa di una corrente proveniente dall’oceano indiano qualunque imbarcazione veniva diretta verso quella terra rendendola un approccio forzato, facilitando la costituzione di una civiltà di alto livello come quelle che la circondavano; per la maggior parte originarie del Sud America. Come del resto asserisce Platone.
L’ammiraglio, seguendo proprio quanto descritto da Platone nei suoi poemi, è riuscito ad identificare quale in effetti era la terra al di là delle colonne d’Ercole squassata da un corpo celeste, forse una cometa, dodicimila anni fa.
Una terra molto vasta, 14 kmq, con la capitale posizionata in un’ampia pianura presso il mare e al centro dell’isola; dove oggi si trovano le banchise di Filchner e Lassiter. Tenendo conto che il livello del mare era 130 chilometri più basso e non esistevano ghiacci, come scrive Barbiero: "ritroviamo un’immensa pianura di poco al di sopra delle acque".
Oggi la banchisa è circondata da una catena di montagne a picco sul mare, liscia e uniforme per 500 chilometri di larghezza e 350 di altezza. Dodicimila anni fa era esposta a mezzogiorno e i monti situati alle sue spalle la riparavano dai venti freddi. Nel centro di essa, a nove chilometri dal mare, c’era un monte non molto alto ove sorgeva il tempio di Nettuno; l’autore identifica il luogo con l’attuale isola di Berkner: "Sulla base della descrizione di Platone la posizione del monte sacro di Atlantide è esattamente individuata, senza possibilità di errore: esso si trova a 79° di latitudine sud e 45° longitudine ovest, nella parte orientale della cosiddetta isola di Berkner".
Non basta: "le acque interne del mare di Weddell sono delimitate dalle Sandwich, un arco di piccole isole distanziate in modo regolare: le coste a picco sul mare, che allora era 130 metri più basso, danno tutt’oggi l’idea di enormi colonne che si elevano dal fondo dell’oceano". Ecco quindi le vere "Colonne d’Ercole" di cui parla Platone. Come afferma l’ammiraglio: "la corrispondenza è totale ed impressionante".
In alcuni casi le considerazioni personali risultano parole al vento, spesso affermazioni gratuite o puerili e inutili; ma non si può fare a meno di esprimerle. Il mondo di oggi è decisamente carente di fantasia dal momento che l’uomo è catturato dalla fredda logica politico economica del vigente sistema, non riesce più a fantasticare e di conseguenza si rende necessario mantenere vivi miti, leggende e favole.
Personalmente credo sia molto più dispersivo e dispendioso, sia in tema di energia seppur mentale, sia di risorse economiche, mantenere il livello speculativo riguardante l’ubicazione di Atlantide, rispetto al finanziamento di una mirata spedizione in loco, al fine di accertare se il ghiaccio antartico nasconde le spoglie del continente perduto. Oltretutto pensando al possibile immenso tesoro che dovrebbe trovarsi ancora in loco, "a disposizione del primo che vorrà prendersi la briga di andare a controllare".
Siamo saturi di ipotesi e teorie che vogliono Atlantide in ogni luogo e in nessun luogo, di improvvisi ritrovamenti sottomarini che la segnalano oggi in un posto, domani in un altro, trasformando l’isola di Poseidone in una specie di "primula rossa" inafferrabile.
Le Azzorre sarebbero solo i picchi più alti dei rilievi del continente perduto; lo si sposta più a sud quando si segnalano resti sottomarini al largo di Cuba; abbiamo già trattato l’argomento in una nostra news; lo si ritrova fra le piramidi rilevate sotto il mare delle Bahamas; lascito del continente i misteriosi meccanismi racchiusi negli edifici sommersi sotto le acque delle Bermuda, che generano sconosciute forze elettro magnetiche che trasformano l’intera zona in un "Triangolo maledetto": Atlantide non può essere in ogni dove.
In considerazione di un aumento di 130 metri del livello marino, come ci racconta l’ammiraglio Barbiero, tali vestigia potrebbero essere solo quanto resta delle colonie, o dei primi insediamenti dei sopravvissuti.
Atlantide era un vasto impero marinaro con una conoscenza tecnologica in grado di accorgersi con anticipo di un’eventuale collisione di un corpo celeste e cercare una via di scampo prima dell’evento catastrofico. Per questo le navi di Atlantide salparono per porre in salvo la popolazione, ma a causa della violenza dell’impatto l’onda di marea sollevò il livello dei mari e spazzò terre, città, popoli e navi. I superstiti approdarono in ogni luogo e incontrarono i primitivi di terre a volte mai viste; li conquistarono, li istruirono, iniziarono una nuova civiltà.
Si unirono alle donne e agli uomini di quei popoli e procrearono figli ai quali tramandarono la storia del continente perduto. Col passare del tempo però i ricordi si affievolirono, le conquiste tecnologiche furono dimenticate e inutilizzate e le popolazioni ritornarono allo stato primitivo; rimase solo il mito di una grande civiltà sperduta su di un’isola dell’oceano.
Tante le speculazioni che si possono fare. Diviene semplice collegare lo sbarco del popolo di Atlantide agli Dèi venuti dal mare menzionati dai Maya e dagli Aztechi. I duecento veglianti del Monte Hermon possono essere stati i duecento marinai di Atlantide che si unirono con "le figlie degli uomini" procreando giganti. Forse uomini di grande sapienza più che statura. Ricordiamoci che solo in questi ultimi anni la statura fisica dell’uomo è cresciuta; dai primi uomini fino al Medio Evo l’uomo raggiungeva i 160 centimetri, le armature conservate nei musei ne sono la prova concreta. Quindi un individuo di un metro e novanta centimetri, appariva senza dubbio un gigante. Pensiamo ai nostri atleti della pallacanestro! Di contro vi sono testimonianze concrete della presenza di giganti, sia nei riferimenti di vari testi, sia negli utensili e nelle suppellettili conservati nei musei. Colossali asce che solo un individuo di grande statura poteva impugnare; il letto di circa quattro metri di Og di Basan, citato anche nella Bibbia la quale come tanti altri testi fa riferimenti ai giganti; vedi i Danava e i Rakshasa dei testi vedici. Riguardo al letto dobbiamo dubitare che non esista più, come forse altri antichi reperti, in conseguenza ai noti eventi bellici che hanno interessato la terra Irachena.
Atlantide era una civiltà multi razziale, vista la provenienza dei popoli che l’abitarono, bianchi, neri e asiatici, facili le speculazioni delle correnti teosofiche ed ufologiche riguardo alla presenza di esseri astrali ed extraterrestri. Tanto da riadattare l’antico detto che la vita non è solo una sequenza in bianco e nero, ma esistono molte sfumature di "grigi".
La ricostruzione di Barbiero si può anche adattare ad una versione "spaziale" sposando la tesi di Alford, le navi diverrebbero "astronavi", Atlantide un pianeta distrutto, o esploso, che avrebbe creato la cintura degli asteroidi; oppure anche una terra situata in un oceano di Marte andata perduta in seguito allo sconvolgimento causato dal passaggio di Venere.
Barbiero però segue a pieno il racconto di Platone e individua Atlantide sull’isola di Berkner nell’Antartide.
Quanto scrive non è la risposta finale, è solo un tassello nel grande mosaico del passato; molte le domande che rimangono senza risposta, ma senza dubbio l’autore fornisce una veritiera ricostruzione dei fatti.
Seguendo i ragionamenti logici e le relative deduzioni dell’ammiraglio italiano, sembra impossibile che nessuno vi abbia pensato vista la loro assoluta semplicità; neanche i coniugi Flath. Gli effetti devastanti di un terremoto o di una tromba d’aria non si cancellano nello spazio di ventiquattro ore, occorre procedere allo sgombero dei detriti, alla riparazione dei danni, alla sistemazione dei feriti e dei superstiti e infine alla ricostruzione. Occorrono giorni. Il tempo che il ghiaccio, presente nella zona divenuta temperata, si sciolga; che l’onda di piena dovuta all’innalzamento dei mari si stabilizzi. Occorrono millenni. Per essere esatti 5.000 anni, prima che spuntino dal nulla piramidi e zigurat, sfingi e templi monolitici, che segnano l’inizio della nuova storia.
Si è discusso a lungo sul cambiamento del clima imputandolo alla corrente del golfo che, non trovando più sul suo percorso l’ipotetica terra in mezzo all’oceano Atlantico, è risalita verso il nord liberando la baia di New York dai 20 Km. di ghiaccio che la sommergeva.
Eppure eminenti scienziati sono sempre stati al corrente dello spostamento dei poli, delle diverse inclinazioni assunte, nei milioni di anni, dall’asse di rotazione terrestre.
Si parla ancora di due continenti perduti, ma se guardiamo l’Antartide dall’alto si comprende che si è sempre trattato dello stesso territorio posto al centro degli oceani e delle terre emerse; forse la parte asiatica lo ha sempre chiamato Mu o Lemuria.
Credo che molti di questi "luminari" della Paleoastronautica, dell’Ufologia, dell’Archeologia, abbiano letto il libro di Barbiero e siano da tempo a conoscenza delle sue teorie.
Come mai nessuno si è mosso per indagare più a fondo, lasciando modo ad altri di scopiazzare?
Perché nessuno ha considerato nella giusta luce quanto esposto dall’ammiraglio?
Vi sono personaggi più seguiti, considerati e ascoltati; ma che in fondo non hanno contribuito più di tanto alla risoluzione dei misteri che aleggiano sulle vicende di questo pianeta e del suo popolo.
Si ricade sempre nella solita triste storia: si corre dietro ad una luce che appare improvvisa nel cielo e si muove in modo diverso dai canoni tradizionali, piuttosto che armarsi di vanga e piccone e andare in capo al mondo a scavare nel nostro passato.
Attirano molto di più, anche dal lato economico e speculativo, un paio di piramidi lasciate in eredità da una sconosciuta civiltà, non certo dal popolo egizio, rispetto ai miseri resti di antiche città sepolte sotto la polvere del passato, ad antiche vestigia che magari una coltre di ghiaccio ha conservato, per narrare ai posteri una storia che può tramutare la fantasia in realtà o stravolgere quest’ultima trasformandola in fantasia.
Troppe le costruzioni piramidali sparse per il mondo per pensare che il popolo egizio abbia allargato i suoi confini al di là degli oceani in terre per loro forse sconosciute; più facile pensare ad una matrice comune.
Logica la domanda che ne scaturisce, una delle tante: quelle navi rinvenute sotto le sabbie del deserto di Abido, per gli esperti idonee a solcare i mari più impetuosi, possono essere state quelle con le quali i superstiti di Atlantide giunsero in quella terra? Oppure sono quelle utilizzate dalla colonia atlantidea nel mare interno che esisteva decine di migliaia di anni fa al posto del Sahara? Non scordiamoci che il Nilo era collegato al Mar Rosso da un canale ancora esistente all’epoca dei primi faraoni.
Convegni, conferenze, simposi, riviste specializzate, trasmissioni televisive, documentari, siti web; è stato fatto di tutto e si continua a fare di tutto; mi chiedo a quale scopo, dal momento che ben ventotto anni fa qualcuno prospettò qualcosa di nuovo e nessuno lo ha considerato.
Trovo abbastanza curioso che nessuno dei signori impegnati nella risoluzione dei misteri intenda approfondire l’argomento e rimanere, come dire, "prigionieri" all’interno di questi dodicimila anni, senza sentire il bisogno di vedere e conoscere gli scenari che esistevano oltre tale data.

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Nell’emisfero sud metà dell’Antartide era libero dai ghiacci; il polo si trovava nelle isole Mariquarie, quindi la penisola di Palmer, l’area di Weddel, la terra della Regina Maud erano prive di ghiaccio. Qui l’ammiraglio colloca la mitica Atlantide.
"L'isola era più grande della Libia e dell'Asia riunite, e i navigatori potevano passare da quella alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente opposto, che costeggiava quel vero mare... ...e la terra che per intero l'abbraccia un vero continente. Ora in quest'isola, Atlantide, v'era una grande e mirabile potenza regale..." dal Timeo di Platone.


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Quarantamila anni fa l’uomo può aver colonizzato l’Australia; ventimila anni dopo poteva aver popolato l’America del Sud e attraverso la Terra del Fuoco invaso l'Antartide.
FONTE



La Terra di 15.000 anni fa
Atlantide

Oltre quindicimila anni fa la terra fu sconvolta da una catastrofe; le acque si elevarono al di sopra del loro livello sommergendo molte terre. Si narra che due grandi continenti sparirono per sempre: Atlantide e Mu.
Alcune tracce lasciate dal cataclisma sono ancora evidenti e molto si ritrova nelle cronache antiche.
L'apostolo Giovanni descrive nell'Apocalisse un cataclisma: “Avvenne un gran terremoto e il sole divenne nero come un panno da lutto, la luna diventò come sangue e le stelle del cielo caddero sulla Terra (...) la volta celeste si squarciò e si arrotolò come una pergamena e ogni montagna e ogni isola vennero rimosse dai loro siti”. (6, 12-14) ...una tempesta di fuoco e grandine mescolati con sangue, si riversò sulla terra (...) una massa ardente simile ad una montagna infuocata fu precipitata nel mare (...) cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, che piombò su un terzo dei fiumi e delle sorgenti. (8, 7) ...vidi una stella che era caduta dal cielo sulla terra. (9, 1) ...da quando gli uomini esistono sulla terra non si era avuto un terremoto cosi violento (...) tutte le isole scomparvero e le montagne non si videro più. (16, 18) Allora vidi un nuovo cielo e una nuova terra il primo cielo e la prima terra erano spariti e il mare non c'era più. (21, 1)
Enormi meteoriti scavarono, diecimila o dodicimila anni fa, grossi crateri nell'America Centro Meridionale, in Georgia, Virginia, Carolina e sul fondo dell'Oceano Atlantico al largo di Portorico.
Si formarono le cascate del Niagara e s'innalzarono le Ande. Scomparve la coltre ghiacciata che copriva la Scandinavia, la Gran Bretagna, l'Irlanda, l'Europa Continentale. Un clima rigido invadeva La Siberia.
La corrente del Golfo arrivò a toccare le nostre sponde perché, come afferma il geologo austriaco Otto Much, non trovò più nulla a fermarla. Mentre Atlantide spariva nella fossa di Cariaco - 350 km a est di Caracas - il fondale emergeva.
Lo strato dell’iridio presente nel suolo proverebbe l’impatto con un grande asteroide.
Sono tutti concordi che la produzione di questo elemento, in seguito all’attività dei soli vulcani, non giustifica le tracce di iridio sulla Terra, in India, Bangladesh, Italia, Europa. Intorno allo strato lasciato dall’attività vulcanica ne è stato trovato, sopra e sotto, un altro più consistente che contribuisce ad allargare la fascia del minerale fino a 50 cm. Quindi è certo un impatto con un grosso asteroide, o probabilmente l'incrociarsi con una cometa e la sua coda o, ancora, uno sciame di modesti asteroidi.
Secondo Charroux il diluvio viene ricordato anche in America e una prova è la pietra detta "degli astronomi", della collezione Ica, anche se tali pietre sollevano molti dubbi. Su di una di esse due persone stanno studiando un fenomeno celeste con un telescopio, un oggetto volante sale verso il cielo mentre tre comete cadono; vi sono stelle che brillano insolitamente, un immensa nuvola striata a simboleggiare la pioggia che segue la coda di una grossa cometa. I continenti sono raffigurati semi sommersi e una stella precipita su un continente o sopra una grandissima isola. In primo piano un'imbarcazione con tre personaggi a bordo.
Il dottor Cabrera ritiene che in altre due pietre si possa vedere il volto della Terra nell'era secondaria. In una ad est delle due Americhe si scorge Atlantide.
A Cobà esiste una scultura Maya su pietra che rappresenta un maya che fugge su di una barca mentre un vulcano erutta e un tempio piramidale crolla.
Leggende maya narrano che i loro antenati provenivano da una terra chiamata Aztlan, sprofondata nel mare a causa di un terribile disastro.
Del diluvio parla anche un opera del gesuita Anello Oliva "Vita degli uomini illustri della compagnia di Gesù del Perù" scritta nel 1631.
I racconti narrano che Manco Capac, primo re degli Incas, non volle andare oltre Yca. I suoi compagni lo trovarono in una spaziosa caverna del lago Titicaca scavata da mani umane. Le pareti erano ricoperte d'ornamenti d'oro e d'argento e vi si accedeva attraverso una porta strettissima. Per riconoscersi fra loro si forarono le orecchie e vi misero grossi anelli di giunco. Manco uscì dalla caverna in un abito fatto di placche d'oro e si fece eleggere re, fondando la monarchia degli Ingas (Incas).
Un collegamento ai tesori della leggenda di Tiahuanaco.
Una obiezione alla teoria della cometa giunge da parte del prof. Andrea Carisi, in un articolo sul n. 3 della rivista Paleo, del 1995. Egli pensa sia difficile trovare pezzi di comete che vaghino insieme.
Secondo altri studiosi se un satellite cadesse sulla terra non arriverebbe intero. Molto prima di toccare il nostro pianeta esploderebbe riducendosi in innumerevoli pezzi, di varie dimensioni, con conseguenze facilmente immaginabili.
Il geologo austriaco Otto Much è convinto che se Atlantide fosse veramente esistita dovrebbe la sua fine ad un asteroide caduto il 5 giugno dell'8496 a.C..
Il diluvio sembra non sia ricordato dagli Egizi poiché la valle del Nilo ha solo dodicimila anni, vale a dire che prima di quel tempo il fiume non si gettava nel Mediterraneo.
Alcuni papiri fanno riferimento al ribaltamento della terra:
Nel papiro di Harris 1300 a.C. è scritto che "una catastrofe di fuoco e acqua provocò il rivoltarsi della terra".
Per il papiro di Ipuwer 1250 a.C. "il mondo prese a girare a rovescio come se fosse una ruota del vasaio e la terra si capovolse".
Secondo il papiro Hermitage del 1700 a.C. "il mondo si capovolse". Anche in un testo Indù, il "Visuddhi Magga", si legge che "la terra si è scrollata". In molti papiri egiziani vi sono riferimenti all'Atlantide.
Manetone, storico egiziano, ha fissato la data approssimativa del mutamento del conteggio degli anni degli egiziani nel periodo in cui Platone colloca l'affondamento di Atlantide 11.500 anni fa.
Il capitolo CLXXV del Libro dei Morti egiziano riporta che Thoth è adirato con l'umanità: "Cancellerò tutto quello che ho creato. Questa terra entrerà nell'abisso acqueo per mezzo di un furioso diluvio e diverrà tranquilla com'era ai primi tempi". A conferma un testo funebre rinvenuto nella tomba di Seti I; un racconto circa un diluvio che distrusse l'umanità. Chiaro collegamento con la Genesi quando Dio, vedendo la corruzione e la violenza degli uomini, ne decretò la fine.
Negli affreschi monumentali di Medinet Habu, Egitto, vi è illustrata l'invasione dei popoli del mare che "venivano da in capo al mondo".
Secondo lo scrittore Charles Berlitz i documenti egiziani perduti nel museo di Pietrogrado, raccontavano di una spedizione egiziana organizzata da un faraone della seconda dinastia al fine di scoprire cosa era successo ad Atlantide e cosa ne rimaneva. Ciò però contrasta con la teoria che vede l'Egitto sorgere dopo l'immane sconvolgimento: come faceva questa terra a sapere dell'esistenza di Atlantide ?
Oggi si ritiene che gli Indiani nelle Americhe siano comparsi circa dodici o tredicimila anni fa.
Nessun indiano ha caratteristiche somatiche dell’asiatico del Nord. Gli spagnoli della conquista parlarono di indiani bianchi e neri e di molte sfumature di carnagione e di amerindi dai capelli chiari ritrovati anche nelle mummie peruviane.
Numerose mummie bionde, dalla capigliatura come "la seta color della paglia", sono state trovate dall'archeologo Horkheimer, a Chancay. Riposavano vicine con altre mummie di colore, dai capelli neri e spessi, di razza indiana.
Rimane il mistero della loro presenza in quel luogo secoli prima della scoperta dell'America.
L’archeologa e scrittrice Waisbarg specifica che si possono trovare nel museo privato dell'archeologo giapponese che le ha scoperte, Yoshitaro Amano, a Lima.
Anche nei resoconti degli spagnoli troviamo la descrizione di incontri con abitanti biondi e di pelle bianca. Vengono riportate le storie raccontate dagli indios riguardanti giganti venuti dal mare.
Pedro Lopez riferisce di aver visto le assi delle barche (giunche) con le quali giunsero questi esseri giganteschi che costruirono complessi megalitici.
Padre Velasco afferma in una relazione che anche Pizarro poté ammirare le statue scolpite dai giganti "sterminati da un uomo giovane e splendente come il sole che lanciò contro di loro fiamme di fuoco".
Nel letto del fiume Columbia sono stati rinvenuti resti di origine caucasica, quindi i bianchi vivevano in America a quel tempo.
Charroux mette in risalto le osservazioni dei grandi glaciologi, Jelersma, Romanovski, Cailleux, secondo i quali l'ultima fusione dei ghiacci avvenne dodicimila anni fa, in modo repentino e a causa di qualcosa che urtò il nostro pianeta, o in conseguenza di un fenomeno cosmico di notevole entità. Questo disgelo fece sì che tutti i ghiacciai si fondessero insieme in modo tale da sconvolgere il pianeta con gigantesche mareggiate.
Lo scrittore Wally Herbert, in "Deserti Polari", parla di quando New York era sotto chilometri di ghiaccio.
Sui macigni di pietra del Central Park si possono osservare le tracce lasciate dal ghiacciaio.
Risalendo verso nord si trovano i grandi laghi del Quebec, il regime idrico del Labrador, la baia di Hudson e la terra di Baffin, tutti lasciti di un rigido regime glaciale. "...il ghiaccio tornò ad accumularsi nel Canada Settentrionale e nella Groenlandia, il freddo aumentava e l'avanzata dei ghiacci proseguiva, finché il Canada, gran parte degli Stati Uniti settentrionali, delle isole Britanniche, dell'Europa e la Scandinavia ne furono interamente coperti. Si succedettero quattro o cinque ere glaciali. Ogni volta l'avanzata dei ghiacci durò centomila anni".
Herbert nel 1971 scrisse che solo in un futuro si saprà quale sia stata la causa di queste fluttuazioni e in quale stadio del ciclo ci troviamo adesso.
È accertato che la neve si raccoglie in una quantità tale da originare un era glaciale solo se, nei pressi della zona di accumulo, esiste un oceano libero da ghiacci nella direzione in cui soffiano i venti predominanti.
Quindi il Mar Glaciale Artico costituirebbe la chiave del clima. Ma quali prove abbiamo che durante il Pleistocene vi sono stati periodi in cui era sgombro dai ghiacci ?
L'accademia delle Scienze di Leningrado ospita un Mammut rinvenuto nel 1900 in un terreno permanentemente ghiacciato del bacino del fiume Berezovka nella Siberia Nord occidentale. La carne ben conservata, la pelliccia, le viscere, il polline contenuto nel cibo non ancora digerito, ci fanno pensare che, indipendentemente dalle cause della morte, la conservazione è dovuta ad un raffreddamento rapido e irreversibile del clima Siberiano.
Si deduce che la vegetazione della Siberia era più abbondante e il clima relativamente caldo e più umido.
L'uomo preistorico conosceva i Mammut e quando quello di Berezovka morì, l'uomo era presente in tutto il mondo, circa un milione di anni fa. Lo stretto di Bering fu interrotto circa tredicimila anni fa, per un aumento delle acque.
Herbert parla anche di Pitea, astronomo senza uguali, nato nel 350 a.C., al quale i mercanti di Marsiglia affidarono l'incarico di compiere un viaggio al di là delle colonne d'Ercole.
"Nel 310 iniziò il viaggio che durò sei anni. Non sappiamo se siano stati redatti eventuali resoconti solo qualcosa è giunto fino a noi perché le sue gesta furono portate di bocca in bocca visto che per tutti passò come un grande bugiardo. Dichiarò di aver circumnavigato la Gran Bretagna. A sei giorni di viaggio verso Nord trovò una terra che chiamò Thule, dove durante l'estate la notte non calava e terra, acqua e aria si trovavano unite in un miscuglio. Forse s’imbatté in quelle nebbie marine note a chi conosce le zone polari. Riferì che dopo un giorno di navigazione toccò un mare torbido sul punto di solidificarsi da non potersi solcare e sul quale non si poteva procedere a piedi. Una situazione ben nota ai cacciatori di foche."
Nel Mahabharata si legge che a Meru, "Terra degli Dei", il giorno e la notte corrispondono ad un anno.
Nel Surya Siddantha indiano è scritto che gli Dei osservano il sole per sei mesi, prima che tramonti.
Così nel Rigveda e per gli Ariani della Persia, il cui paradiso, l'"Airyana Vaejo", subì una repentina glaciazione.
Nel 1934 furono effettuati prelevamenti sul fondale oceanico ove si presumeva fosse situato il continente scomparso e vennero alla luce fossili di alcuni animali vissuti sulla terraferma e campioni di lava provenienti da vulcani terrestri.
Più di uno scrittore ha riportato che, nel 1898, a cinquecento metri dalle Azzorre, in seguito a lavori inerenti alla posa di un cavo sottomarino, fu osservato che il fondo del mare somigliava a un paesaggio terrestre.
I campioni di materiale prelevati si rivelarono come lava basaltica vetrosa prodotta in seguito ad un raffreddamento verificatosi sotto la pressione atmosferica. Il geologo Pierre Termier stabilì che fosse finita sott'acqua dopo il raffreddamento.
La lava si decompone entro quindicimila anni e questa ancora non si era decomposta provando che le Azzorre sono i resti di una terra affondata prima di quel tempo.
Un altro segno di terre affondate in seguito ad un catastrofico cataclisma è rappresentato dalle vaste distese di sabbia che si trovano sui profondi fondali al largo delle Azzorre.
I geroglifici della piramide messicana di Xochicalco, decifrati da Le Plongeon, menzionano una terra posta in mezzo all'oceano i cui abitanti furono uccisi e ridotti in polvere.
Ma che cosa riduce in polvere ? Chi o cosa provocò il disastro ?
Secondo Much un planetoide con una massa enorme caduto fra la Florida e le Antille ove la crosta si riduce a soli 20 chilometri anziché essere di 40 o 50 come nel resto del globo.
Un'osservazione aerea ha rivelato in Georgia, Virginia, Carolina, crateri con diametro da 400 a 1500 metri, formati undici o dodicimila anni fa e un cratere di 300 chilometri nello Yucatan.
Gilgamesh, mitico eroe, parla di uomini ridotti in fango e del suolo divenuto una distesa uniforme. I segni sono tuttora evidenti. A 3500 metri le Ande sono percorse da una curiosa striscia biancastra lunga più di 500 km formata da sedimenti calcificati di alghe marine; prova ineluttabile che una volta quelle rocce erano bagnate dal mare.
Anche sulle sponde del lago Titicaca, ove l'acqua possiede un'alta percentuale salina, si stende una linea bianco giallastra formata da sedimenti salini, venuta alla luce oltre diecimila anni fa. Questa linea è obliqua rispetto all'attuale superficie dell'acqua; evidentemente prima della catastrofe doveva essere orizzontale.
Ciò prova che non solo la terra s'innalzò, ma modificò il suo equilibrio. Il grande tempio a Tiahuanaco fu interrotto bruscamente e l'ultima pietra collocata circa 9500 a.C. anno in cui Platone parla della scomparsa di Atlantide.
A poca distanza da Bogotà si stende un altopiano detto "Campo dei Giganti" perché disseminato di grandi ossa pietrificate. Si tratta di resti di Mastodonti che popolavano l'Europa, l'Asia, l'America e vivevano in zone paludose e ricche di vegetazione, non certo a duemila metri sul livello del mare. Inoltre la pietrificazione può essere resa solo dai sali marini.
In Alaska sono state rinvenuti resti di Tigri dai denti a "sciabola", leoni, cammelli, cavalli, rinoceronti. Parti di animali e alberi, esseri umani insieme a bisonti e mammut, squarciati e attorcigliati fra loro; il tronco scagliato da una parte, spalle e crani dall'altra.
Non presentano segni di armi o, strumenti da taglio. I resti sono come strappati da una forza di inaudita violenza e sparsi in ogni dove. Una cosa simile è stata riscontrata anche in Siberia, ove si sono sfruttati giacimenti di avorio fino all'inizio di questo secolo. Nelle isole della Nuova Siberia fu trovato un albero lungo ventisette metri, intatto, con i frutti maturi ancora attaccati ai rami. Lampante segno di una improvvisa ibernazione.
Di contro in altre zone, come nelle cave di La Brea, a Los Angeles, si sono manifestati fenomeni vulcanici.
In quei luoghi sono rimasti sepolti bisonti, bradipi, mastodonti, ben settecento tigri dai denti a sciabola.
Nella valle di San Pedro i mastodonti furono ritrovati in piedi, immersi nella cenere vulcanica; così in altri luoghi del Colorado e dell'Oregon.
Vi sono costruzioni che hanno senso solo in determinati luoghi e non in altri. Non in quelli in cui si trovano attualmente. Tiahuanaco per esempio.
Secondo la leggenda una catastrofe distrusse il mondo e il Creatore, Virachoca, creò i giganti e poi gli uomini fatti a sua immagine. Ciò accadde quando era adorato Ka-Ata-Killa, la luna Calante. Perché calante ?
Millenni dopo si verificò un altro cataclisma dal quale si salvò solo un pastore con la sua famiglia. In segno di ringraziamento questo antico Noè avrebbe eretto, nel giro di una notte, Tiahuanaco.
Esaminando le pianure abissali è stato scoperto che tutti i letti dei fiumi con la foce nell'Atlantico proseguono nei fondali scavando veri canyon sottomarini fino alla profondità di un miglio e mezzo, indicando che i loro corsi si sono formati quando quei fondali non erano sommersi. Le terre emerse erano più vaste e esisteva una terra o un grande arcipelago in mezzo all'oceano.
Attraverso un sacerdote egizio, protagonista dei suoi poemi, Platone narra degli innumerevoli cataclismi quando sulla terra viveva la stirpe più bella e nobile da cui siamo discesi.
"Prima del grande diluvio vi era una città famosa per la perfezione delle sue istituzioni. Venne fondata mille anni prima della nostra stirpe, la cui costituzione, come risulta dai sacri libri, risale a ottomila anni fa. Fu la vostra città a stroncare una potenza che aggrediva con violenza l'Europa e l'Asia e che proveniva dall'oceano Atlantico. In quel tempo facile da attraversare perché vi era un'isola di fronte allo stretto che voi chiamate delle Colonne d'Ercole, più grande della Libia e dell'Asia riunite; da quella si procedeva verso altre isole che formavano una sorta di strada verso l'opposto continente, intorno a quello che è veramente un mare aperto. Poiché il mare che sta entro lo stretto è solo un porto dall'entrata angusta, ma al di là vi è un immenso mare, un vero mare, che circonda quello che senza dubbio si può chiamare un continente.
Nell'isola di Atlantide si formò uno splendido impero che aveva predominio sulla Libia sino all'Egitto e sull'Europa fino a Tirrenia. Si preparò a sottomettere la vostra patria e la nostra e fu allora che la tua città con la sua forza e il suo valore, brillò sull'umanità e da sola trionfò sopra gli invasori salvando tutti i popoli dalla schiavitù.
Passarono molti secoli, da allora, e ci furono terribili terremoti e alluvioni e da un giorno all'altro, in modo orrendo, l'eroica stirpe guerriera sprofondò mentre l'Atlantide spariva inghiottita dai flutti."
E ancora da Crizia: "Novemila anni orsono scoppiò un conflitto tra i popoli viventi fuori dalle colonne d'Ercole e quelli viventi all'interno di esse. Da una parte Atene e dall'altra i re di Atlantide, allora più estesa della Libia e dell'Asia insieme. In questo periodo di novemila anni avvennero innumerevoli e violenti cataclismi e la vostra terra greca si sgretolava dall'alto dei monti verso il basso. Il terriccio scompariva in mare e rispetto a quello che esisteva un tempo, oggi rimangono solo isolette."
In Crizia si parla di manoscritti originali, si citano i possedimenti degli dei che si erano divisa la terra. Poseidone ebbe l'Atlantide e procreò figli con una mortale che viveva su quei monti: Clito.
Trasformò la terra ove viveva in una fortezza, adornandola alternando zone di mare e di terra in cerchi concentrici di varie misure, di cui tre erano di acqua, due di terra, con gli spazi calcolati in modo che nessun uomo potesse entrare in quella zona. Essendo un Dio fece scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una fredda e l'altra calda. Rese la terra ricca di ogni alimento, generò cinque coppie di figli maschi e divise l'isola in dieci parti.
Il figlio maggiore si chiamò Atlante, dal quale derivò il nome dell'isola maggiore, e lo rese re di tutti gli altri. Gli altri figli dominarono e governarono per molte generazioni le isole del mare aperto, un arcipelago molto vasto.
Su Atlante si trovava anche il mitico Oricalco.
La descrizione dell'isola ci fa intravedere un possibile Eden. Ricca di legname, pascoli e di ogni pianta aromatica, di tutti i frutti commestibili. Ponti sui numerosi canali, tutti coperti con tettoie per proteggere la navigazione. I margini innalzati sufficientemente. Si parla di strisce di terra e di mare larghe tre stadi o due stadi fino all'isola centrale dove la larghezza era di un solo stadio.
"Il palazzo del Re era situato su di un'isola di cinque stadi recintata da una muraglia in pietra larga un peltro.
Le pietre erano di tre colori: bianche, nere e rosse. Al centro dell'isola un tempio consacrato a Clito e Poseidone, il cui ingresso era impedito da un muro d'oro. Vi era un tempio in onore a Poseidone interamente rivestito d'argento all'esterno con pinnacoli d'oro. Un soffitto d'avorio con ornamenti d'oro, argento e oricalco.
Con statue d'oro. Il Dio nel suo cocchio con sei destrieri alati era talmente alto che toccava il soffitto col capo, intorno cento nereidi su delfini.
La capitale era circondata da una pianura uguale, levigata, cinta da una catena circolare di monti, fino al mare, riparata dai venti di tramontana. Aveva la forma di un quadrilatero allungato ad angoli retti in quanto si era provveduto a regolarla con un canale che la circondava tutta."
Le rovine sommerse al largo di Bimini presentano un canale di cinquecentocinquanta metri e monoliti di cinque metri di lunghezza, pesanti circa venticinque tonnellate, databili intorno all'ottomila.
"Le opere costruite sembrano opera di semidei, non dell'uomo. Il canale scavato alla profondità di cento piedi e largo uno stadio uniformemente, era lungo diecimila stadi e vi affluivano dai monti tutte le acque che fluivano in mare dopo aver irrigato la pianura. Altri canali navigabili e diretti verso la capitale erano stati costruiti ad una distanza di cento stadi l'uno dall'altro."
Da quanto emerge dai documenti, Atlantide possedeva circa un milione di soldati, duecentocinquantamila cavalli, diecimila carri da combattimento, milleduecento navi. Un impero governato da dieci re che si riunivano periodicamente per concordare politica e comportamenti.
Fino a che la natura divina si perpetuò in loro, gli Atlantidi rimasero fedeli alle leggi degli Dei, da cui si dice fossero generati.
È curioso come si trovino affinità con altri scritti narrati di altri popoli, derivati da un unica storia originale, forse precedente. Strane coincidenze religiose conducono a conclusioni logiche e interessanti. Un Dio, Zeus, che dal cielo controlla l'operato di una divinità scesa in terra e dei suoi figli. Che interviene per punire le scelleratezze di coloro che Dei non sono più, a causa delle connivenze frequenti con i mortali.
Questa storia si ripete nei miti e leggende dei popoli della terra. Nella Bibbia, in Gilgamesh, in Dzyan, nelle storie degli Hopi e altri.
"Quando la parte divina s'indebolì in loro per le numerose unioni con i mortali, la parte umana prese il sopravvento e furono corrotti dal desiderio di potere e di ricchezza. Zeus che vide tutto questo decise di punirli. Radunò tutti gli Dei nella stupenda dimora posta al centro del cosmo per poter guardare dall'alto in ogni direzione e disse loro..."
Qui finisce il racconto, non conosciamo cosa fu deciso; ma il seguito della storia lo si ritrova in tanti altri documenti.
Nel Timeo da un giorno all'altro scompare Atlantide a causa di terremoti e maremoti.
L’ammiraglio Flavio Barbiero, seguendo proprio quanto descritto da Platone nei suoi poemi, è riuscito ad identificare quale in effetti era la terra al di là delle colonne d’Ercole squassata da un corpo celeste, forse una cometa, dodicimila anni fa.
Oltre diciottomila anni fa l’inclinazione terrestre era tra 6 e 8 gradi; la calda corrente equatoriale rendeva mite e stabile la temperatura e garantiva la regolarità delle piogge in tutto il globo. Il nostro pianeta presentava una coltre di ghiaccio di 9 milioni di chilometri quadrati; dodicimila anni fa almeno 6 milioni di chilometri quadrati.
L’Europa vedeva la Danimarca e parte della Germania sotto il ghiaccio. Di contro la Siberia godeva di un clima temperato e nelle sue vaste praterie pascolavano milioni di mammut. Nell’emisfero sud metà dell’Antartide era libero dai ghiacci; il polo si trovava nelle isole Macquarie, quindi la penisola di Palmer, l’area di Weddel, la terra della Regina Maud erano prive di ghiaccio. Qui l’ammiraglio Barbiero colloca la mitica Atlantide.
Una terra molto vasta, 140 kmq, con la capitale posizionata in un’ampia pianura presso il mare e al centro dell’isola; dove oggi si trovano le banchise di Filchner e Lassiter.
Tenendo conto che il livello del mare era 130 chilometri più basso e non esistevano ghiacci, come scrive Barbiero: "ritroviamo un’immensa pianura di poco al di sopra delle acque".
Oggi la banchisa è circondata da una catena di montagne a picco sul mare, liscia e uniforme per 500 chilometri di larghezza e 350 di altezza. Dodicimila anni fa era esposta a mezzogiorno e i monti situati alle sue spalle la riparavano dai venti freddi. Nel centro di essa, a nove chilometri dal mare, c’era un monte non molto alto ove sorgeva il tempio di Nettuno; l’autore identifica il luogo con l’attuale isola di Berkner. "Sulla base della descrizione di Platone la posizione del monte sacro di Atlantide è esattamente individuata, senza possibilità di errore: esso si trova a 79° di latitudine sud e 45° longitudine ovest, nella parte orientale della cosiddetta isola di Berkner."
Non basta: "le acque interne del mare di Weddell sono delimitate dalle Sandwich, un arco di piccole isole distanziate in modo regolare: le coste a picco sul mare, a quel tempo ad un livello più basso, danno tutt’oggi l’idea di enormi colonne che si elevano dal fondo dell’oceano".
Ecco quindi le vere "Colonne d’Ercole" di cui parla Platone. Come afferma l’ammiraglio: "la corrispondenza è totale ed impressionante".
Secondo la saga sumerica di Gilgamesh "Venne il tempo in cui i signori dell'oscurità fecero cadere una terribile pioggia. Tutti gli spiriti cattivi infuriarono, tutto il chiarore si tramutò in oscurità. Rumoreggiarono le acque, scorrendo, raggiunsero le montagne e caddero su tutte le genti. Sei giorni e sei notti scrosciò l'acqua dalla cui distesa emergeva solo il monte Nisir ove si incagliò la nave di Utna."
Alcune tavolette Sumere di cinquemila anni parlano di Ziusudra, o Xisuthros, un'altro Noè.
In Messico alla fine del quarto sole si verificarono diluvi e inondazioni. Un manoscritto Maya, tradotto nel 1930 dal brasiliano Bolio, racconta che "Nell'undicesimo giorno Ahau Katun cadde una pioggia violentissima e ceneri dal cielo. In una sola grande ondata le acque del mare si rovesciarono sulla terra e il cielo precipitò".
Un altro manoscritto pre-Maya di 3500 anni descrive la fine di Mu: "Nell'anno sei del Kan, l'undici Muluc del mese di Zac avvennero terribili terremoti che continuarono fino al tredici Chuen. Mu, la contrada dalle colline d'argilla fu sacrificata. Si sollevò due volte e scomparve mentre al terra veniva scossa. Il suolo sprofondò e riemerse, si spaccò e si divise in molte parti, e sprofondò con i suoi abitanti."
E ancora nella Bibbia:
Cadde dal cielo una grande stella ardente, come una torcia e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque.
La stella si chiamava Assenzio. (Apocalisse 8,10).
La terra sarà tutta un deserto Stelle e costellazioni smetteranno di brillare e il sole si farà oscuro fin dal mattino e la luna non splenderà più. (Isaia 9,10).
Isaia pregò il Signore ed egli fece retrocedere di 10 passi l’ombra sulla scala di Acaz (2° Libro dei Re 10,11).
Secondo gli Aztechi sopravvissero solo Coxcoytli e sua moglie perché, seguendo le indicazioni di un dio, costruirono una barca che finì arenata su di un monte.
Storie comuni anche agli Araucani del Cile, agli Yamani della terra del Fuoco, agli Invit dell'Alaska, ai Luiseno della California, agli Irochesi e ai Sioux, pellerossa americani.
Perfino la Cina possiede la storia di un diluvio, avvenuto in concomitanza del mutare delle orbite dei pianeti.
Malesia, Laos, Tailandia, Birmania, conservano il mito del diluvio. Lo stesso si dica per gli aborigeni dell'Australia, per gli indigeni delle Hawai, che condividono un Noè con i Greci (Deucalione), con l'India di Manu e con l'Egitto.
Il diluvio sembra segnare la fine di un periodo e la nascita di una nuova era, quella del quinto sole Azteco.
Scritture buddiste parlano di sette soli finiti nell'acqua, nel fuoco, nel vento. L'attuale finirà nelle fiamme.
I libri Sibillini parlano di nove soli, quindi vi saranno ancora due epoche dopo la nostra che sembra essere la settima.
A. Marcellino, storico romano, 330-395 d.C. parla di una grandissima isola inghiottita nell'oceano Atlantico dalla parte delle coste europee.
Il filosofo Proco, 410- 485 DC, era convinto che un isola così grande fosse esistita davvero, per quello che narravano gli storici dell'epoca e per i ricordi della gente che abitava in un gruppo di isole a ovest delle coste europee. Secondo le storie del tempo vi erano sette isole sacre a Persefone, e tre più grandi: una sacra a Plutone, una ad Ammone e una a Poseidone, questa grande mille stadi, splendida fra tutte.
Tucidide, 460-400 a.C., nella storia della guerra del Peloponneso, narra di una gigantesca ondata che coprì parte di Orobia, una città dell'Eubea. Facendo diventare mare ciò che era terra. La gente che non riuscì a fuggire sui monti perì.
Timagene (I sec a.C.) narra di una storia, popolare fra i popoli Galli, secondo la quale, questi, furono invasi da un popolo che si dichiarava discendente di una razza che abitava un'isola situata in mezzo all'oceano.
Diodoro Siculo (I sec a.C.) ricalca Platone "(...) la storia narra che la terra paludosa dei Tritoni scomparve di vista durante un terremoto, quando furono divelte alcune sue parti prospicienti l'oceano. Il reame era diviso fra Atlante e Cronos. Atlante ricevette il mondo delle regioni sulle coste oceaniche, portò alla perfezione la scienza astrologica e fu il primo a rivelare all'uomo la dottrina della sfera."
Di quale dottrina si tratta? La Terra è una sfera, ed è divisibile in cinque settori di 72° ciascuno. Questo ci riporta a quanto scritto in merito alla Precessione degli equinozi e sulla Grande Piramide.
"Le figlie di Atlante si accoppiarono con i più famosi Dei e divennero le antenate degli esseri umani e furono collocate in cielo col nome di Pleiadi (...) Esiste al di là della Libia un isola di vaste proporzioni a due giorni verso ovest dalle coste libiche (...) con una pianura di insuperabile bellezza. L'attraversano fiumi navigabili usati per l'irrigazione.. vi sono tutte le piante, gli animali, ville giardini frutti abbondanti".
Tertulliano (160-230 d.C. ) riferisce su mutamenti subiti dalla terra e cita "l'Atlantide, un'isola pari alla Libia e all'Asia insieme, oggi la cercheremmo invano".
Arnobbio Afero di Sicca (III sec d.C.), nel difendere i Cartaginesi incolpati di tutto dice: "ricordiamo loro che circa diecimila anni fa un numero enorme di uomini uscì con terribile foga da un isola chiamata Atlantide distrusse e annientò infinite tribù".
Claudio Eliano (III sec d.C.) parlando delle otarie, soprannominate arieti del mare, dice che il maschio ha sulla fronte una striscia bianca simile a quella che portavano in capo i re dell'Atlantide, come segno di potere.
Tavolette Babilonesi parlano di esseri discesi dal cielo: "venne poi il diluvio e dopo la regalità scese di nuovo dai cieli. Gli antichi Dei che portarono la civiltà e la luce del progresso sulla terra sparirono a causa della caduta dell'ultima delle lune".
Nella Bibbia Ezechiele racconta di un arcipelago, indicato come isole di Tarsis (Tiro). Jahweh lo incarica di portare al Re un messaggio: "Dì al Re, che ha affermato di essere un Dio e ha preteso di sedere su di un trono circondato dai mari, che è solo un uomo". Dio stesso si rivolge al re: "Io, il Signore, ti manderò contro i più feroci popoli stranieri. Vivevi in un Eden, il giardino di Dio, coperto d'ogni specie di pietre preziose, gioielli preparati il giorno in cui sei stato creato. Ho messo un cherubino imponente a proteggerti, vivevi sul monte sacro a Dio e camminavi fra pietre 'moventi'. Per il tuo commercio hai peccato. Ti ho cacciato dal monte di Dio e il cherubino ti ha allontanato dalle pietre 'Moventi'."
Cosa sono queste pietre ?
Poi Dio si rivolge alla città: "Io, Dio, il Signore, dichiaro che ti renderò deserta come le città in rovina. Ti coprirò con masse enormi di acqua fatte salire dal popolo del mare. Ti farò sprofondare nel mondo dei morti. Resterai in quel mondo sotterraneo, non potrai risalire e non avrai più posto nel mondo dei vivi. Tutti saranno spaventati dalla tua fine. Ti cercheranno ma non ti troveranno mai più, lo dico, io Dio, il Signore".
Forse per questi passi le ricerche portarono verso Tartesso; ma Tartis è un luogo incerto anche se per qualcuno potrebbe trattarsi del territorio spagnolo.
Atlantide si fa sempre meno mito e più certa diviene la sua esistenza e con essa la catastrofe subita dal pianeta.
Lo studioso Lewis Spence concorda con la teoria secondo la quale Atlantide sia scomparsa in seguito ad una serie di cataclismi periodici e non in una sola volta.
Lo proverebbero i periodi durante i quali la cultura europea avrebbe fatto un salto di qualità e che corrisponderebbero agli esodi forzati dal continente Atlantideo in seguito al verificarsi dei cataclismi; e cioè nel 25.000, nel 14.000 e nel 10.000 a.C., quando Atlantide scomparve del tutto. Altre prove la raffinatezza della cultura Cro Magnon dotata di notevoli conoscenze d’anatomia e di uno sviluppo mentale tipico di una specie di superuomini.
Da uno stesso progenitore arcaico africano sarebbero derivati l'uomo di Neanderthal in Europa e quello di Rodhesia in Africa.
Fatto accertato dopo la scoperta del cranio Lofoide della Rodhesia. Quindi la migrazione umana sarebbe avvenuta in due direzioni opposte: una verso levante e l'oceano indiano, nelle terre australi e nel pacifico fino all'isola di Pasqua; l'altra per l'Atlantico, a ponente, in America. Quest'ultima sembrerebbe in epoca remotissima.
I due rami più antichi della famiglia umana, l'Hesperantropus, un locefalo americano e il Tasmanus, un locefalo oceanico, sarebbero entrambi discendenti da un Paleo-Anthropus. Sarebbero inoltre emigrati in America per le vie occidentali, ma se vengono escluse le vie che passavano attraverso le isole intermedie, costeggiandole, in quale modo sarebbe avvenuta questa emigrazione?
Gli studi antropologici rivelano il passaggio per vie occidentali d'Africa quando non esistevano transatlantici e velivoli, almeno per quanto ne sappiamo.
Gli studi geologici e i sondaggi oceanici proverebbero l'esistenza di un esteso rilievo terziario affondato in epoca remotissima nell'Atlantico. Gli studi archeologici provano inoltre la simultaneità cronologica e una analogia nelle arti, lettere, religioni, simboli, costumi dei due emisferi. Studi linguistici svelano il fondo di antichi idiomi comuni ai popoli situati di qua e di là dell'Atlantico. Infine le tradizioni conservano il ricordo di una terra sommersa.
Da porre l’accento sul simbolismo assunto dal toro Atlantideo nelle culture egizia, cretese e spagnola.
Rilevante l'espandersi nella Francia e nella Spagna di un’antica civiltà che usava seppellire i morti con il viso rivolto all'Ovest.
Nel corso del tempo sarebbero emerse numerose altre prove circa l'esistenza di un continente Atlantico.
Il Prof. Gianni Trapani rilevò che le Canarie si elevano su di uno zoccolo poco profondo e sono la continuazione delle catene dell'Atlante africano. Hanno fatto certamente parte di un grande frammento unito alla Mauritania fino ad un epoca relativamente recente.
Sembra che questo fosse stato un dato di fatto già noto agli studiosi fino dal 1600.
Il Prof. Germain, del Museo di Storia Naturale di Parigi, studiando la flora e la fauna delle isole atlantiche concluse che une tempo esisteva un continente nel mare dei Sargassi e ne pubblicò un ampio resoconto su:
"La Geopgraphie" nel 1923.
Cristoforo Colombo, in una lettera inviata ai re spagnoli datata ottobre 1499, scrisse: "Ogni volta che navigai dalla Spagna alle Indie, trovai a cento leghe a ponente delle Azzorre, un cambiamento straordinario nel cielo, nelle stelle, nella temperatura dell'aria e delle acque del mare. Trovai il mare talmente coperto di un'erba che somiglia a dei piccoli rami di pino carico di lentisco, da far pensare di essere su un bassofondo".
L'esistenza di alghe galleggianti grazie allo stelo ritto sull'acqua, e trattenute in galleggiamento da piccole vescichette di aria, che coprono un area di sessanta miglia quadrate, denota che in precedenza in quel punto esisteva una massa di terra continentale successivamente sprofondata. Secondo lo studioso Germain alghe simili proliferano da molto tempo nell'arco di un antico litorale diventato arcipelago. Gli animali marini che si annidano nelle alghe sono del tipo litoraneo. Discendono da quelli abitualmente insediati in un continente precedente.
Non è pensabile che le larve di questi crostacei dalla vita di pochi giorni possa venire dalle rive del Senegal e da quelle dell'America.
Il Prof.Schmidt, nell’ottobre del 1923, descrisse, su di una rivista scientifica, la vita delle anguille dette "pesci dell'Atlantide", e la vita delle "Civelles", pesciolini rosei, trasparenti di forma cilindrica di circa sette centimetri, i quali risalgono in gruppi i fiumi cambiando colore e divengono anguille verde scuro. Dopo cinque o sette anni sono in grado di riprodursi e ritornano al mare. Quando vi giungono hanno mutato colore. Nel mese di ottobre iniziano un viaggio di sei mesi verso il mare dei Sargassi, ove si accoppiano e lasciano le uova a trecento metri di profondità. Le larve, di quattro millimetri, sono trasparenti e si nutrono percorrendo in senso inverso il tragitto.
È stato notato che anche in America le anguille dei fiumi migrano verso il mar dei Sargassi. Quindi si deduce che questo derivi da un'abitudine secolare.
Alcuni uccelli, come il Catopsilia della Guaiana Inglese, volano annualmente verso l'Atlantico. Tutto questo certifica l'esistenza di un antico continente, adesso affondato.
Ulteriore conferma circa l'esistenza di una terra in mezzo all'Atlantico, anche se non necessariamente"l’Atlantide", deriva dallo studio del "Rosso" come caratteristica comune a molti popoli.
In lingua ebraica Adam significa "rosso" e tale era il colore del primo uomo. Da Adam deriva Adama e Adamo; nonché Adamu, cioè "sangue". Adamatu è la terra rosso scura con la quale Geova formò Adamo. Lo foggiò con l'argilla rosso scura del suolo, soffiò nelle sue narici l'alito della vita mutandolo in un "Nepesh": spirito, anima, "sangue". L'Adamo era decisamente "rosso".
La storia Sumera racconta come la Dea Madre mescolò il sangue di un Dio, il "Nepesh", alla terra, nella casa di Shi.In.Ti, dove veniva alitato il vento della vita, per formare l'Adama. Classificato come un essere di quarantacinque metri, androgino, circonciso, prima provvisto di coda poi senza, inserito, con Eva nella stirpe dei giganti.
Adoma è anche la parola che indica un grande continente situato nel Pacifico settentrionale nominato parlando della storia di Adamo; luogo che si vuole popolato da uomini "rossi", che sprofondò in seguito ad una catastrofe.
Adamo diviene così la raffigurazione degli Atlantidi dalla pelle rossa. In Greco, rosso si diceva "Phoinix", appellativo dato ai Fenici, gli uomini rossi. Adamo diventa il gigante fenicio della Britannia, una delle regioni di Atlantide.
Al tempo della XII dinastia in Egitto si conoscevano quattro razze: i Manu, dalla pelle gialla di origine asiatica e con il naso aquilino; i Nassu, neri, con i capelli lanosi; i Tamaku dal carnato bianco roseo con gli occhi celesti, provenienti dalla Libia e dalle isole del Gran Verde; infine i Rutennu o egizi di razza rossa che insieme ai Fenici si definivano "i rossi".
Sui bassorilievi e sui monumenti, i personaggi di alto lignaggio venivano raffigurati con una pittura rossa.
Pure gli "uomini del mare", invasori dell'Egitto, vengono indicati come "rossi" e addirittura nelle leggende Cinesi troviamo un popolo dai capelli rossi.
La parola Rutennu o Rotennu deriva da Rut o Rot che significa rosso. Di tale colore il mare che bagnava l'Egitto, "il mare dei Rossi". Rut deriva da Rute che con Daytia era una delle due isole superstiti di Atlantide; punto di partenza della razza che soggiogò quella che dimorava sulle sponde del Nilo originando i Rutennu: gli uomini del mare di Rute.
Il popolo degli Yxsos veniva definito una razza più rossa di quella egizia e, per loro stessa ammissione, proveniva da quella terra che si stendeva fra il Pacifico e il Sud atlantico chiamata "Oceano Ethiopicus", nota come Etiopia, notoriamente popolata da "neri". Terra che formava una sorta di ponte fra i popoli dell'Atlantico, del Mediterraneo e del Pacifico.
Significativo che il vocabolo "Kush", trasformazione del nome Cuzco (un collegamento con le Ande?), sia un vocabolo non ebraico tramandatoci dalla Bibbia, che si ritrova nel nome degli Etruschi, Etrush e definisca gli Etiopi e la loro terra; quella di Koshu. Inoltre l'antico nome di Ur era Kish. Quindi l'origine di molti popoli sembra si trovasse nel mezzo dell'Atlantico, in quella Rute che apparteneva ad Atlantide.
Rossi erano tutti i popoli sulle sponde delle terre intorno a quest'ultimo perduto continente: i Maya, gli Incas, gli Aztechi, gli Indios americani, i Pellirosse; razze che affermavano di provenire da una terra chiamata Aztlan o Atlan naufragata nell'Oceano Atlantico in seguito a cataclismi e terremoti.
Vivo è il ricordo fra il popolo rosso americano. I Delaware ricordano l'età dell'oro e quella della distruzione di una grande isola oltre l'oceano; i Mandan conservano un'immagine dell'Arca; i Dakota raccontano che gli avi salparono da un'isola sprofondata a oriente.
Gli Okanocan parlano di giganti bianchi su di un'isola in mezzo all'oceano che venne distrutta; i superstiti divennero rossi in seguito alle scottature del sole per aver navigato per giorni su di una canoa. I Sioux ricordano quando non c'erano terre asciutte.
Un grosso interrogativo nasce nel costatare che l'unico paese al mondo mancante del mito del Diluvio universale è l'Egitto. Unica catastrofe quella provocata dalla Dea Hathor che, impossessatasi dell'Occhio Divino (forse un veicolo aereo?), lottò contro il genere umano massacrandolo. Ra pose fine al massacro versando sulla terra settemila giare di birra formando un mare ove la Dea si fermò a specchiarsi.
Le conchiglie rinvenute ai piedi della Grande Piramide testimoniano, invece, che la catastrofe interessò anche quella terra, forse prima della civiltà Egizia. Rimane senza soluzione la sua ubicazione nel tempo.
Ad uno dei più antichi ceppi della razza rossa appartengono anche i Guanci delle isole Canarie; individui con occhi azzurri, capigliatura bionda come alcuni Incas e Chimù.
Gli antichi ebrei avevano i capelli biondi e crespi non comuni ai popoli orientali, orgogliosi della loro cultura monoteista da considerarsi gli "eletti".
Seguendo le tracce di questo colore giungiamo fino al Pianeta Rosso: "Marte". Secondo Brinsley Le Poer Trench, il libro di Enoch proverebbe che l'Eden si trovava su quel pianeta. Enoc nel terzo cielo, quello di Marte, appunto, contemplò il giardino del Paradiso e al centro vide l'albero della Vita.
Oggi Marte rappresenta un appassionante mistero spaziale alimentato dal comportamento dell'Ente spaziale americano che nega tutto, dall'istituzione di una "Mars Mission" che intende mettere tutto alla luce del sole.
Nel mezzo le foto fornite dal Mariner con formazioni piramidali (che sembra esistano pure sulla Luna), e un enigmatico volto che ricorda la Sfinge Egizia. Con questo non vogliamo asserire o negare niente; ciò non di meno rimaniamo perplessi davanti ad un volto che ci osserva da un altro pianeta.
Un libro aramaico, "la Vita di Adamo ed Eva", affermerebbe che il Signore ordinò all'arcangelo Michele di condurre Adamo nel Paradiso di Giustizia, nel terzo cielo (quello di Marte), cosa che fu fatta servendosi di un "carro di Fuoco".
Il Signore scese su un "carro di Cherubini" per giudicare Adamo ed Eva, la quale, alzando gli occhi al cielo, vide un "carro di luce" con quattro aquile risplendenti posarsi nel punto ove stava Adamo.
Nel rotolo 4Q SI40, riportato nel libro di Luigi Moraldi "I manoscritti del Qumram", edizioni Utet 1986, vi si trova la descrizione del "carro trono" del Signore: Il Merkabah.
Circondato di Cherubini che "ritornano ed escono tra le ruote della sua Gloria come immagini di fuoco", creature "splendenti" con indosso meravigliosi abiti multicolori, più splendenti del sale puro. Gli spiriti del Dio vivente scortano la gloria dei "carri". (...) quando si apprestano tace il suono delle acclamazioni e la "brezza" della benedizione in tutti gli accampamenti di Dio.
Non mancano le similitudini con i libri Indù.
Uno di questi dal nome impronunciabile, il "Budhaswamin Brihat Katha Shlokasamgraha", descrive l'atterraggio del re del Vidyaharas, Naravashanadotta, su Uijayani, vicino al Gange, con un carro presidiato dai suoi "celesti" per cercare Ipploha, che aveva rapito la principessa Surasamanjari.
Il rosso ci porta verso i "Vimana" indù, i carri degli Dèi che si alzavano nei cieli dell'India.
Inoltre il libro aramaico ci informa che il volto di Adamo splendeva di luce abbagliante.
Anche qui le similitudini sono numerose; basti ricordare Lug, l'Apollo, il dio dei Celti; lo Splendente per i Latini; Chu Chulain, El; lo stesso Gesù risorto, Brahma; vengono descritti con il volto luminoso. Mosè quando discese dal Sinai irraggiava una luminosità intorno.
Enoc stesso, nella Costellazione Altair, scorse il volto del Signore "simile al ferro fuso che emetteva lampi di luce abbagliante". Va sottolineato che il rosso ardente era il colore dei Maya e degli Aztechi.
Il libro dei Quichè, il Popol Vuh, parla specificatamente della Creazione dell'uomo dal colore rosso.
Quando nacque, Noè, aveva il corpo candido come la neve e rosso come una rosa in fiore, capelli con lunghi riccioli bianchi come la lana. Quando aprì gli occhi illuminò l'intera casa come il sole. Si sollevò fra le mani della levatrice e parlò con il Signore.
Tutto ciò è narrato nel libro di Noè e i rotoli del Qumran confermano la storia compreso il sospetto che assalì Lamec. Il figlio era stato concepito da uno dei Guardiani celesti e apparteneva alla stirpe dei giganti. Quindi Noè si rivela un gigante dalla pelle rossa sopravvissuto ad Atlantide diecimila anni fa’.
Gli antichi lo veneravano come un Atlantideo e un Titano come le tradizioni bibliche che lo associano ai Figli di Dio.
Se uno più uno fa due, è logico concludere che i Figli di Dio erano giganti dalla pelle rossa. Non rimane che chiedersi se l'uomo discende, in via naturale o artificiale, come citano alcuni testi, da una razza di Dèi "rossi": gli Elohim per alcuni, i Refaim o Nephilim per altri.
Pomponio Mela e Plinio raccontano dell'arrivo di una barca piena di uomini dalla "pelle rossa", con labbra tumide crani allungati, nasi aquilini, proveniente dall'Atlantico. L'uomo di Cro-Magnon fu, come la Razza Rossa, un tipo agile, alto, muscoloso, atletico, con ossatura pesante. Inoltre la pittura rupestre nelle caverne raffigura gli uomini della razza Cro-Magnom provenienti da occidente, attraverso l'atlantico, come uomini "rossi".
In tutte le regioni in cui vivevano uomini rossi si veneravano gli Dèi sulla sommità di piramidi a gradini o costruzioni affini, come i menhir; e sugli altari veniva bruciata la carne delle vittime. Tutto questo e evidenziato sul libro di Otto Muck "I Segreti di Atlantide", secondo il quale il vulcano di Atlantide fu il prototipo delle piramidi: "quando il Dio si sveglia e parla con voce tonante ai terrestri la vetta del vulcano appare avvolta in una luce dorata".
Il tempio di Marduk-Baal sulla cima dell'Etemenanki era ricoperto d'oro; la cima delle piramidi era dello stesso metallo, come le pagode e gli stupa con i loro tetti dorati. Fra i Fenici il monte ardente diviene il "Dio Ardente", il Melek o Molok, al quale si sacrificavano i primogeniti.
Sull'altare dell'olocausto si bruciavano grassi e carne in onore di Jahweh. Gli altari Aztechi videro i sacrifici al Dio Quetzalcoatl, nello Yucatan al dio Cuculcan. Così nell'Ellade, a Roma, a Babele, Ninive e nell'India prebuddista. Stranamente la "Irminsul" germanica si ricollega al serpente piumato Maya e Azteco, ove diviene il simbolo del Dio cosmico, sovrano dei quattro elementi.
Davanti all'altare cristiano l'incenso sparso riproduce quella nube che segnala sempre la presenza del Dio quando questi parla con l'uomo. La Bibbia difatti descrive così queste manifestazioni divine. Mosè sali sul Sinai alla presenza di Dio mentre la montagna rumoreggiava, fumava e s'illuminava di lampi di luce, visibili e udibili da lontano. La montagna fumante è ricordata dall'albero cosmico, simbolo della cultura megalitica degli uomini Cro-Magnom che occuparono la terra liberata dai ghiacci e crearono quei colossali menhir di pietra orientati verso Ovest; verso il luogo d'origine dei primi uomini rossi. Il ricordo del monte Atlas, oggi Pico Alto, ove dimorava il Dio del Fuoco. Zeus, Thor, Marduk, Geova, usavano il fuoco sacro, il fulmine, come il dio di Atlantide: il vulcano Atlas?
Il Cro Magnom ha colonizzato l'Europa dopo la scomparsa di Alantide avvenuta dodicimila anni fa nel momento in cui si passava dal quaternario al quinternario. Gli americani primitivi, secondo l'antropologo Herbert Wendt, appartengono alla specie dell'homo sapiens derivante dal Cro Magnom con tratti mongolici e indiani. Furono senza dubbio contemporanei degli uomini di Atlantide.
Il colore rosso marrone è un carattere razziale sicuro presso i popoli antichi appartenenti al gruppo delle piramidi e al raggio d'azione di Atlantide.
Piramidi si trovano anche sui banchi delle Bahamas, sul fondo marino presso Cuba, ove è stato individuato un complesso di ruderi che attende di essere esplorato; ad Haiti a Santo Domingo e nella zona di Bimini, enormi cupole, di cui una raggiunge la misura di 55 metri per 43, probabile base di una piramide.
Manson Valentine, Jacques Mayol, Harold Climo, Robert Angone hanno trovato templi a gradini nella zona di Bimini nel 1968 e le mangrovie fossilizzate analizzate col "C14" hanno indicato un età di dodicimila anni.
Da Atlantide proviene il rosso, ancora oggi colore degli emblemi imperiali, dei cardinali, usato nelle cerimonie importanti dalla chiesa (la porpora rossa), indice di potere e gloria, ricordo degli imperatori rossi di Atlantide. Adamah la prima terra, la Rossa.
Per chi dubita, una curiosa e indiretta testimonianza dell'esistenza di un terra nell'Atlantico ci viene dal popolo Basco. Non solo i caratteri somatici sono quelli della razza rossa atlantidea, somiglianti al profilo Maya, ma come gli indiani dell'America Centrale, usano al posto dell'aratro i "Laya"; bastoni biforcuti per preparare la terra per la semina. I maya dell'antico regno usavano lo stesso sistema.
E non basta; Baschi, Indiani, Maya trovano la stessa radice comune anche nel gioco: La Pelota. "Può essere che i re ed i nobili dell'isola di Atlantide abbiano giocato alla pelota, già diecimila anni fa, nello stesso modo in cui giocava Montezuma ai tempi di Cortes ed i Baschi ancora oggi ?" (Otto Muck).
Come le anguille che dall'Europa tornano nel Mar dei Sargassi, ricordando da dove sono giunte, anche l'uomo ritrova nel gioco divenuto patrimonio culturale, le sue radici ancestrali e perpetua la tradizione dei suoi avi: gli uomini rossi.
Quindi una sola domanda: quale l'origine di questa razza rossa? Atlantide? E da quale luogo provenivano i costruttori di Atlantide ?
Secondo Heli Sarre, Atlantide era un'isola artificiale galleggiante sull'oceano collegata ad isole più piccole per mezzo di ponti. Sarre si chiede se era possibile costruire una tale isola capace di contenere case, giardini, uomini e animali domestici. Prendendo ad esempio Tenochtitlan, afferma che lo era.
Questo implica che i costruttori, circa quattordicimila anni fa, conoscevano una tecnologia molto avanzata.
Erano quindi Dèi provenienti da un altro spazio, o forse, molto più semplicemente, comuni mortali che disponevano di una tecnologia migliore e parte di quelle scoperte ed invenzioni che abbiamo creduto di conquistare solo in un passato recente?
La risposta rischia di spostare le lancette del tempo in un periodo assai più remoto di quello finora sospettato.
Come ha scritto Platone nel suo poema: "Quanto è bambina la vostra storia rispetto all'enorme passato umano".
Note:
1. Direttore del Museo di Ica, Messico.
2. Flavio Barbiero - nato a Pola nel 1942, laureato in ingegneria a Pisa, entrato nell’Accademia Navale di Livorno nel 1961, ha trascorso i suoi anni nei centri di ricerca della Marina Militare e della NATO. Nel 1998 si è ritirato dal servizio attivo con il grado di Ammiraglio. Nel 1975 e 1978 ha partecipato a due spedizioni in Antardide.
Collabora con centri Studi e Università su programmi di ricerca scientifica e archeologica. Altri suoi libri sono.
Alla ricerca dell’Arca dell’Alleanza, La Bibbia senza segreti, I signori del tempo, Calendari antichi e moderni e La nave nella storia.
3. Si dice fossero sessantaquattro milioni.
4. Simile alla meridiana.
5. Rivista Universo 1927
6. A lei si attribuisce la tomba rinvenuta a nord di Gidda.
7. A Chan Chan sono state ritrovate molte mummie con capelli biondi.
By Mauro Paletti
FONTE
 
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jasmine23
view post Posted on 29/8/2007, 11:25




IL DILUVIO UNIVERSALE
La Bibbia narra che, miglia di anni fa, Dio decise di punire gli uomini per i loro peccati scatenando una terribile catastrofe: il Diluvio Universale!

Cosa c'è di provato storicamente nel racconto biblico? Noè, l'unico giusto scelto da Dio per salvarsi, è una figura leggendaria o è veramente esistito?
Alcuni anni fa l'oceanografo Robert Ballard raccontò di aver ritrovato le tracce del Diluvio Universale in un'antica linea costiera, situata tra il Mar Mediterraneo ed il Mar Morto, che scomparve, in seguito ad un’immane inondazione, circa 8000 anni fa.
Secondo Ballard quel ritrovamento dimostrava in pieno la veridicità del racconto biblico.
Anche prima di questa scoperta, però, molti studiosi si erano convinti che dietro la storia mitica di Noè si nascondesse il ricordo di uno sconvolgimento globale che aveva interessato la terra migliaia di anni fa.
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Infatti, la leggenda del diluvio universale - o di una catastrofe simile - non si ritrova solo nella tradizione giudaico-cristiana. Anzi, si può ritenere con una certa sicurezza che la storia di Noè sia la versione rielaborata dal popolo ebraico di antichi miti sumeri.
Nel mito di Gilgamesh, l'eroe sumero semidivino, si racconta, infatti, di Utnapishtim, un vecchio che, per volere del dio Ea, era sopravvissuto al diluvio voluto dagli dei per punire l'umanità corrotta. Lo stesso dio Ea aveva dato a Utnapishtim le misure di un'imbarcazione da costruire per salvare se stesso e tutte le creature viventi. Ma il racconto degli uomini malvagi puniti con il diluvio ricorre in innumerevoli tradizioni, non solo nell'area eurasiatica. In alcuni la casi la figura accostabile a Noè ha un nome molto simile: c'è l'hawaiano Nu-u, il cinese Nuwah, l'amazzonico Noa...
Tutto ciò ha portato gli studiosi a pensare che una catastrofe naturale abbia veramente decimato, migliaia di anni fa, la popolazione mondiale. Ma cosa potrebbe essere stato realmente il diluvio?
Sembra molto difficile che la matrice del cataclisma possa essere stata solo piovosa: è più verosimile l'ipotesi per cui altri eventi naturali abbiano provocato inondazioni in varie parti del nostro pianeta poste in zone relativamente basse rispetto al livello del mare.
In effetti, un evento di tale portata si è realmente verificato in un arco di tempo che varia fra i 10.000 e i 13.000 anni fa: a quel periodo risale, infatti, l'ultimo spostamento accertato dagli scienziati dei poli magnetici della Terra.
Lo spostamento dei poli potrebbe essere stato causato dall'impatto della Terra con un asteroide o un altro oggetto proveniente dallo spazio. Tra l'altro, una leggenda diffusa tra vari popoli cita l'esistenza in passato di tre lune nel nostro sistema solare, e la caduta di due di esse sul nostro pianeta.
Al di là di come siano andate le cose, quello del Diluvio Universale rimane un racconto che affascina e inquieta ancora oggi, forse proprio perché poggia su un mistero antico e irrisolto.

IPOTESI ARCHEOLOGANDO
Oltre quindicimila anni fa la terra fu sconvolta da una catastrofe; le acque si elevarono al di sopra del loro livello sommergendo molte terre. Si narra che due grandi continenti sparirono per sempre: Atlantide e Mu.
Alcune tracce lasciate dal cataclisma sono ancora evidenti e molto si ritrova nelle cronache antiche.
L'apostolo Giovanni descrive nell'Apocalisse un cataclisma:
Avvenne un gran terremoto e il sole divenne nero come un panno da lutto, la luna diventò come sangue e le stelle del cielo caddero sulla Terra (...) la volta celeste si squarciò e si arrotolò come una pergamena e ogni montagna e ogni isola vennero rimosse dai loro siti. (6, 12-14)
...una tempesta di fuoco e grandine mescolati con sangue, si riversò sulla terra (...) una massa ardente simile ad una montagna infuocata fu precipitata nel mare (...) cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, che piombò su un terzo dei fiumi e delle sorgenti. (8, 7)
...vidi una stella che era caduta dal cielo sulla terra. (9, 1)
...da quando gli uomini esistono sulla terra non si era avuto un terremoto cosi violento (...) tutte le isole scomparvero e le montagne non si videro più. (16, 18)
Allora vidi un nuovo cielo e una nuova terra il primo cielo e la prima terra erano spariti e il mare non c'era più. (21, 1)

Enormi meteoriti scavarono, diecimila o dodicimila anni fa, grossi crateri nell'America Centro Meridionale, in Georgia, Virginia, Carolina e sul fondo dell'Oceano Atlantico al largo di Portorico. Si formarono le cascate del Niagara e s'innalzarono le Ande. Scomparve la coltre ghiacciata che copriva la Scandinavia, la Gran Bretagna, l'Irlanda, l'Europa Continentale. Un clima rigido invadeva La Siberia. La corrente del Golfo arrivò a toccare le nostre sponde perché, come afferma il geologo austriaco Otto Much, non trovò più nulla a fermarla. Mentre Atlantide spariva nella fossa di Cariaco - 350 km a est di Caracas - il fondale emergeva.
Lo strato dell’iridio presente nel suolo proverebbe l’impatto con un grande asteroide. Sono tutti concordi che la produzione di questo elemento, in seguito all’attività dei soli vulcani, non giustifica le tracce di iridio sulla Terra, in India, Bangladesh, Italia, Europa. Intorno allo strato lasciato dall’attività vulcanica ne è stato trovato, sopra e sotto, un altro più consistente che contribuisce ad allargare la fascia del minerale fino a 50 cm. Quindi è certo un impatto con un grosso asteroide, o probabilmente l'incrociarsi con una cometa e la sua coda o, ancora, uno sciame di modesti asteroidi.
Secondo Charroux il diluvio viene ricordato anche in America e una prova è la pietra detta "degli astronomi", della collezione Ica, anche se tali pietre sollevano molti dubbi. Su di una di esse due persone stanno studiando un fenomeno celeste con un telescopio, un oggetto volante sale verso il cielo mentre tre comete cadono; vi sono stelle che brillano insolitamente, un immensa nuvola striata a simboleggiare la pioggia che segue la coda di una grossa cometa. I continenti sono raffigurati semi sommersi e una stella precipita su un continente o sopra una grandissima isola. In primo piano un'imbarcazione con tre personaggi a bordo.
Il dottor Cabrera ritiene che in altre due pietre si possa vedere il volto della Terra nell'era secondaria. In una ad est delle due Americhe si scorge Atlantide.
A Cobà esiste una scultura Maya su pietra che rappresenta un maya che fugge su di una barca mentre un vulcano erutta e un tempio piramidale crolla.
Leggende maya narrano che i loro antenati provenivano da una terra chiamata Aztlan, sprofondata nel mare a causa di un terribile disastro.
Del diluvio parla anche un opera del gesuita Anello Oliva "Vita degli uomini illustri della compagnia di Gesù del Perù" scritta nel 1631.
I racconti narrano che Manco Capac, primo re degli Incas, non volle andare oltre Yca. I suoi compagni lo trovarono in una spaziosa caverna del lago Titicaca scavata da mani umane. Le pareti erano ricoperte d'ornamenti d'oro e d'argento e vi si accedeva attraverso una porta strettissima. Per riconoscersi fra loro si forarono le orecchie e vi misero grossi anelli di giunco. Manco uscì dalla caverna in un abito fatto di placche d'oro e si fece eleggere re, fondando la monarchia degli Ingas (Incas).
Un collegamento ai tesori della leggenda di Tiahuanaco.
Una obiezione alla teoria della cometa giunge da parte del prof. Andrea Carisi, in un articolo sul n.3 della rivista Paleo, del 1995. Egli pensa sia difficile trovare pezzi di comete che vaghino insieme.
Secondo altri studiosi se un satellite cadesse sulla terra non arriverebbe intero. Molto prima di toccare il nostro pianeta esploderebbe riducendosi in innumerevoli pezzi, di varie dimensioni, con conseguenze facilmente immaginabili.
Il geologo austriaco Otto Much è convinto che se Atlantide fosse veramente esistita dovrebbe la sua fine ad un asteroide caduto il 5 giugno dell'8496 a.C..
Il diluvio sembra non sia ricordato dagli Egizi poiché la valle del Nilo ha solo dodicimila anni, vale a dire che prima di quel tempo il fiume non si gettava nel Mediterraneo.
Alcuni papiri fanno riferimento al ribaltamento della terra:
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Nel papiro di Harris 1300 a.C. è scritto che "una catastrofe di fuoco e acqua provocò il rivoltarsi della terra".
Per il papiro di Ipuwer 1250 a.C. "il mondo prese a girare a rovescio come se fosse una ruota del vasaio e la terra si capovolse".
Secondo il papiro Hermitage del 1700 a.C. "il mondo si capovolse".
Anche in un testo Indù, il "Visuddhi Magga", si legge che "la terra si è scrollata".
Platone nei dialoghi (Il politico) parla dell'inversione del corso del Sole, dell'annientamento dagli uomini, ed Erodoto, il padre della storia, afferma che i sacerdoti egizi, dicevano che numerose Sole era sorto dove ora tramontava e viceversa.
In molti papiri egiziani vi sono riferimenti all'Atlantide.
Manetone, storico egiziano, ha fissato la data approssimativa del mutamento del conteggio degli anni degli egiziani nel periodo in cui Platone colloca l'affondamento di Atlantide 11.500 anni fa.
Il capitolo CLXXV del Libro dei Morti egiziano riporta che Thoth è adirato con l'umanità: "Cancellerò tutto quello che ho creato. Questa terra entrerà nell'abisso acqueo per mezzo di un furioso diluvio e diverrà tranquilla com'era ai primi tempi". A conferma un testo funebre rinvenuto nella tomba di Seti I; un racconto circa un diluvio che distrusse l'umanità. Chiaro collegamento con la Genesi quando Dio, vedendo la corruzione e la violenza degli uomini, ne decretò la fine.
Negli affreschi monumentali di Medinet Habu, Egitto, vi è illustrata l'invasione dei popoli del mare che "venivano da in capo al mondo".
Secondo lo scrittore Charles Berlitz i documenti egiziani perduti nel museo di Pietrogrado, raccontavano di una spedizione egiziana organizzata da un faraone della seconda dinastia al fine di scoprire cosa era successo ad Atlantide e cosa ne rimaneva. Ciò però contrasta con la teoria che vede l'Egitto sorgere dopo l'immane sconvolgimento: come faceva questa terra a sapere dell'esistenza di Atlantide?
Oggi si ritiene che gli Indiani nelle Americhe siano comparsi circa dodici o tredicimila anni fa.
Nessun indiano ha caratteristiche somatiche dell’asiatico del Nord. Gli spagnoli della conquista parlarono di indiani bianchi e neri e di molte sfumature di carnagione e di amerindi dai capelli chiari ritrovati anche nelle mummie peruviane.
Numerose mummie bionde, dalla capigliatura come "la seta color della paglia", sono state trovate dall'archeologo Horkheimer, a Chancay. Riposavano vicine con altre mummie di colore, dai capelli neri e spessi, di razza indiana.
Rimane il mistero della loro presenza in quel luogo secoli prima della scoperta dell'America.
L’archeologa e scrittrice Waisbarg specifica che si possono trovare nel museo privato dell'archeologo giapponese che le ha scoperte, Yoshitaro Amano, a Lima.
Anche nei resoconti degli spagnoli troviamo la descrizione di incontri con abitanti biondi e di pelle bianca. Vengono riportate le storie raccontate dagli indios riguardanti giganti venuti dal mare.
Pedro Lopez riferisce di aver visto le assi delle barche (giunche) con le quali giunsero questi esseri giganteschi che costruirono complessi megalitici.
Padre Velasco afferma in una relazione che anche Pizarro poté ammirare le statue scolpite dai giganti "sterminati da un uomo giovane e splendente come il sole che lanciò contro di loro fiamme di fuoco".
Nel letto del fiume Columbia sono stati rinvenuti resti di origine caucasica, quindi i bianchi vivevano in America a quel tempo.
Charroux mette in risalto le osservazioni dei grandi glaciologi, Jelersma, Romanovski, Cailleux, secondo i quali l'ultima fusione dei ghiacci avvenne dodicimila anni fa, in modo repentino e a causa di qualcosa che urtò il nostro pianeta, o in conseguenza di un fenomeno cosmico di notevole entità. Questo disgelo fece sì che tutti i ghiacciai si fondessero insieme in modo tale da sconvolgere il pianeta con gigantesche mareggiate.
Lo scrittore Wally Herbert, in "Deserti Polari", parla di quando New York era sotto chilometri di ghiaccio. Sui macigni di pietra del Central Park si possono osservare le tracce lasciate dal ghiacciaio.
Risalendo verso nord si trovano i grandi laghi del Quebec, il regime idrico del Labrador, la baia di Hudson e la terra di Baffin, tutti lasciti di un rigido regime glaciale.
"...il ghiaccio tornò ad accumularsi nel Canada Settentrionale e nella Groenlandia, il freddo aumentava e l'avanzata dei ghiacci proseguiva, finché il Canada, gran parte degli Stati Uniti settentrionali, delle isole Britanniche, dell'Europa e la Scandinavia ne furono interamente coperti. Si succedettero quattro o cinque ere glaciali. Ogni volta l'avanzata dei ghiacci durò centomila anni".
Herbert nel 1971 scrisse che solo in un futuro si saprà quale sia stata la causa di queste fluttuazioni e in quale stadio del ciclo ci troviamo adesso.
È accertato che la neve si raccoglie in una quantità tale da originare un era glaciale solo se, nei pressi della zona di accumulo, esiste un oceano libero da ghiacci nella direzione in cui soffiano i venti predominanti. Quindi il Mar Glaciale Artico costituirebbe la chiave del clima. Ma quali prove abbiamo che durante il Pleistocene vi sono stati periodi in cui era sgombro dai ghiacci?
L'accademia delle Scienze di Leningrado ospita un Mammut rinvenuto nel 1900 in un terreno permanentemente ghiacciato del bacino del fiume Berezovka nella Siberia Nord occidentale. La carne ben conservata, la pelliccia, le viscere, il polline contenuto nel cibo non ancora digerito, ci fanno pensare che, indipendentemente dalle cause della morte, la conservazione è dovuta ad un raffreddamento rapido e irreversibile del clima Siberiano. Si deduce che la vegetazione della Siberia era più abbondante e il clima relativamente caldo e più umido.
L'uomo preistorico conosceva i Mammut e quando quello di Berezovka morì, l'uomo era presente in tutto il mondo, circa un milione di anni fa. Lo stretto di Bering fu interrotto circa tredicimila anni fa, per un aumento delle acque.
Herbert parla anche di Pitea, astronomo senza uguali, nato nel 350 a.C., al quale i mercanti di Marsiglia affidarono l'incarico di compiere un viaggio al di là delle colonne d'Ercole.
"Nel 310 iniziò il viaggio che durò sei anni. Non sappiamo se siano stati redatti eventuali resoconti solo qualcosa è giunto fino a noi perché le sue gesta furono portate di bocca in bocca visto che per tutti passò come un grande bugiardo. Dichiarò di aver circumnavigato la Gran Bretagna. A sei giorni di viaggio verso Nord trovò una terra che chiamò Thule, dove durante l'estate la notte non calava e terra, acqua e aria si trovavano unite in un miscuglio. Forse s’imbatté in quelle nebbie marine note a chi conosce le zone polari. Riferì che dopo un giorno di navigazione toccò un mare torbido sul punto di solidificarsi da non potersi solcare e sul quale non si poteva procedere a piedi. Una situazione ben nota ai cacciatori di foche."
Nel Mahabharata si legge che a Meru, "Terra degli Dei", il giorno e la notte corrispondono ad un anno.
Nel Surya Siddantha indiano è scritto che gli Dei osservano il sole per sei mesi, prima che tramonti.
Così nel Rigveda e per gli Ariani della Persia, il cui paradiso, l'"Airyana Vaejo", subì una repentina glaciazione.
Nel 1934 furono effettuati prelevamenti sul fondale oceanico ove si presumeva fosse situato il continente scomparso e vennero alla luce fossili di alcuni animali vissuti sulla terraferma e campioni di lava provenienti da vulcani terrestri.
Più di uno scrittore ha riportato che, nel 1898, a cinquecento metri dalle Azzorre, in seguito a lavori inerenti alla posa di un cavo sottomarino, fu osservato che il fondo del mare somigliava a un paesaggio terrestre.
I campioni di materiale prelevati si rivelarono come lava basaltica vetrosa prodotta in seguito ad un raffreddamento verificatosi sotto la pressione atmosferica. Il geologo Pierre Termier stabilì che fosse finita sott'acqua dopo il raffreddamento. La lava si decompone entro quindicimila anni e questa ancora non si era decomposta provando che le Azzorre sono i resti di una terra affondata prima di quel tempo.
Un altro segno di terre affondate in seguito ad un catastrofico cataclisma è rappresentato dalle vaste distese di sabbia che si trovano sui profondi fondali al largo delle Azzorre.
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I geroglifici della piramide messicana di Xochicalco, decifrati da Le Plongeon, menzionano una terra posta in mezzo all'oceano i cui abitanti furono uccisi e ridotti in polvere.
Ma che cosa riduce in polvere? Chi o cosa provocò il disastro? Secondo Much un planetoide con una massa enorme caduto fra la Florida e le Antille ove la crosta si riduce a soli 20 chilometri anziché essere di 40 o 50 come nel resto del globo. Un'osservazione aerea ha rivelato in Georgia, Virginia, Carolina, crateri con diametro da 400 a 1500 metri, formati undici o dodicimila anni fa e un cratere di 300 chilometri nello Yucatan.
Gilgamesh, mitico eroe, parla di uomini ridotti in fango e del suolo divenuto una distesa uniforme. I segni sono tuttora evidenti. A 3500 metri le Ande sono percorse da una curiosa striscia biancastra lunga più di 500 km formata da sedimenti calcificati di alghe marine; prova ineluttabile che una volta quelle rocce erano bagnate dal mare.
Anche sulle sponde del lago Titicaca, ove l'acqua possiede un'alta percentuale salina, si stende una linea bianco giallastra formata da sedimenti salini, venuta alla luce oltre diecimila anni fa. Questa linea è obliqua rispetto all'attuale superficie dell'acqua; evidentemente prima della catastrofe doveva essere orizzontale. Ciò prova che non solo la terra s'innalzò, ma modificò il suo equilibrio. Il grande tempio a Tiahuanaco fu interrotto bruscamente e l'ultima pietra collocata circa 9500 a.C. anno in cui Platone parla della scomparsa di Atlantide.
A poca distanza da Bogotà si stende un altopiano detto "Campo dei Giganti" perché disseminato di grandi ossa pietrificate. Si tratta di resti di Mastodonti che popolavano l'Europa, l'Asia, l'America e vivevano in zone paludose e ricche di vegetazione, non certo a duemila metri sul livello del mare. Inoltre la pietrificazione può essere resa solo dai sali marini.
In Alaska sono state rinvenuti resti di Tigri dai denti a "sciabola", leoni, cammelli, cavalli, rinoceronti. Parti di animali e alberi, esseri umani insieme a bisonti e mammut, squarciati e attorcigliati fra loro; il tronco scagliato da una parte, spalle e crani dall'altra. Non presentano segni di armi o, strumenti da taglio. I resti sono come strappati da una forza di inaudita violenza e sparsi in ogni dove. Una cosa simile è stata riscontrata anche in Siberia, ove si sono sfruttati giacimenti di avorio fino all'inizio di questo secolo. Nelle isole della Nuova Siberia fu trovato un albero lungo ventisette metri, intatto, con i frutti maturi ancora attaccati ai rami. Lampante segno di una improvvisa ibernazione.
Di contro in altre zone, come nelle cave di La Brea, a Los Angeles, si sono manifestati fenomeni vulcanici.
In quei luoghi sono rimasti sepolti bisonti, bradipi, mastodonti, ben settecento tigri dai denti a sciabola. Nella valle di San Pedro i mastodonti furono ritrovati in piedi, immersi nella cenere vulcanica; così in altri luoghi del Colorado e dell'Oregon. Vi sono costruzioni che hanno senso solo in determinati luoghi e non in altri. Non in quelli in cui si trovano attualmente. Tiahuanaco per esempio.
Secondo la leggenda una catastrofe distrusse il mondo e il Creatore, Virachoca, creò i giganti e poi gli uomini fatti a sua immagine. Ciò accadde quando era adorato Ka-Ata-Killa, la luna Calante. Perché calante?
Millenni dopo si verificò un altro cataclisma dal quale si salvò solo un pastore con la sua famiglia. In segno di ringraziamento questo antico Noè avrebbe eretto, nel giro di una notte, Tiahuanaco.
Esaminando le pianure abissali è stato scoperto che tutti i letti dei fiumi con la foce nell'Atlantico proseguono nei fondali scavando veri canyon sottomarini fino alla profondità di un miglio e mezzo, indicando che i loro corsi si sono formati quando quei fondali non erano sommersi. Le terre emerse erano più vaste e esisteva una terra o un grande arcipelago in mezzo all'oceano.
Attraverso un sacerdote egizio, protagonista dei suoi poemi, Platone narra degli innumerevoli cataclismi quando sulla terra viveva la stirpe più bella e nobile da cui siamo discesi. "Prima del grande diluvio vi era una città famosa per la perfezione delle sue istituzioni. Venne fondata mille anni prima della nostra stirpe, la cui costituzione, come risulta dai sacri libri, risale a ottomila anni fa. Fu la vostra città a stroncare una potenza che aggrediva con violenza l'Europa e l'Asia e che proveniva dall'oceano Atlantico. In quel tempo facile da attraversare perché vi era un'isola di fronte allo stretto che voi chiamate delle Colonne d'Ercole, più grande della Libia e dell'Asia riunite; da quella si procedeva verso altre isole che formavano una sorta di strada verso l'opposto continente, intorno a quello che è veramente un mare aperto. Poiché il mare che sta entro lo stretto è solo un porto dall'entrata angusta, ma al di là vi è un immenso mare, un vero mare, che circonda quello che senza dubbio si può chiamare un continente.
Nell'isola di Atlantide si formò uno splendido impero che aveva predominio sulla Libia sino all'Egitto e sull'Europa fino a Tirrenia. Si preparò a sottomettere la vostra patria e la nostra e fu allora che la tua città con la sua forza e il suo valore, brillò sull'umanità e da sola trionfò sopra gli invasori salvando tutti i popoli dalla schiavitù. Passarono molti secoli, da allora, e ci furono terribili terremoti e alluvioni e da un giorno all'altro, in modo orrendo, l'eroica stirpe guerriera sprofondò mentre l'Atlantide spariva inghiottita dai flutti."
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E ancora da Crizia: "Novemila anni orsono scoppiò un conflitto tra i popoli viventi fuori dalle colonne d'Ercole e quelli viventi all'interno di esse. Da una parte Atene e dall'altra i re di Atlantide, allora più estesa della Libia e dell'Asia insieme. In questo periodo di novemila anni avvennero innumerevoli e violenti cataclismi e la vostra terra greca si sgretolava dall'alto dei monti verso il basso. Il terriccio scompariva in mare e rispetto a quello che esisteva un tempo, oggi rimangono solo isolette."
In Crizia si parla di manoscritti originali, si citano i possedimenti degli dei che si erano divisa la terra. Poseidone ebbe l'Atlantide e procreò figli con una mortale che viveva su quei monti: Clito.
Trasformò la terra ove viveva in una fortezza, adornandola alternando zone di mare e di terra in cerchi concentrici di varie misure, di cui tre erano di acqua, due di terra, con gli spazi calcolati in modo che nessun uomo potesse entrare in quella zona. Essendo un Dio fece scaturire dalla terra due sorgenti di acqua, una fredda e l'altra calda. Rese la terra ricca di ogni alimento, generò cinque coppie di figli maschi e divise l'isola in dieci parti. Il figlio maggiore si chiamò Atlante, dal quale derivò il nome dell'isola maggiore, e lo rese re di tutti gli altri. Gli altri figli dominarono e governarono per molte generazioni le isole del mare aperto, un arcipelago molto vasto.
Su Atlante si trovava anche il mitico Oricalco. (Nella leggenda di Atlantide, l' oricalco è un metallo rossastro, che veniva estratto ad Atlantide considerato secondo per valore soltanto all'oro. Alcune fonti chiamano l'oricalco bronzo di montagna oppure rame con oro. Forse era rame o bronzo. In Latino è chiamato aurichalcum ; la parola è derivata dal Greco ορειχαλκον, che può essere traslitterato come oreikhalkon .)
La descrizione dell'isola ci fa intravedere un possibile Eden. Ricca di legname, pascoli e di ogni pianta aromatica, di tutti i frutti commestibili. Ponti sui numerosi canali, tutti coperti con tettoie per proteggere la navigazione. I margini innalzati sufficientemente. Si parla di strisce di terra e di mare larghe tre stadi o due stadi fino all'isola centrale dove la larghezza era di un solo stadio.
"Il palazzo del Re era situato su di un'isola di cinque stadi recintata da una muraglia in pietra larga un peltro. Le pietre erano di tre colori: bianche, nere e rosse. Al centro dell'isola un tempio consacrato a Clito e Poseidone, il cui ingresso era impedito da un muro d'oro. Vi era un tempio in onore a Poseidone interamente rivestito d'argento all'esterno con pinnacoli d'oro. Un soffitto d'avorio con ornamenti d'oro, argento e oricalco. Con statue d'oro. Il Dio nel suo cocchio con sei destrieri alati era talmente alto che toccava il soffitto col capo, intorno cento nereidi su delfini.
La capitale era circondata da una pianura uguale, levigata, cinta da una catena circolare di monti, fino al mare, riparata dai venti di tramontana. Aveva la forma di un quadrilatero allungato ad angoli retti in quanto si era provveduto a regolarla con un canale che la circondava tutta." Le rovine sommerse al largo di Bimini presentano un canale di cinquecentocinquanta metri e monoliti di cinque metri di lunghezza, pesanti circa venticinque tonnellate, databili intorno all'ottomila.
"Le opere costruite sembrano opera di semidei, non dell'uomo. Il canale scavato alla profondità di cento piedi e largo uno stadio uniformemente, era lungo diecimila stadi e vi affluivano dai monti tutte le acque che fluivano in mare dopo aver irrigato la pianura. Altri canali navigabili e diretti verso la capitale erano stati costruiti ad una distanza di cento stadi l'uno dall'altro."
Da quanto emerge dai documenti, Atlantide possedeva circa un milione di soldati, duecentocinquantamila cavalli, diecimila carri da combattimento, milleduecento navi. Un impero governato da dieci re che si riunivano periodicamente per concordare politica e comportamenti. Fino a che la natura divina si perpetuò in loro, gli Atlantidi rimasero fedeli alle leggi degli Dei, da cui si dice fossero generati. È curioso come si trovino affinità con altri scritti narrati di altri popoli, derivati da un unica storia originale, forse precedente. Strane coincidenze religiose conducono a conclusioni logiche e interessanti. Un Dio, Zeus , che dal cielo controlla l'operato di una divinità scesa in terra e dei suoi figli. Che interviene per punire le scelleratezze di coloro che Dei non sono più, a causa delle connivenze frequenti con i mortali.
Questa storia si ripete nei miti e leggende dei popoli della terra. Nella Bibbia, in Gilgamesh, in Dzyan, nelle storie degli Hopi e altri.
"Quando la parte divina s'indebolì in loro per le numerose unioni con i mortali, la parte umana prese il sopravvento e furono corrotti dal desiderio di potere e di ricchezza. Zeus che vide tutto questo decise di punirli. Radunò tutti gli Dei nella stupenda dimora posta al centro del cosmo per poter guardare dall'alto in ogni direzione e disse loro..."
Qui finisce il racconto, non conosciamo cosa fu deciso; ma il seguito della storia lo si ritrova in tanti altri documenti.
Nel Timeo da un giorno all'altro scompare Atlantide a causa di terremoti e maremoti.
L’ammiraglio Flavio Barbiero, seguendo proprio quanto descritto da Platone nei suoi poemi, è riuscito ad identificare quale in effetti era la terra al di là delle colonne d’Ercole squassata da un corpo celeste, forse una cometa, dodicimila anni fa.
Oltre diciottomila anni fa l’inclinazione terrestre era tra 6 e 8 gradi; la calda corrente equatoriale rendeva mite e stabile la temperatura e garantiva la regolarità delle piogge in tutto il globo. Il nostro pianeta presentava una coltre di ghiaccio di 9 milioni di chilometri quadrati; dodicimila anni fa almeno 6 milioni di chilometri quadrati.
L’Europa vedeva la Danimarca e parte della Germania sotto il ghiaccio. Di contro la Siberia godeva di un clima temperato e nelle sue vaste praterie pascolavano milioni di mammut. Nell’emisfero sud metà dell’Antartide era libero dai ghiacci; il polo si trovava nelle isole Macquarie, quindi la penisola di Palmer, l’area di Weddel, la terra della Regina Maud erano prive di ghiaccio. Qui l’ammiraglio Barbiero colloca la mitica Atlantide.
Una terra molto vasta, 140 kmq, con la capitale posizionata in un’ampia pianura presso il mare e al centro dell’isola; dove oggi si trovano le banchise di Filchner e Lassiter. Tenendo conto che il livello del mare era 130 chilometri più basso e non esistevano ghiacci, come scrive Barbiero: "ritroviamo un’immensa pianura di poco al di sopra delle acque".
Oggi la banchisa è circondata da una catena di montagne a picco sul mare, liscia e uniforme per 500 chilometri di larghezza e 350 di altezza. Dodicimila anni fa era esposta a mezzogiorno e i monti situati alle sue spalle la riparavano dai venti freddi. Nel centro di essa, a nove chilometri dal mare, c’era un monte non molto alto ove sorgeva il tempio di Nettuno; l’autore identifica il luogo con l’attuale isola di Berkner. "Sulla base della descrizione di Platone la posizione del monte sacro di Atlantide è esattamente individuata, senza possibilità di errore: esso si trova a 79° di latitudine sud e 45° longitudine ovest, nella parte orientale della cosiddetta isola di Berkner."
Non basta: "le acque interne del mare di Weddell sono delimitate dalle Sandwich, un arco di piccole isole distanziate in modo regolare: le coste a picco sul mare, a quel tempo ad un livello più basso, danno tutt’oggi l’idea di enormi colonne che si elevano dal fondo dell’oceano".
Ecco quindi le vere "Colonne d’Ercole" di cui parla Platone. Come afferma l’ammiraglio: "la corrispondenza è totale ed impressionante".
Secondo la saga sumerica di Gilgamesh "Venne il tempo in cui i signori dell'oscurità fecero cadere una terribile pioggia. Tutti gli spiriti cattivi infuriarono, tutto il chiarore si tramutò in oscurità. Rumoreggiarono le acque, scorrendo, raggiunsero le montagne e caddero su tutte le genti. Sei giorni e sei notti scrosciò l'acqua dalla cui distesa emergeva solo il monte Nisir ove si incagliò la nave di Utna."
Alcune tavolette Sumere di cinquemila anni parlano di Ziusudra, o Xisuthros, un'altro Noè.
In Messico alla fine del quarto sole si verificarono diluvi e inondazioni. Un manoscritto Maya, tradotto nel 1930 dal brasiliano Bolio, racconta che "Nell'undicesimo giorno Ahau Katun cadde una pioggia violentissima e ceneri dal cielo. In una sola grande ondata le acque del mare si rovesciarono sulla terra e il cielo precipitò".
Un altro manoscritto pre-Maya di 3500 anni descrive la fine di Mu: "Nell'anno sei del Kan, l'undici Muluc del mese di Zac avvennero terribili terremoti che continuarono fino al tredici Chuen. Mu, la contrada dalle colline d'argilla fu sacrificata. Si sollevò due volte e scomparve mentre al terra veniva scossa. Il suolo sprofondò e riemerse, si spaccò e si divise in molte parti, e sprofondò con i suoi abitanti "
E ancora nella Bibbia:
Cadde dal cielo una grande stella ardente, come una torcia e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. La stella si chiamava Assenzio. (Apocalisse 8,10).
La terra sarà tutta un deserto Stelle e costellazioni smetteranno di brillare e il sole si farà oscuro fin dal mattino e la luna non splenderà più. (Isaia 9,10).
Isaia pregò il Signore ed egli fece retrocedere di 10 passi l’ombra sulla scala di Acaz (2° Libro dei Re 10,11).
Secondo gli Aztechi sopravvissero solo Coxcoytli e sua moglie perché, seguendo le indicazioni di un dio, costruirono una barca che finì arenata su di un monte.
Storie comuni anche agli Araucani del Cile, agli Yamani della terra del Fuoco, agli Invit dell'Alaska, ai Luiseno della California, agli Irochesi e ai Sioux, pellerossa americani.
Perfino la Cina possiede la storia di un diluvio, avvenuto in concomitanza del mutare delle orbite dei pianeti.
Malesia, Laos, Tailandia, Birmania, conservano il mito del diluvio. Lo stesso si dica per gli aborigeni dell'Australia, per gli indigeni delle Hawai, che condividono un Noè con i Greci (Deucalione), con l'India di Manu e con l'Egitto.
Il diluvio sembra segnare la fine di un periodo e la nascita di una nuova era, quella del quinto sole Azteco.
Scritture buddiste parlano di sette soli finiti nell'acqua, nel fuoco, nel vento. L'attuale finirà nelle fiamme.
I libri Sibillini parlano di nove soli, quindi vi saranno ancora due epoche dopo la nostra che sembra essere la settima.
A. Marcellino, storico romano, 330-395 d.C. parla di una grandissima isola inghiottita nell'oceano Atlantico dalla parte delle coste europee.
Il filosofo Proco, 410- 485 DC, era convinto che un isola così grande fosse esistita davvero, per quello che narravano gli storici dell'epoca e per i ricordi della gente che abitava in un gruppo di isole a ovest delle coste europee. Secondo le storie del tempo vi erano sette isole sacre a Persefone, e tre più grandi: una sacra a Plutone, una ad Ammone e una a Poseidone, questa grande mille stadi, splendida fra tutte.
Tucidide, 460-400 a.C., nella storia della guerra del Peloponneso, narra di una gigantesca ondata che coprì parte di Orobia, una città dell'Eubea. Facendo diventare mare ciò che era terra. La gente che non riuscì a fuggire sui monti perì.
Timagene (I sec a.C.) narra di una storia, popolare fra i popoli Galli, secondo la quale, questi, furono invasi da un popolo che si dichiarava discendente di una razza che abitava un'isola situata in mezzo all'oceano.
Diodoro Siculo (I sec a.C.) ricalca Platone "(...) la storia narra che la terra paludosa dei Tritoni scomparve di vista durante un terremoto, quando furono divelte alcune sue parti prospicienti l'oceano. Il reame era diviso fra Atlante e Cronos. Atlante ricevette il mondo delle regioni sulle coste oceaniche, portò alla perfezione la scienza astrologica e fu il primo a rivelare all'uomo la dottrina della sfera."
Di quale dottrina si tratta? La Terra è una sfera, ed è divisibile in cinque settori di 72° ciascuno. Questo ci riporta a quanto scritto in merito alla Precessione degli equinozi e sulla Grande Piramide.
"Le figlie di Atlante si accoppiarono con i più famosi Dei e divennero le antenate degli esseri umani e furono collocate in cielo col nome di Pleiadi (...) Esiste al di là della Libia un isola di vaste proporzioni a due giorni verso ovest dalle coste libiche (...) con una pianura di insuperabile bellezza. L'attraversano fiumi navigabili usati per l'irrigazione.. vi sono tutte le piante, gli animali, ville giardini frutti abbondanti".
Tertulliano (160-230 d.C. ) riferisce su mutamenti subiti dalla terra e cita "l'Atlantide, un'isola pari alla Libia e all'Asia insieme, oggi la cercheremmo invano".
Arnobbio Afero di Sicca (III sec d.C.), nel difendere i Cartaginesi incolpati di tutto dice: "ricordiamo loro che circa diecimila anni fa un numero enorme di uomini uscì con terribile foga da un isola chiamata Atlantide distrusse e annientò infinite tribù".
Claudio Eliano (III sec d.C.) parlando delle otarie, soprannominate arieti del mare, dice che il maschio ha sulla fronte una striscia bianca simile a quella che portavano in capo i re dell'Atlantide, come segno di potere.
Tavolette Babilonesi parlano di esseri discesi dal cielo: "venne poi il diluvio e dopo la regalità scese di nuovo dai cieli. Gli antichi Dei che portarono la civiltà e la luce del progresso sulla terra sparirono a causa della caduta dell'ultima delle lune".
Nella Bibbia Ezechiele racconta di un arcipelago, indicato come isole di Tarsis (Tiro). Jahweh lo incarica di portare al Re un messaggio: "Dì al Re, che ha affermato di essere un Dio e ha preteso di sedere su di un trono circondato dai mari, che è solo un uomo". Dio stesso si rivolge al re: "Io, il Signore, ti manderò contro i più feroci popoli stranieri. Vivevi in un Eden, il giardino di Dio, coperto d'ogni specie di pietre preziose, gioielli preparati il giorno in cui sei stato creato. Ho messo un cherubino imponente a proteggerti, vivevi sul monte sacro a Dio e camminavi fra pietre 'moventi'. Per il tuo commercio hai peccato. Ti ho cacciato dal monte di Dio e il cherubino ti ha allontanato dalle pietre 'Moventi'."
Cosa sono queste pietre?
Poi Dio si rivolge alla città: "Io, Dio, il Signore, dichiaro che ti renderò deserta come le città in rovina. Ti coprirò con masse enormi di acqua fatte salire dal popolo del mare. Ti farò sprofondare nel mondo dei morti. Resterai in quel mondo sotterraneo, non potrai risalire e non avrai più posto nel mondo dei vivi. Tutti saranno spaventati dalla tua fine. Ti cercheranno ma non ti troveranno mai più, lo dico, io Dio, il Signore".
Forse per questi passi le ricerche portarono verso Tartesso; ma Tartis è un luogo incerto anche se per qualcuno potrebbe trattarsi del territorio spagnolo.
Atlantide si fa sempre meno mito e più certa diviene la sua esistenza e con essa la catastrofe subita dal pianeta.
Lo studioso Lewis Spence concorda con la teoria secondo la quale Atlantide sia scomparsa in seguito ad una serie di cataclismi periodici e non in una sola volta.
Lo proverebbero i periodi durante i quali la cultura europea avrebbe fatto un salto di qualità e che corrisponderebbero agli esodi forzati dal continente Atlantideo in seguito al verificarsi dei cataclismi; e cioè nel 25.000, nel 14.000 e nel 10.000 a.C., quando Atlantide scomparve del tutto. Altre prove la raffinatezza della cultura Cro Magnon dotata di notevoli conoscenze d’anatomia e di uno sviluppo mentale tipico di una specie di superuomini.
Da uno stesso progenitore arcaico africano sarebbero derivati l'uomo di Neanderthal in Europa e quello di Rodhesia in Africa.
Fatto accertato dopo la scoperta del cranio Lofoide della Rodhesia. Quindi la migrazione umana sarebbe avvenuta in due direzioni opposte: una verso levante e l'oceano indiano, nelle terre australi e nel pacifico fino all'isola di Pasqua; l'altra per l'Atlantico, a ponente, in America. Quest'ultima sembrerebbe in epoca remotissima.
I due rami più antichi della famiglia umana, l'Hesperantropus, un locefalo americano e il Tasmanus, un locefalo oceanico, sarebbero entrambi discendenti da un Paleo-Anthropus. Sarebbero inoltre emigrati in America per le vie occidentali, ma se vengono escluse le vie che passavano attraverso le isole intermedie, costeggiandole, in quale modo sarebbe avvenuta questa emigrazione?
Gli studi antropologici rivelano il passaggio per vie occidentali d'Africa quando non esistevano transatlantici e velivoli, almeno per quanto ne sappiamo.
Gli studi geologici e i sondaggi oceanici proverebbero l'esistenza di un esteso rilievo terziario affondato in epoca remotissima nell'Atlantico. Gli studi archeologici provano inoltre la simultaneità cronologica e una analogia nelle arti, lettere, religioni, simboli, costumi dei due emisferi. Studi linguistici svelano il fondo di antichi idiomi comuni ai popoli situati di qua e di là dell'Atlantico. Infine le tradizioni conservano il ricordo di una terra sommersa.
Da porre l’accento sul simbolismo assunto dal toro Atlantideo nelle culture egizia, cretese e spagnola.
Rilevante l'espandersi nella Francia e nella Spagna di un’antica civiltà che usava seppellire i morti con il viso rivolto all'Ovest.
Nel corso del tempo sarebbero emerse numerose altre prove circa l'esistenza di un continente Atlantico.
Il Prof. Gianni Trapani rilevò che le Canarie si elevano su di uno zoccolo poco profondo e sono la continuazione delle catene dell'Atlante africano. Hanno fatto certamente parte di un grande frammento unito alla Mauritania fino ad un epoca relativamente recente.
Sembra che questo fosse stato un dato di fatto già noto agli studiosi fino dal 1600.
Il Prof. Germain, del Museo di Storia Naturale di Parigi, studiando la flora e la fauna delle isole atlantiche concluse che une tempo esisteva un continente nel mare dei Sargassi e ne pubblicò un ampio resoconto su "La Geopgraphie" nel 1923.
Cristoforo Colombo, in una lettera inviata ai re spagnoli datata ottobre 1499, scrisse: "Ogni volta che navigai dalla Spagna alle Indie, trovai a cento leghe a ponente delle Azzorre, un cambiamento straordinario nel cielo, nelle stelle, nella temperatura dell'aria e delle acque del mare. Trovai il mare talmente coperto di un'erba che somiglia a dei piccoli rami di pino carico di lentisco, da far pensare di essere su un bassofondo".

L'esistenza di alghe galleggianti grazie allo stelo ritto sull'acqua, e trattenute in galleggiamento da piccole vescichette di aria, che coprono un area di sessanta miglia quadrate, denota che in precedenza in quel punto esisteva una massa di terra continentale successivamente sprofondata. Secondo lo studioso Germain alghe simili proliferano da molto tempo nell'arco di un antico litorale diventato arcipelago. Gli animali marini che si annidano nelle alghe sono del tipo litoraneo. Discendono da quelli abitualmente insediati in un continente precedente. Non è pensabile che le larve di questi crostacei dalla vita di pochi giorni possa venire dalle rive del Senegal e da quelle dell'America.
Il Prof.Schmidt, nell’ottobre del 1923, descrisse, su di una rivista scientifica, la vita delle anguille dette "pesci dell'Atlantide", e la vita delle "Civelles", pesciolini rosei, trasparenti di forma cilindrica di circa sette centimetri, i quali risalgono in gruppi i fiumi cambiando colore e divengono anguille verde scuro. Dopo cinque o sette anni sono in grado di riprodursi e ritornano al mare. Quando vi giungono hanno mutato colore. Nel mese di ottobre iniziano un viaggio di sei mesi verso il mare dei Sargassi, ove si accoppiano e lasciano le uova a trecento metri di profondità. Le larve, di quattro millimetri, sono trasparenti e si nutrono percorrendo in senso inverso il tragitto.
È stato notato che anche in America le anguille dei fiumi migrano verso il mar dei Sargassi. Quindi si deduce che questo derivi da un'abitudine secolare.
Alcuni uccelli, come il Catopsilia della Guaiana Inglese, volano annualmente verso l'Atlantico. Tutto questo certifica l'esistenza di un antico continente, adesso affondato.
Ulteriore conferma circa l'esistenza di una terra in mezzo all'Atlantico, anche se non necessariamente "l’Atlantide", deriva dallo studio del "Rosso" come caratteristica comune a molti popoli.
In lingua ebraica Adam significa "rosso" e tale era il colore del primo uomo. Da Adam deriva Adama e Adamo; nonché Adamu, cioè "sangue". Adamatu è la terra rosso scura con la quale Geova formò Adamo. Lo foggiò con l'argilla rosso scura del suolo, soffiò nelle sue narici l'alito della vita mutandolo in un "Nepesh": spirito, anima, "sangue". L'Adamo era decisamente "rosso".
La storia Sumera racconta come la Dea Madre mescolò il sangue di un Dio, il "Nepesh", alla terra, nella casa di Shi.In.Ti, dove veniva alitato il vento della vita, per formare l'Adama. Classificato come un essere di quarantacinque metri, androgino, circonciso, prima provvisto di coda poi senza, inserito, con Eva nella stirpe dei giganti. Adoma è anche la parola che indica un grande continente situato nel Pacifico settentrionale nominato parlando della storia di Adamo; luogo che si vuole popolato da uomini "rossi", che sprofondò in seguito ad una catastrofe.
Adamo diviene così la raffigurazione degli Atlantidi dalla pelle rossa. In Greco, rosso si diceva "Phoinix", appellativo dato ai Fenici, gli uomini rossi. Adamo diventa il gigante fenicio della Britannia, una delle regioni di Atlantide.
Al tempo della XII dinastia in Egitto si conoscevano quattro razze: i Manu, dalla pelle gialla di origine asiatica e con il naso aquilino; i Nassu, neri, con i capelli lanosi; i Tamaku dal carnato bianco roseo con gli occhi celesti, provenienti dalla Libia e dalle isole del Gran Verde; infine i Rutennu o egizi di razza rossa che insieme ai Fenici si definivano "i rossi".
Sui bassorilievi e sui monumenti, i personaggi di alto lignaggio venivano raffigurati con una pittura rossa.
Pure gli "uomini del mare", invasori dell'Egitto, vengono indicati come "rossi" e addirittura nelle leggende Cinesi troviamo un popolo dai capelli rossi.
La parola Rutennu o Rotennu deriva da Rut o Rot che significa rosso. Di tale colore il mare che bagnava l'Egitto, "il mare dei Rossi". Rut deriva da Rute che con Daytia era una delle due isole superstiti di Atlantide; punto di partenza della razza che soggiogò quella che dimorava sulle sponde del Nilo originando i Rutennu: gli uomini del mare di Rute.
Il popolo degli Yxsos veniva definito una razza più rossa di quella egizia e, per loro stessa ammissione, proveniva da quella terra che si stendeva fra il Pacifico e il Sud atlantico chiamata "Oceano Ethiopicus", nota come Etiopia, notoriamente popolata da "neri". Terra che formava una sorta di ponte fra i popoli dell'Atlantico, del Mediterraneo e del Pacifico.
Significativo che il vocabolo "Kush", trasformazione del nome Cuzco (un collegamento con le Ande?), sia un vocabolo non ebraico tramandatoci dalla Bibbia, che si ritrova nel nome degli Etruschi, Etr-ush e definisca gli Etiopi e la loro terra; quella di Koshu. Inoltre l'antico nome di Ur era Kish.
Quindi l'origine di molti popoli sembra si trovasse nel mezzo dell'Atlantico, in quella Rute che apparteneva ad Atlantide.
Rossi erano tutti i popoli sulle sponde delle terre intorno a quest'ultimo perduto continente: i Maya, gli Incas, gli Aztechi, gli Indios americani, i Pellirosse; razze che affermavano di provenire da una terra chiamata Aztlan o Atlan naufragata nell'Oceano Atlantico in seguito a cataclismi e terremoti.
Vivo è il ricordo fra il popolo rosso americano. I Delaware ricordano l'età dell'oro e quella della distruzione di una grande isola oltre l'oceano; i Mandan conservano un'immagine dell'Arca; i Dakota raccontano che gli avi salparono da un'isola sprofondata a oriente.
Gli Okanocan parlano di giganti bianchi su di un'isola in mezzo all'oceano che venne distrutta; i superstiti divennero rossi in seguito alle scottature del sole per aver navigato per giorni su di una canoa. I Sioux ricordano quando non c'erano terre asciutte.
Un grosso interrogativo nasce nel costatare che l'unico paese al mondo mancante del mito del Diluvio universale è l'Egitto. Unica catastrofe quella provocata dalla Dea Hathor che, impossessatasi dell'Occhio Divino (forse un veicolo aereo?), lottò contro il genere umano massacrandolo. Ra pose fine al massacro versando sulla terra settemila giare di birra formando un mare ove la Dea si fermò a specchiarsi.
Le conchiglie rinvenute ai piedi della Grande Piramide testimoniano, invece, che la catastrofe interessò anche quella terra, forse prima della civiltà Egizia. Rimane senza soluzione la sua ubicazione nel tempo.
Ad uno dei più antichi ceppi della razza rossa appartengono anche i Guanci delle isole Canarie; individui con occhi azzurri, capigliatura bionda come alcuni Incas e Chimù.
Gli antichi ebrei avevano i capelli biondi e crespi non comuni ai popoli orientali, orgogliosi della loro cultura monoteista da considerarsi gli "eletti".
Seguendo le tracce di questo colore giungiamo fino al Pianeta Rosso: "Marte". Secondo Brinsley Le Poer Trench, il libro di Enoch proverebbe che l'Eden si trovava su quel pianeta. Enoc nel terzo cielo, quello di Marte, appunto, contemplò il giardino del Paradiso e al centro vide l'albero della Vita.
Oggi Marte rappresenta un appassionante mistero spaziale alimentato dal comportamento dell'Ente spaziale americano che nega tutto, dall'istituzione di una "Mars Mission" che intende mettere tutto alla luce del sole. Nel mezzo le foto fornite dal Mariner con formazioni piramidali (che sembra esistano pure sulla Luna), e un enigmatico volto che ricorda la Sfinge Egizia. Con questo non vogliamo asserire o negare niente; ciò non di meno rimaniamo perplessi davanti ad un volto che ci osserva da un altro pianeta.
Un libro aramaico, "la Vita di Adamo ed Eva", affermerebbe che il Signore ordinò all'arcangelo Michele di condurre Adamo nel Paradiso di Giustizia, nel terzo cielo (quello di Marte), cosa che fu fatta servendosi di un "carro di Fuoco".
Il Signore scese su un "carro di Cherubini" per giudicare Adamo ed Eva, la quale, alzando gli occhi al cielo, vide un "carro di luce" con quattro aquile risplendenti posarsi nel punto ove stava Adamo. Nel rotolo 4Q SI40, riportato nel libro di Luigi Moraldi "I manoscritti del Qumram", edizioni Utet 1986, vi si trova la descrizione del "carro trono" del Signore: Il Merkabah.
Circondato di Cherubini che "ritornano ed escono tra le ruote della sua Gloria come immagini di fuoco", creature "splendenti" con indosso meravigliosi abiti multicolori, più splendenti del sale puro. Gli spiriti del Dio vivente scortano la gloria dei "carri". (...) quando si apprestano tace il suono delle acclamazioni e la "brezza" della benedizione in tutti gli accampamenti di Dio.
Non mancano le similitudini con i libri Indù.
Uno di questi dal nome impronunciabile, il "Budhaswamin Brihat Katha Shlokasamgraha", descrive l'atterraggio del re del Vidyaharas, Naravashanadotta, su Uijayani, vicino al Gange, con un carro presidiato dai suoi "celesti" per cercare Ipploha, che aveva rapito la principessa Surasamanjari.
Il rosso ci porta verso i "Vimana" indù, i carri degli Dèi che si alzavano nei cieli dell'India.
Inoltre il libro aramaico ci informa che il volto di Adamo splendeva di luce abbagliante. Anche qui le similitudini sono numerose; basti ricordare Lug, l'Apollo, il dio dei Celti; lo Splendente per i Latini; Chu Chulain, El; lo stesso Gesù risorto, Brahma; vengono descritti con il volto luminoso. Mosè quando discese dal Sinai irraggiava una luminosità intorno.
Enoc stesso, nella Costellazione Altair, scorse il volto del Signore "simile al ferro fuso che emetteva lampi di luce abbagliante". Va sottolineato che il rosso ardente era il colore dei Maya e degli Aztechi. Il libro dei Quichè, il Popol Vuh, parla specificatamente della Creazione dell'uomo dal colore rosso.
Quando nacque, Noè, aveva il corpo candido come la neve e rosso come una rosa in fiore, capelli con lunghi riccioli bianchi come la lana. Quando aprì gli occhi illuminò l'intera casa come il sole. Si sollevò fra le mani della levatrice e parlò con il Signore.
Tutto ciò è narrato nel libro di Noè e i rotoli del Qumran confermano la storia compreso il sospetto che assalì Lamec. Il figlio era stato concepito da uno dei Guardiani celesti e apparteneva alla stirpe dei giganti. Quindi Noè si rivela un gigante dalla pelle rossa sopravvissuto ad Atlantide diecimila anni fa’. Gli antichi lo veneravano come un Atlantideo e un Titano come le tradizioni bibliche che lo associano ai Figli di Dio.
Se uno più uno fa due, è logico concludere che i Figli di Dio erano giganti dalla pelle rossa. Non rimane che chiedersi se l'uomo discende, in via naturale o artificiale, come citano alcuni testi, da una razza di Dèi "rossi": gli Elohim per alcuni, i Refaim o Nephilim per altri.
Pomponio Mela e Plinio raccontano dell'arrivo di una barca piena di uomini dalla "pelle rossa", con labbra tumide crani allungati, nasi aquilini, proveniente dall'Atlantico. L'uomo di Cro-Magnon fu, come la Razza Rossa, un tipo agile, alto, muscoloso, atletico, con ossatura pesante. Inoltre la pittura rupestre nelle caverne raffigura gli uomini della razza Cro-Magnom provenienti da occidente, attraverso l'atlantico, come uomini "rossi".
In tutte le regioni in cui vivevano uomini rossi si veneravano gli Dèi sulla sommità di piramidi a gradini o costruzioni affini, come i menhir; e sugli altari veniva bruciata la carne delle vittime. Tutto questo e evidenziato sul libro di Otto Muck "I Segreti di Atlantide", secondo il quale il vulcano di Atlantide fu il prototipo delle piramidi: "quando il Dio si sveglia e parla con voce tonante ai terrestri la vetta del vulcano appare avvolta in una luce dorata".
Il tempio di Marduk-Baal sulla cima dell'Etemenanki era ricoperto d'oro; la cima delle piramidi era dello stesso metallo, come le pagode e gli stupa con i loro tetti dorati. Fra i Fenici il monte ardente diviene il "Dio Ardente", il Melek o Molok, al quale si sacrificavano i primogeniti.
Sull'altare dell'olocausto si bruciavano grassi e carne in onore di Jahweh. Gli altari Aztechi videro i sacrifici al Dio Quetzalcoatl, nello Yucatan al dio Cuculcan. Così nell'Ellade, a Roma, a Babele, Ninive e nell'India prebuddista. Stranamente la "Irminsul" germanica si ricollega al serpente piumato Maya e Azteco, ove diviene il simbolo del Dio cosmico, sovrano dei quattro elementi.
Davanti all'altare cristiano l'incenso sparso riproduce quella nube che segnala sempre la presenza del Dio quando questi parla con l'uomo. La Bibbia difatti descrive così queste manifestazioni divine. Mosè sali sul Sinai alla presenza di Dio mentre la montagna rumoreggiava, fumava e s'illuminava di lampi di luce, visibili e udibili da lontano. La montagna fumante è ricordata dall'albero cosmico, simbolo della cultura megalitica degli uomini Cro-Magnom che occuparono la terra liberata dai ghiacci e crearono quei colossali menhir di pietra orientati verso Ovest; verso il luogo d'origine dei primi uomini rossi. Il ricordo del monte Atlas, oggi Pico Alto, ove dimorava il Dio del Fuoco. Zeus , Thor, Marduk, Geova, usavano il fuoco sacro, il fulmine, come il dio di Atlantide: il vulcano Atlas?
Il Cro Magnom ha colonizzato l'Europa dopo la scomparsa di Alantide avvenuta dodicimila anni fa nel momento in cui si passava dal quaternario al quinternario. Gli americani primitivi, secondo l'antropologo Herbert Wendt, appartengono alla specie dell'homo sapiens derivante dal Cro Magnom con tratti mongolici e indiani. Furono senza dubbio contemporanei degli uomini di Atlantide.
Il colore rosso marrone è un carattere razziale sicuro presso i popoli antichi appartenenti al gruppo delle piramidi e al raggio d'azione di Atlantide. Piramidi si trovano anche sui banchi delle Bahamas, sul fondo marino presso Cuba, ove è stato individuato un complesso di ruderi che attende di essere esplorato; ad Haiti a Santo Domingo e nella zona di Bimini, enormi cupole, di cui una raggiunge la misura di 55 metri per 43, probabile base di una piramide. Manson Valentine, Jacques Mayol, Harold Climo, Robert Angone hanno trovato templi a gradini nella zona di Bimini nel 1968 e le mangrovie fossilizzate analizzate col "C14" hanno indicato un età di dodicimila anni.
Da Atlantide proviene il rosso, ancora oggi colore degli emblemi imperiali, dei cardinali, usato nelle cerimonie importanti dalla chiesa (la porpora rossa), indice di potere e gloria, ricordo degli imperatori rossi di Atlantide. Adamah la prima terra, la Rossa.
Per chi dubita, una curiosa e indiretta testimonianza dell'esistenza di un terra nell'Atlantico ci viene dal popolo Basco. Non solo i caratteri somatici sono quelli della razza rossa atlantidea, somiglianti al profilo Maya, ma come gli indiani dell'America Centrale, usano al posto dell'aratro i "Laya"; bastoni biforcuti per preparare la terra per la semina. I maya dell'antico regno usavano lo stesso sistema.
E non basta; Baschi, Indiani, Maya trovano la stessa radice comune anche nel gioco: La Pelota. "Può essere che i re ed i nobili dell'isola di Atlantide abbiano giocato alla pelota, già diecimila anni fa, nello stesso modo in cui giocava Montezuma ai tempi di Cortes ed i Baschi ancora oggi?" (Otto Muck).
Come le anguille che dall'Europa tornano nel Mar dei Sargassi, ricordando da dove sono giunte, anche l'uomo ritrova nel gioco divenuto patrimonio culturale, le sue radici ancestrali e perpetua la tradizione dei suoi avi: gli uomini rossi.
Quindi una sola domanda: quale l'origine di questa razza rossa? Atlantide? E da quale luogo provenivano i costruttori di Atlantide?
Secondo Heli Sarre, Atlantide era un'isola artificiale galleggiante sull'oceano collegata ad isole più piccole per mezzo di ponti. Sarre si chiede se era possibile costruire una tale isola capace di contenere case, giardini, uomini e animali domestici. Prendendo ad esempio Tenochtitlan, afferma che lo era. Questo implica che i costruttori, circa quattordicimila anni fa, conoscevano una tecnologia molto avanzata. Erano quindi Dèi provenienti da un altro spazio, o forse, molto più semplicemente, comuni mortali che disponevano di una tecnologia migliore e parte di quelle scoperte ed invenzioni che abbiamo creduto di conquistare solo in un passato recente?
La risposta rischia di spostare le lancette del tempo in un periodo assai più remoto di quello finora sospettato.
Come ha scritto Platone nel suo poema: "Quanto è bambina la vostra storia rispetto all'enorme passato umano".
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ALCUNE MITOLOGIE DEL DILUVIO
IL DILUVIO DI TAHITI
TAHITI fu una volta sommersa dal mare, nell'isola sopravvissero solamente due persone e gli animali che essi salvarono; il disastro iniziò con grandi piogge e una tempesta furiosa che fini per travolgere l'intera isola. Per salvarsi assieme agli animali i due esseri umani si rifugiarono sul monte più alto PITO-HITI.
Finalmente dopo 10 notti cessò di piovere e il mare calò, cosi' la vita, grazie alla coppia, tornò a fiorire nell'isola.
IL MITO DELL'ALLUVIONE POLINESIANO
Il Nibbio e il Granchio litigano e il primo fora il cranio dell'altro. Il Granchio per vendicarsi inonda e annega tutti i viventi. Si salvano però due giovani sposi e gli animali riparatisi sulla loro imbarcazione.
I MITI DI VARI PAESI
In Cina, si dice che un tempo gli uomini si ribellarono agli dei. L'universo allora piombò nel caos e le acque invasero la terra. Il
popolo malese Chewong sostiene che il mondo subisca, dopo non ben precisati periodi temporali, una distruzione generale dovuta alle acque.
Nel Laos e nella Tailandia settentrionale, si dice che un tempo un popolo chiamato Then viveva in un regno superiore, mentre gli inferi erano guidati da tre grandi uomini saggi. I Then decisero che le persone avrebbero dovuto donare loro una parte del proprio cibo. Il popolo si rifiutò e i Then fecero piombare un diluvio sulla terra. I tre uomini tuttavia costruirono una zattere e misero in salvo non solo se stessi ma anche alcune donne e bambini. In questo modo salvarono l'umanità dall'estinzione.
In Birmania, una tradizione afferma che due fratelli si salvarono su una zattera ad un immenso diluvio.
Nel Vietnam, secondo le leggende locali, trovarono scampo dalle acquee del diluvio solo un fratello e una sorella. Essi si trovavano all'interno di una cassa di legno nella quale c'erano una coppia di ogni specie animale.
Gli aborigeni d'Australia delle coste settentrionali sostengono che un diluvio distrusse un mondo precedente. Secondo altri miti di altre tribù australiane, tuttavia, il serpente cosmico Yurlunggur sarebbe il reale responsabile del diluvio.
In Giappone, alcune tradizioni ritengono che la creazione dell'Oceania sarebbe derivata dal ritirarsi delle acque di un diluvio. Per di più nelle isole Samoa e nelle isole Hawaii si ricorda un diluvio che distrusse il mondo e quasi tutta l'umanità. Secondo i
Samoani, sopravvissero al disastro solo due uomini che approdarono nelle isole Samoa.
In Nord America ritroviamo ancora una volta tradizioni su un diluvio universale. Gli inuit dell'Alaska parlano di un diluvio e di un terremoto che risparmiarono i pochi che fuggirono tramite canoe o scapparono sui monti. Il popolo Luiseño e quello degli Huroni raccontano che si abbatté un diluvio su tutta la terra e solo coloro che si rifugiarono sulle vette delle montagne si salvarono. I Montagnais, gli Irochesi, i Chickasaw e i Sioux fanno riferimento al mito del diluvio.
In Centro America il mito sul diluvio più famoso è quello contenuto nel codice Latino- Vaticano del popolo degli Aztechi. Si dice infatti che la prima era della storia del mondo fu distrutta da un diluvio d'acqua. Il primo sole, Matlactili, durò 4008 anni. Gli uomini mangiavano mais ed erano giganti. Gli uomini, in seguito al diluvio, si trasformarono i pesci. Solo una coppia si salvò, Nene e Tata, che era protetta da un albero. Comunque altri affermavano che sette coppie si rifugiarono in una caverna e ne uscirono quando le acquee si ritirarono. Quando la terra venne ripopolata, questi superstiti vennero considerati delle divinità.
Secondo un altro popolo mesoamericano, i Mechoacanesecs, il dio Tezcatilpoca volle distruggere tutta l'umanità con un diluvio e salvò solo un uomo di nome Tezpi. Quest'ultimo si imbarcò con la sua famiglia e ogni genere di animali e sementi su un'arca. Quando il dio ordinò la fine del diluvio, l'imbarcazione si arenò su una montagna. Tezpi, per sondare l'abitabilità della terra, liberò un avvoltoio che non tornò perché si nutriva delle carcasse degli animali. Allora vennero liberati molti altri uccelli, dei quali tornò solo il colibrì con un ramo nel becco. Il diluvio era finito.
Nel "Popol Vuh" del popolo Maya, il Grande Dio volle distruggere l'umanità con un diluvio perché si era dimenticata di lui.
In America del Sud, i Chibcha della Colombia dicono che furono portati alla civiltà da un certo personaggio barbuto detto Bochica. Quest'ultimo aveva una moglie invidiosa e cattiva, Chia, che fece piombare un diluvio sulla terra che distrusse gran parte dell'umanità. Bochica cacciò sua moglie facendola divenire la luna. Nonostante il disastro, questo essere superiore riorganizzò i superstiti e alla fine ascese al cielo divenendo un dio.
I Canari dell'Ecuador parlano di due fratelli scampati al diluvio.
Gli Indios tupinamba del Brasile raccontano che l'eroe civilizzatore Monan aveva creato l'umanità ma distrutto il mondo tramite un diluvio.
Il Perù e le Ande più in generale sono ricchissimi di miti sul diluvio. Solitamente la storia è simile per molte popolazioni ed
racconti del Diluvio compaiono dall'inizio dei tempi, e gia al tempo di Manco Capac, che fu il primo Inca e dal quale cominciarono ad essere chiamati,"Figli del Sole".che essi avevano piena conoscenza del Diluvio. Dicono che tutti gli esseri umani e tutte le cose create perirono nel diluvio, e che le acque erano salite sopra le montagne più alte del mondo. Nessuna cosa vivente sopravvisse eccetto un uomo e una donna, che rimasero in una cassa; e quando le acque si abbassarono, il vento
li trasportò a Guanaco, che sarà a settanta leghe da Cuzco, più o meno. Il Creatore di tutte le cose ordinò loro di restare là come Mitimas, e là a Tiahuanaco il creatore cominciò a istruire popoli e nazioni che stanno in quella regione. Per ripopolare la Terra il Creatore prima diede forma con l'argilla a una persona per ogni nazione; poi diede vita e anima a ognuno,uomo o
donna che fosse, e li mandò nei luoghi che per ciascuno erano stati stabiliti sulla Terra. Coloro che non obbedirono agli ordini
riguardanti il culto e il comportamento furono tramutati in pietre.
Secondo un'altra leggenda:."Dopo che le acque del diluvio erano ormai scese,un certo uomo comparve nel paese di Tiahuanaco. Quest'uomo era così potente che divise il mondo in quattro parti e le diede a quattro uomini che insignì del titolo di re". In molte versioni si afferma la creazione ad opera di Viracocha.
Un mito delle isole Figi narra di due giovani che provocano il diluvio per avere ucciso l'uccello favorito di Dengei, l'Essere Supremo, e poi, mentre tutta l'umanità perisce sotto le acque, proprio essi vengono salvati dallo stesso Dengei.
In Cile, gli Araucani e nella terra del Fuoco gli Yamana e i Pehuenche ricordano anche essi un diluvio, durante il quale i
sopravvissuti si salvarono su montagne molto alte.
IL DILUVIO NEL MITO BRASILIANO " CURT NIMUENDAJE' "
Il serpente Kane-roti fece il rio Tocantins e il rio Araguaia. Piovve per molti giorni, i corsi d'acqua strariparono; le acque del Tocantis raggiunsero quelle dell'Araguaia. Per 2 giorni il mondo fu sommerso. Le Apinaye fuggirono dalla Sierra Negra. Una coppia di sposi prese tre zucche giganti e le riempì di cibo, soprattutto di cereali; le chiusero, le legarono e aggrappati, si
lasciarono portare alla deriva. Improvvisamente ritornò a piovere, ma i due se la cavarono. Quando l'acqua si abbassò i due coniugi cercarono un posto dove stabilirsi e lì si accinsero a costruire una fattoria. Un giorno un ragazzo sopravvissuto uccise un uccello e lo portò alla madre per cucinarlo.
La madre si accorse che il volatile aveva semi di mais nello stomaco e chiese al figlio dove l'aveva preso saputa la notizia; la gente andò alla ricerca del posto; trovata la fattoria, si fermarono fino all'autunno per raccogliere_cibo.
IL MITO AFRICANO " LA DONNA CHE VIVE DI PIOGGIA "
Kapinga non aveva moglie. Un giorno incontrò una donna e la portò a casa. La donna non voleva mangiare, perché il marito non sapeva il suo nome. Kapinga girando incontrò Kakulutu Kamunto che gli disse il nome della moglie cioè Tumba. Kapinga e Tumba andarono al villaggio del padre della donna. Arrivati, restarono a lungo. Dopo un po' Kapinga volle tornare a casa e il capo del villaggio (il padre di Tumba) gli disse di ritornare a prendere sua moglie in un giorno di pioggia. Kapinga acconsentì e dopo tornò a casa. Dopo qualche tempo di siccità il marito si diresse al villaggio di sua moglie. Arrivato non trovò nessuno, ma vide dei sassi; ne prese uno e affilò il suo coltello e poi tornò a casa. Quando cominciò a piovere Kapinga tornò al villaggio di Tumba e incontrando gli abitanti chiese di riavere sua moglie, ma il padre gli negò il permesso perché quando era andato al villaggio durante la siccità, affilando il suo coltello su quel sasso aveva fatto una grossa ferita al capo villaggio perché quel sasso era lui. Kapinga tornò a casa senza moglie. Il matrimonio fra Kapinga e Tumba rappresenta una forma di alleanza tra uomini e esseri sovraumani. La convivenza in un primo momento è difficile, perché Kapinga non conosce il nome della donna, dopo che lo sa Tumba sembra diventare simile alle altre donne, ma è solo apparenza.

PROFEZIE
Nel papiro di Ramsete XII, che si trova nel museo del Cairo, si dice tra l'altro: "Quando due stelle, una rossa e l'altra d'argento, si contenderanno il mondo, con l'appoggio del serpente giallo e del sole rosso, poco dopo la caduta della ruota dentata, avverrà un delitto aberrante che scatenerà la lotta finale. Si sentirà allora il lugubre ululato di Anubis e gli uomini si rifugeranno sottoterra ma le città rovineranno su di loro e si disseccheranno i fiumi e le piante, e l'agnello giudicherà l'ariete e il leone, per la quarta volta. Da qualche tempo i quattro cavalli percorreranno la terra ma gli uomini non li vedranno accecati dalla loro ottusa superbia e la catastrofe li coglierà di sorpresa."

Dai Vishnu Purana I, VIII, 1~31: "Dodici soli farano evaporare il mare; alimentati dall'acqua si formeranno altri sette soli che trasformeranno il mondo in cenere. La Terra diverrà dura come un guscio di tartaruga. Il fuoco dalle fauci di un drago sotterraneo infuocherà la superficie della Terra e incendierà le regioni del cielo; questo fuoco brucerà con rumore di spavento e distruggerà ogni essere vivente. Il dio distruttore lancerà grandi nuvole; una massa di nuvole di energia sarvantaka si vedrà nel cielo."

Dalla lettera di Nostradamus a Enrico re di Francia ..: "Sarà nel mese di ottobre che si produrrà una grande traslazione tanto da lasciar credere che la Terra abbia smarrito il suo moto naturale e sia affondata per sempre nelle tenebre, e ciò prima che venga primavera. Il Grande Papa sarà reintegrato nelle sue prerogative: ma alla fine il suo regno piomberà nella desolazione. Tutto finirà in abbandono e gli avvenimenti poteranno alla distruzione del Santo dei Santi ad opera del paganesimo. L'Antico e Nuovo Testamento saranno banditi e bruciati, dopo di che l'anticristo sarà il principe infernale. E per 25 anni tutte le nazioni cristiane per la prima volta tremeranno. .. Quasi tutto il pianeta verrà abbandonato al disordine e alla disperazione. E tuttavia, dopo questo lasso di tempo che agli uomini sarà sembrato assai lungo, la faccia della terra verrà rinnovata grazie all'avvento dell'Età dell'Oro. .. Il Creatore Iddio decreterà che Satana venga messo in catene e precipitato
nell'abisso dell'Inferno, nella fossa profonda: inizierà allora fra Dio e gli uomini la pace universale, mentre Satana rimarrà legato per circa mille anni, .. ma poi nuovamente le sue catene saranno sciolte".

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jasmine23
view post Posted on 30/8/2007, 18:56




Il grande mistero d'Atlantide

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"Al di là di quello stretto di mare chiamato Le Colonne d'Ercole, si trovava allora un'isola più grande della Libia e dell'Asia messe insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole, e da queste isole alla terraferma di fronte. In quell'isola chiamata Atlantide v' era un regno che dominava non solo tutta l'isola, ma anche molte altre isole nonché alcune regioni del continente al di là: il suo potere si spingeva, inoltre, al di qua delle Colonne d'Ercole; includendo la Libia, l'Egitto e altre regioni dell'Europa fino alla Tirrenia".
A parlare è Crizia, parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella capitale amministrativa dell' Egitto, Sais. Qui aveva cercato di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando le antiche tradizioni greche, ma uno di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei confronti di un altro su cui gli Egizi possedevano molta documentazione scritta. Secondo il sacerdote egiziano, una civiltà evoluta era esistita per secoli su "un'isola più grande della Libia e dell Asia messe insieme" l'isola era stata distrutta novemila anni prima da un immane cataclisma insieme a tutti i suoi abitanti. Le parole di Crizia sono riportate nei "Dialoghi" Timeo e Crizia, scritti da Platone attorno al 340 a.C.. Ecco come il filosofo greco descrive l' isola, sempre per bocca del sacerdote egiziano. "Dal mare, verso il mezzo dell'intera isola, c'era una pianura; la più bella e la più fertile di tutte le pianure, e rispetto al centro sorgeva una montagna non molto alta"
La descrizione continua a lungo, inframmezzata da commenti sulla genealogia degli abitanti di Atlantide: ne emerge l'identikit di un territorio rettangolare di 540 x 360 chilometri, circondato su tre lati da montagne che lo proteggono dai venti freddi, e aperto a sud sul mare. La pianura è irrigata artificialmente da un complesso sistema di canali perpendicolari tra loro, che la dividono in seicento quadrati di terra chiamati klerossu in cui si trovano floridi insediamenti agricoli. La città principale, Atlantide, sorge sulla costa meridionale; è circondata da una cerchia di mura la cui circonferenza misura settantun chilometri; la città vera e propria, protetta da altre cerchie d'acqua e di terra, ha un diametro di circa cinque chilometri.
In altre parole Atlantide misura quasi otto volte la Sicilia; se non proprio un continente, è pur sempre un'isola di grandezza non disprezzabile. Crizia descrive la fertilità delle sue terre popolate, tra l'altro, da elefanti giacché anche per quell' animale, il più grosso e il più vorace di tutti, c'era abbondante pastura.
Il possente impero di Atlantide, che si estende sulle isole vicine, è diviso in dieci stati confederati, ognuno dei quali è retto da un re; lo stato sovrano, quello che comprende la città di Atlantide, è suddiviso a sua volta in sessantamila distretti; ogni cinque o sei anni si svolge una sorta di pubblica assemblea con la partecipazione del popolo che giudica l'operato delle varie amministrazioni.
Gli Atlantidei, non paghi di dominare sulle loro isole, hanno fondato colonie nella terraferma di fronte (l'America?), in Egitto, in Libia e in Etruria. Ma non sono riusciti a sconfiggere l'impero di Atene, fondato nel 9600 a.C. dalla Dea Minerva e organizzato secondo gli stessi criteri che Platone aveva esposto nella sua opera La Repubblica. Dopo molti anni di guerra, un grande terremoto e un'inondazione devastano Atene, inghiottono il suo esercito e fanno sprofondare anche Atlantide nelle acque dell'oceano. Una giusta punizione, in quanto, con il trascorrere dei secoli, gli Atlantidei si sono corrotti:
"Quando l'elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro, il carattere umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli che sono inetti a scorgere qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano di avidità e potenza. E Zeus , il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente, volle impartir loro un castigo affinché diventassero più saggi. Convocò gli dei tutti, e, convocatili, disse..."
Cosa disse Giove, possiamo solo intuirlo: infatti con queste parole si conclude il Crizia. Ma il vecchio sacerdote l'ha già spiegato in precedenza:
"Più tardi, avvenuti dei terremoti e dei cataclismi straordinari, tutta la vostra stirpe guerriera (cioè gli Ateniesi) sprofondò sotto terra, e similmente l'isola di Atlantide s'inabissò in mare e scomparve".
Di quanto ha raccontato, afferma Crizia, l'Egitto è l'unico paese che possiede molta documentazione scritta, perchè, contrariamente alle terre vicine, non fu coinvolto dalla catastrofe; e a questo proposito si scusa con i lettori per aver imposto nomi greci ai sovrani di Atlantide. Nei loro annali, infatti, gli Egiziani avevano tradotti i nomi nella propria lingua, secondo il costume dell'epoca; successivamente Solone li aveva a sua volta reinterpretati in greco, e così glieli aveva riferiti. "Quando dunque udrete dei nomi simili a quelli nostri, non meravigliatevene, giacché ne conoscete il motivo".

SCOPERTE NUOVE TRACCE DELLA MITICA ATLANTIDE E DI UN'ANTICA SCIENZA PERDUTA
Il Progetto "La Scienza Olistica" è un recente progetto di ricerca che attraverso uno studio epistemologico di tipo comparativo ed indiziario - un moderno metodo di analisi scientifica - ha recuperato buona parte di un'antica forma di sapere perduto, appartenuto ad una civiltà scomparsa almeno 15.000 anni fa: forse la mitica Atlantide. Tutti sappiamo che di Atlantide doveva essere una civiltà molto avanzata e alcune leggende parlano addirittura di "civiltà tecnologica".
L'antico sapere ritrovato era rimasto ben custodito per millenni all'interno di misteriosi simboli (PaKua, Stella Ebraica a cinque ed a sei punte, Triangolo, Caduceo, ecc…) che, se pur ben noti all'Umanità perché presenti in molte grandi civiltà del passato, erano stati da sempre considerati simboli "ornamentali". Essi nascondevano invece una precisa logica codificata e, forse, le leggi di un'antica scienza perduta superiore alla nostra: la Scienza Olistica.
Tali leggi sono rimaste ben conservate all'interno del sapere ebraico Cabalistico e nel Taoismo, una antichissima teoria filosofica cinese, dalle origini finora misteriose, alla base della millenaria agopuntura. Questa scoperta apre la strada, anzitutto, a suggestivi orizzonti antropologici perché dimostra l'esistenza di un'unica grande civiltà antichissima, date le corrispondenze con gli studi antropologici, archeologici e mitologici del noto ricercatore-scrittore americano Graham Hancock, il quale collega le origini delle maggiori civiltà del passato (egiziana, incas, cambogiana, polinesiana dell'isola di Pasqua...) e, in particolare, di quella cinese ed ebraica.
Un anno fa finì sulle prime pagine di tutti i giornali l'esperimento Boomerang. Un'eccezionale scoperta di un gruppo internazionale di cosmologi guidati dall'italiano Paolo De Bernardis, un fisico dell'Università "La Sapienza" di Roma e dall'americano Andrea Lange del Caltech che, coerentemente con la lettura olistica della realtà in due sole dimensioni, dopo essere riusciti a fotografare il momento del Big bang dissero: "Una prima analisi dei dati, che evidenziava solo le strutture più grandi (che si formarono all'origine), aveva suscitato grande attenzione perché la misura delle dimensioni di queste strutture aveva permesso di determinare la geometria 'piatta' dell'Universo".
Le conferme antropologiche e scientifiche ottenute da tutte le ricerche che il Progetto "La Scienza Olistica" sta portando avanti sono davvero tante e non è certo possibile elencare tutte le ipotesi possibili, costruite su di esse. È però particolarmente suggestiva ed avveniristica l'ipotesi dell'esistenza di un preciso numero di "porte dimensionali" di accesso ad un mondo parallelo, già teorizzato, seguendo altre strade, da vari scienziati e della possibilità che la civiltà di Atlantide - in possesso di una scienza superiore e dunque del segreto delle porte dimensionali - sia scomparsa sì dalla faccia di questa terra ma per rifugiarsi, a causa un'immensa catastrofe planetaria, nell'universo parallelo. Gli extraterrestri di oggi potrebbero essere i terrestri atlantidi di ieri, tornati a rivisitare il loro vecchio mondo. A supporto di questa possibilità, e comunque dell'esistenza di una scienza superiore olistica, vi è il famoso mistero dei "cerchi nel grano". Molti ufologi sostengono che si tratti di messaggi di origine extraterrestre. Il fatto è che alcuni di quei "cerchi" sono identici ad alcuni simboli della Scienza Olistica e, guarda caso, i matematici che hanno studiato i "crop circles" - e che non conoscevano i nuovi studi olistici di cui oggi vi parliamo - sostengono con certezza che si tratti di schemi matematici frattali.
Per ulteriori informazioni sul Progetto "La Scienza olistica" consultare il sito www.lascienzaolistica.com.
Nascoste nelle profondità del mare Caraibico, davanti alla penisola Cubana di Guanahacabibes, nei pressi di un vulcano spento, in un’area di 20 chilometri quadrati del pavimento oceanico, immense strutture formano un reticolato urbano, che spicca sulla spianata di sabbia bianca, con i suoi muri ad angolo retto. Le strutture si snodano in un regolare e ordinato groviglio di strade, vicoli, incroci e piramidi di stile mesoamericano.
Gli occhi meccanici di un robot hanno violato, dopo migliaia di anni, i resti di un’antica città; hanno immortalato i megalitici blocchi di granito, tagliati e posizionati con cura a formare piramidi e altre strutture a volte circolari, simmetricamente organizzate.
Il filmato che è stato prodotto ha posto all’osservazione dell’equipe di esperti, quali il Dr.Gambino La Rosa del Museo di Scienze Naturali di Cuba, le strutture e le anomale incisioni impresse su di esse composte da simboli e gruppi di lettere, simboli e croci ovali, simili ai segni minoici e a quelle presenti su alcuni sigilli babilonesi e assiri. Simili, ma non della stessa appartenenza, somiglianti ai caratteri dell’alfabeto greco, ma più paragonabili alle incisioni etrusche. La scoperta, che ha suscitato grande clamore, risale al maggio 2001 quando la spedizione canadese, guidata dall’ingegnere russo Paulina Zelitsky della ADC Advanced Digital Comunications, con lo scopo di ricercare antichi relitti, si è imbattuta in strutture sottomarine situate alla profondità di circa settecento metri.
Nel dicembre dello stesso anno a conferma di quanto rilevato dal sonar, è stato immerso un robot telecomandato provvisto di telecamera che ha filmato quella che, da subito, è stata ritenuta un’antica città sommersa. Si è pensato immediatamente all’Atlantide perduta, memori anche della caduta di una cometa intorno al 9000 a.C. che devastò la costa orientale atlantica americana.
Il filmato ottenuto, già diffuso dalla TV cubana, ha evidenziato strutture artificiali composte da blocchi levigati, eretti uno sull’altro in forme diverse; coperti da iscrizioni sconosciute e a quanto pare indecifrabili. Secondo le dichiarazioni di Paulina Zelitsky sono presenti numerosi edifici in granito bianco di forma piramidale di stile americano. Per avere ulteriori dettagli dovremo attendere l’esito di una spedizione prevista per l’estate del 2002, quando verrà utilizzato un robot particolare provvisto di tre telecamere e potenti riflettori; un trapano con diverse funzioni e un grosso braccio mobile di 10 metri per prelevare campioni. Ovviamente il Dr. Gambino non rilascia dichiarazioni che possano dare adito a speculazioni anche se a suo dire le costruzioni risultano essere lisce, piatte e formate da blocchi sovrapposti quindi artificiali. Naturalmente dal prelevamento di campioni si otterranno informazioni dettagliate. Immagini migliori, magari un frammento con iscrizioni e simboli, contribuiranno a fornire dettagli per l’identificazione del luogo. Quanto finora raccolto riguardo ai glifi riporta a molte culture. Inoltre i simboli presenti sulle strutture sommerse si ritrovano nelle caverne cubane; sia in quelle di superficie sia in quelle sommerse. Sembrano simili al linguaggio lineare "C" usato da una cultura minoica conosciuta come Luwiani che viveva nell’odierna Turchia al tempo dei Troiani.
Alcuni scritti Luwiani sono stati trovati in Italia e per gli esperti del settore potrebbero costituire un importante collegamento fra gli Etruschi e l’Asia Minore.
Sembra che la croce ovale abbia più significati, non solo come "LU" per Luviani, ma anche "Star" stella. Forse per indicare l’imminente caduta di una cometa? I Troiani avevano una versione della storia di Atlantide molto particolare e interessante. Raccontano che la loro civiltà era stata fondata da Dardano che si diceva provenisse da Atlantide. Dardano era nato in un isola lontana, situata ad Ovest da Elettra e Atlas, che diede nome a quella terra. Atlas aveva una sorella che partorì Clione, dea del mare, dalla quale ebbero origine le Pleiadi.
Comunque i caratteri più vicini ai simboli filmati sulle pietre della città sommersa risultano molto più similari a quelli etruschi, una delle più misteriose culture. Vivevano in Toscana ma nessuno sa chi erano e da quale luogo provenivano. Abili marinai e artigiani hanno lasciato inciso su pietre, colonne e artefatti un linguaggio che nessuno è stato capace di tradurre.
Dove acquisirono il loro linguaggio scritto? Nel regno di Atlantide?
Platone ci racconta che la loro terra era in effetti un avamposto di Atlantide. Durante una delle tante spedizioni organizzate dal popolo del continente perduto venne fondato uno stato in quel luogo dopo aver stabilito una specie di matrimonio di scambio con la popolazione stanziale, creando in tal modo ciò che noi conosciamo come Etruria.
Analizzando la capacità degli Atlantidei non possiamo fare a meno di pensare agli Annunaki; difatti i primi vengono descritti come grandi navigatori, ma anche come sapienti minatori e buoni lavoratori del rame. Le miniere di questo minerale del Nord America sono state ampiamente sfruttate; secondo calcoli effettuati dagli esperti sarebbe stato trattato almeno mezzo bilione di libbre di rame greggio durante quel periodo.
Numerose le miniere che furono scavate ad una profondità di venti metri usando una tecnologia ben diversa da quella conosciuta dai nativi americani. Studiosi di quella nazione hanno accertato che sono state soppresse le prove dell’esistenza di una grande impresa di sfruttamento minerario nel Michigan dal 3.000 a.C. al 1.200 a.C. Nello stesso periodo di tempo dalla parte opposta aveva origine l’età del Bronzo.
La cosa più straordinaria è che grazie al loro sviluppo tecnologico avanzato erano in grado di spedire enormi quantità di rame grezzo fino in Europa.
Anche gli Annunaki erano provetti minatori, secondo quanto narrano le cronache sumere.
Questi i fatti storici, quanto poi alla possibilità che si tratti dei resti del continente perduto dobbiamo considerare gli eventi catastrofici abbattutasi nella zona.
Da indagini aeree del 1930 nella zona della Carolina del Sud risultano esistenti nella zona mezzo milione di crateri di forma ellittica. Sarebbero stati prodotti da un corpo celeste frantumatosi durante la caduta sulla terra, dopo essere entrato in collisione con un altro asteroide.
I campioni prelevati rivelano che l’evento si sarebbe verificato alla fine dell’ultima era glaciale ossia oltre 11.000 anni fa; nel 9.000 a.C.
L’età precisa dell’impatto resta sconosciuta; ma dalle rilevazioni risalirebbe all’incirca all’epoca fornita da Platone. Sono state scoperte recentemente due teste scolpite molto somiglianti nei lineamenti a serpenti che ricordano le statuette della cultura Ubaid, rinvenute a Jarmo; databili fra i 6.000 e gli 8.000 anni e quindi più antiche del sito ove sono state rinvenute.
Potrebbe essere la prova che qualche popolo effettuò esplorazioni marittime dall’America fino all’Europa, attraverso l’Africa.
È stato rinvenuto in Perù, in Mexico e nelle Indie Occidentali, una specie di cotone che, a detta degli esperti, è stato introdotto nelle Americhe per iniziare una coltivazione, ma che non era originario di quei luoghi. Di conseguenza qualcuno lo ha importato dal mondo occidentale proprio con quello scopo. Sono evidenze fisiche di una connessione fra India, Asia, Mediterraneo e Americhe.
Quando emergerà dalle profondità dell’oceano caraibico potrà fornire la chiave per comprendere il mistero di Atlantide Il continente perduto non è più un mito; giunge notizia che nel settembre 2001 una spedizione spagnolo americana ha individuato, a circa ottanta metri a Sud Ovest delle Azzorre, un gruppo di resti urbani sommersi, consistenti in un tempio centrale sostenuto da tre basamenti di nove colonne, che a sua volta sorregge un tetto di pietra di sei metri per nove. Intorno i resti di cinque canali circolari, alcuni ponticelli e quattro anelli di strutture uguali al tempio. Il tutto a 850 metri di profondità, cento in più del sito cubano.
Considerando i resti rinvenuti a suo tempo a Bimini, la grande isola inizia a prendere forma e con essa una nuova luce illumina la storia dell’umanità.
A sostegno della tesi che vuole Atlantide distrutta da un cataclisma, vi riporto un testo per...riflettere....

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La maggior parte di noi è convinta che il nostro pianeta dacché è nato si sia mantenuto pressoché intatto così come noi lo conosciamo oggi.
Certo milioni e milioni di anni fa il paesaggio non sarà stato come oggi lo conosciamo, ma, perbacco l'Italia anche se non perfettamente uguale a quella odierna, fu esattamente nella stessa posizione. Milano, se fosse esistita, sarebbe stata al nord e Palermo al sud. Soddisfatti di questa sicurezza non crederemmo a nessuno che ci dicesse il contrario, anche per una sorta di paura. Se un cataclisma ha potuto scambiare i punti cardinali, nulla ci vieta di credere che così come un simile fatto è successo una volta non possa accadere ancora, magari domani stesso.
Fautore di una cosi' incredibile teoria è stato uno scienziato americano, Immanuel Velikovski. Egli asseriva che circa 10mila anni fa, il polo nord si trovava localizzato nella attuale terra di Baffin (nei pressi del Canada del nord) e il globo terrestre ruotava su un asse non inclinato così da determinare clima uguale in tutte le stagioni.
Una cometa, o un pianeta errante (Venere?) venne a sfiorarci talmente vicino che il nostro pianeta ne fu sbilanciato e incendiato. Le città ne furono sconvolte, le foreste incendiate, le montagne crollavano mentre tutto era in agitazione. Dal cielo cadevano meteoriti incandescenti che andavano a sconvolgere ancora di più la già terribile situazione. Le banchine dal polo nord andarono alla deriva provocando un terribile maremoto nel loro sciogliersi. In tutto questo terribile crescendo di avvenimenti riuscirono a salvarsi sparuti gruppi di umanità insieme a pochi esemplari di fauna e di flora. Il tutto durò forse solo qualche giorno, ma si sa, la natura quando vuole sa distruggere tutto in pochi attimi. Durante questi sconvolgimenti la Terra si capovolse completamente, tanto che il polo sud divenne polo nord e viceversa, l'est e l'ovest cambiarono anch'essi di posto. Credere a tutto ciò non è facile, però alcuni elementi ci inducono a pensare che, forse, qualcosa deve essere successo.
Nel papiro egizio chiamato "HARRIS" si fa riferimento al fatto che dopo un cataclisma cosmico il "sud divenne nord e la Terra si capovolse".

image Il papiro "HARRIS"

image Il papiro "IPUWER'"

Il papiro "IPUWER'" dice più o meno la stessa cosa: "il mondo prese a girare a rovescio; come se fosse su una ruota di vasaio e la terra si è capovolta.
Il papiro "ERMITAGE", conservato al museo di Leningrado dice anch'esso che il "mondo si è capovolto".
Platone nei dialoghi (Il politico) parla dell'inversione del corso del Sole, dell'annientamento dagli uomini, ed Erodoto, il padre della storia, afferma che i sacerdoti egizi, dicevano che numerose Sole era sorto dove ora tramontava e viceversa.
I polinesiani, i cinesi, gli indù e gli esquimesi sono stati essi pure testimoni di questi fenomeni.
Tra tutte queste testimonianze si inserisce una scoperta archeologica di grande importanza e che a suo tempo mise in imbarazzo gli studiosi.
Si tratta di due carte del cielo dipinte sul soffitto della tomba di Senmut architetto della regina Atshepsut.
Una delle mappe è normale, con i punti cardinali collocati nei punti giusti, ma sull'altra, in funzione della posizione delle stelle l'est è a sinistra e l'ovest a destra.
Tutto ciò ha un indiscusso valore allorché si trova rappresentato nella tomba di un personaggio che per professione studiava il cielo e che quindi lo doveva conoscere molto bene.
Dulcis in fundo, esistono in molte zone vulcaniche, lave polarizzate in senso inverso al campo magnetico locale. La cosa è spiegabile solo ammettendo che la cristallizzazione di queste lave sia avvenuta in un'epoca durante la quale i poli erano diversi da oggi.

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Intercalo un'articolo di Sabina Marchesi tratto da supereva.it

IL VITUPERATO MITO DI ATLANTIDE
Quando si sente parlare del mito di Atlantide, invariabilmente, specialisti e studiosi storcono il naso e digrignano i denti.
Eppure se svincoliamo per un attimo la concezione di Atlantide come entità reale, e la trasportiamo sul piano delle ipotesi, vagliando i fatti pro e contro, come ogni appassionato dovrebbe fare, in una ricostruzione storica e scientifica, ecco che ci troviamo davanti a inquietanti analogie, che se non elevate al rango di “prove” tuttavia costituiscono dei “fatti” tuttora incontrovertibili.
Quello che appare ormai certo è che il mito di una civiltà che ha preceduto la nostra risiede in tutte le culture, in ogni parte del globo, il che farebbe presupporre che un qualche tipo di civilizzazione preesistente fosse comunque presente, in qualche epoca e in qualche luogo, e che ad essa andrebbe ricondotta l’origine comune di tutte queste mitologie.
Come tutti sappiamo il primo a parlare del Mito di Atlantide, fu Platone, che però riportava a sua volta antiche leggende che aveva avuto occasione di ascoltare durante le sue peregrinazioni.
La similitudine architettonica delle costruzioni di antiche città scomparse, i cui resti vengono ritrovati solamente oggi, in luoghi lontanissimi fra loro, farebbe pensare a una civiltà planetaria che avesse sviluppato un qualche tipo di colonizzazione, esportando le proprie conoscenze e le proprie tecniche ingegneristiche.
Per molti studiosi invece non sarebbe affatto un dato concludente, in quanto ipotizzano che sebbene queste comunità fossero geograficamente isolate, potrebbe darsi il caso di evoluzioni cicliche, che avrebbero portato nel tempo diverse “isole” di sviluppo a seguire le medesime tappe, perseguendo i medesimi scopi, attraverso la sperimentazione di medesime applicazioni, manufatti, e costruzioni.
In pratica i singoli agglomerati sociali, pur essendo lontanissimi tra loro e impossibilitati a infuenzarsi l’un l’altro, avrebbero istintivamente seguito gli stessi percorsi evolutivi, realizzando architetture e linguaggi simbolici simili.
Per quanto riduttiva possa sembrare, questa teoria potrebbe avere un senso, soprattutto alla luce delle leggi Darwiniane dell’evoluzione, che presuppongo infatti la penalizzazione di tutti gli sviluppi non adatti alla sopravvivenza, premiando solo le specie più adatte. Non sarebbe pertanto un mistero il fatto della supremazia di certe vie evolutive rispetto alle altre, riportando fino a noi solo le tracce delle civiltà “vincenti”, che non a caso si somigliano tutte.
Tuttavia rimane innegabile il fatto che le vestigia di antiche civilizzazioni molto più evolute di quanto normalmente ci si aspetterebbe, continuano ad affiorare ovunque nel nostro pianeta e si tratta di circostanze, che per quanto interpretabili, non è affatto possibile ignorare.
Forse un giorno la moderna archeologia riuscirà a fornire una spiegazione convincente e valida che risponda a tutti i quesiti irrisolti riguardo al passato glorioso di tali antichissime civiltà, ormai sepolte per sempre nella memoria dei secoli.

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IL PROFETA DI ATLANTIDE
Quando Cayce cadeva in trance aveva frequenti visioni del continente perduto di Atlantide, che descriveva minuziosamente, fornendo molti dettagli "della capitale Poseidìa" e delle altre città. Molte informazioni riguardavano l'ordinamento sociale, religioso e scientifico degli atlantidei, che avrebbero conosciuto l'energia atomica e costruito macchine volanti antigravità. Convinto assertore della reincarnazione, Cayce sosteneva di essere stato un sacerdote di Atlantide che aveva assistito impotente alla distruzione del continente perduto, a causa dell'uso sconsiderato delle energie. "Atlantide era stata già annientata due volte, - dichiarerà - la prima a causa di un'esplosione dovuta ai prodotti utilizzati per sterminare gli enormi animali che infestavano la Terra, la seconda per via di un potentissimo cristallo che concentrava l'energia solare sul continente e che un giorno ci fece saltare tutti in aria...Avevamo molti terribili cristalli che traevano energia dalle stelle. Ma quando violammo la Legge dell'Uno, cioè la fratellanza universale, ci distruggemmo...". "I superstiti - continuava Cayce - scamparono in Egitto, dove i loro successori edificarono la Grande Piramide, e in Messico e in Perù, ove costruirono dei templi che erano un pallidissimo ricordo della civiltà perduta...". Ma Cayce sosteneva di aver veduto, sempre più indietro nel tempo, la storia primigenia dell'umanità, quando l'uomo "vagava come uno spirito sulla Terra", prima di assumere una forma materiale a causa di un progressivo imbarbarimento. Da questa caduta sarebbero nate quattro razze, la bianca, la gialla, la nera e la rossa, la atlantidea. Sempre a proposito, Cayce previde che le vestigia di Atlantide sarebbero state scoperte fra il 1968 ed il 1969 al largo dell'isola di Bimini. Curiosamente in quegli anni gli archeologi J.Mayol e Manson Valentine scoprirono, nella zona indicata da Cayce, una scalinata ed una strada lunga 100 metri, composta da enormi blocchi di pietra disposti ordinatam ente uno in fila all'altro, che la scienza vuole una formazione naturale e gli esoteristi le vestigia di una civiltà perduta.
Da anni la figura di Cayce affascina e divide . Osteggiatissimo dai dottori, Cayce ebbe fra i suoi sostenitori proprio uno di questi, il medico omeopata Wesley Ketchum, che ricorse al suo aiuto un centinaio di volte, dopo che Cayce aveva risanato una sua paziente malata di mente. Proprio Ketchum ha presentato all'American Society for Clinical Research, un prestigioso consesso medico, tutte le cartelle cliniche dei pazienti guariti con l'aiuto del veggente. Le letture di Cayce sono custodite in Virginia da un'associazione di suoi fans, l'Association for Research and Enlightenment (P.O.Box 595 Virginia Beach, VA 23451 U.S.A.). A questi si è rivolta Dorothée Koechlin de Bizemont per potere catalogare e schedare buona parte degli scritti, in seguito pubblicati in Francia. "8000 circa sono a carattere medico e psicologico - ha dichiarato la donna - e gli altri trattano di storia, scienza, esoterismo, archeologia, politica, economia, per un totale di 14256 messaggi...". Ma proprio in ques ta enorme mole di dati è il punto debole di Cayce. Su base strettamente statistica qualche centinaio di guarigioni e previsioni azzeccate, a fronte di oltre 14.000 messaggi, rappresentano una percentuale di successi decisamente irrisoria, spiegabile tranquillamente con la casualità. Fra i più cortesi detrattori c'è il giornalista americano Martin Gardner: "Su Edgar Cayce non c'è molto materiale serio e obiettivo...Io l'ho conosciuto. Era un uomo garbato e gentile e sincero. Ma sono assolutamente scettico sulle sue doti. Il suo bagaglio di conoscenze era dovuto alle sue letture e agli scambi di vedute con gli amici. Tutte queste informazioni Cayce le dimenticava a livello cosciente e le recuperava sotto ipnosi. La sua filosofia era un guazzabuglio di cristianesimo, astrologia, piramidologia, teosofia e tradizioni occulte. Quanto alle diagnosi, molte di queste venivano formulate in presenza di osteologi e omeopatici, che lo aiutavano. Fu proprio questa collaborazione che influenzò le s ue diagnosi e le sue terapie. Sebbene migliaia di persone credessero di essere state guarite, molte diagnosi iniziali di Cayce erano completamente fuori strada". In difesa del guaritore di Hopkinsville si è schierata Enza Massa, cronista del fiorentino Giornale dei misteri, che ha commentato: "Il veggente americano predisse effettivamente moli avvenimenti poi puntualmente avveratisi e curò parecchie persone; ma non sempre ci riuscì e fallì altresì molte previsioni. Dopotutto anche i veggenti sono pur sempre esseri umani e non è detto che debbano essere sempre infallibili". Ciò nonostante proprio uno dei più noti parapsicologi americani, il professor Joseph B.Rhine, si dimostrò scettico dei poteri di Cayce dopo che questi aveva diagnosticato alla figlia dello studioso un male sbagliato...




ATLANTIDE e i miti delle Catastrofi ricorrenti

Introduzione
Comunemente la nascita del mito di Atlantide si attribuisce a Platone, ma l’idea di una civiltà che abbia preceduto la nostra è comune a gran parte delle antiche civiltà del pianeta. Molte hanno sviluppato miti di catastrofi ricorrenti che puntualmente vengono a distruggere le costruzioni umane, costringendo l’uomo a ricominciare daccapo.

I miti di catastrofi ricorrenti
Presso i Maya si parla di quattro ere che hanno preceduto l’attuale quinta. La prima era terminò quando quattro giaguari divorarono ogni essere vivente compreso il sole e infine perirono anch'essi. Il mondo della seconda era fu distrutto da tempeste e uragani e gli uomini furono trasformati in scimmie. La terza età si annichilò nel fuoco. La quarta terminò con un gigantesco diluvio.
Anche presso i Greci, dall’altra parte del mondo, esisteva un sistema di credenze simile. Credevano che quattro specie diverse di uomini avevano preceduta l’attuale. Una caratteristica da notare è che ogni razza successiva è meno progredita della precedente. La prima fu la razza di oro, poi segue la razza d’argento, la razza di bronzo, e quella degli eroi. L’attuale è la razza di ferro. Ogni specie viene sterminata da un cataclisma, in particolare la terza, quella di bronzo, fu distrutta da un diluvio. Il mito del diluvio universale è comune a quasi tutte le civiltà del passato in qualsiasi parte del globo siano esistite.
Scritture buddiste parlano di sette Soli, tutti annichilati dal vento, dall’acqua o dal fuoco. I nostrani libri Sibillini parlano di “nove Soli che sono nove epoche”, e vaticinano ancora due epoche a venire, quelle dell’ottavo e del nono Sole. Tradizioni aborigene raccontano: “sei soli perirono…attualmente il mondo è illuminato dal settimo sole”.
I miti degli hopi, tribù indiana dell’Arizona, raccontano:
“Il primo mondo fu distrutto, per punizione per la cattiva condotta degli uomini, da un fuoco vorace che venne dall’alto e dal basso. Il secondo mondo finì quando il globo terrestre si inclinò dal proprio asse e tutto si coprì di ghiaccio. Il terzo mondo finì in un diluvio universale. Il modo attuale è il quarto. La sua sorte dipenderà dal fatto che i suoi abitanti si comporteranno o meno secondo i disegni del Creatore”.
“Nella foresta tropicale malese il popolo Chenwong crede che di quando in quando il suo mondo, che chiama Terra Sette, si capovolga, in modo che ogni cosa viene inondata e distrutta. Tuttavia, con la mediazione del Dio Creatore Tohan, la nuova superficie piatta di quella che prima era la parte inferiore di Terra Sette, viene plasmata in montagne, valli e pianure. Nuovi alberi vengono piantati e nascono nuovi esseri umani.”(1)
Come si vede con chiarezza il mito di catastrofi ricorrente è un mito planetario. Queste coincidenze non possono essere frutto del caso. L’evento tramandatoci con maggiore ricchezza di dettagli è il diluvio universale. Sicuramente la sua leggenda origina da un avvenimento reale. Potrebbe essere stata la repentina fine dell’ultima era glaciale, che ha provocato alluvioni e terremoti su tutto il globo.(2) O si può trattare di più episodi eccezionali, che hanno riguardato diverse regioni del globo in tempi diversi, che col tempo e col linguaggio del mito hanno finito per assomigliarsi.
L’accadimento di una catastrofe di proporzioni eccezionale è un dato che si può dare per scontato.

Amnesia
L’uomo ha la tendenza a dimenticare il passato, quindi la persistenza di questo mito dimostra l’eccezionalità dell’evento diluvio. Non ci interessa focalizzarci sul singolo fatto, ma sulle teorie cicliche delle catastrofi. La diffusione di tale teorie in vari popoli, potrebbe dimostrare le difficoltà che ha incontrato l’uomo nel creare una civiltà, il passaggio da uomo raccoglitore-cacciatore a uomo agricolo, stanziale, con precise conoscenze agricole, matematiche e astronomiche e sulla conservazione dei cibi e altre. Questo processo può essere avvenuto più volte, in vari parti del mondo e puntualmente una catastrofe, un'epidemia, un terremoto o altro ha distrutto sul nascere tali tentativi. L’uomo ha dovuto ricominciare daccapo, fintanto che le conoscenze acquisite si siano diffuse e il numero degli uomini aumentato, fattore da non trascurare.
Il progresso umano non è un processo lineare come molti libri di storia lasciano intendere. Alcune scoperte l’uomo le ha dovuto fare più volte. Anzi lo stesso processo scientifico si basa sulla distruzione del saper precedente. Da un articolo del Il Sole-24Ore: “Sul versante della
critica interna ai processi di produzione, Lévy-Lleblond osserva per prima cosa che la scienza dimentica il proprio passato ed è costretta a riscoprirlo, sprecando tempo e sforzi. Poiché costruisce sapere sulla distruzione di quello precedente, la sua smemoratezza le è stata utile, ma ora è talmente sistematica da diventare controproduttiva. La dinamica dei fluidi, un campo già dissodato dai matematici dei primi del secolo, ha dovuto essere riconquistata con fatica; la malattia dell’olmo ha ucciso milioni di alberi negli anni ’70 ma si sapeva come curarla dal secolo scorso; perfino la scoperta che la gastrite è un malattia infettiva era già avvenuta un secolo fa.”(3)
Un altro brano tratto da un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno: “Alcune innovazioni sono già state fatte decenni fa e alcuni insuccessi erano già prevedibili: la pericolosità e la tossicità del piombo tetraetile – l’antidetonante delle benzine ormai quasi definitivamente eliminato dalle benzine in commercio, quelle che si chiamano “con piombo” – erano ben conosciute da chi aveva scoperto la nuova sostanza negli anni venti del Novecento. Alcuni processi per diminuire l’inquinamento atmosferico erano già stati inventati nella metà dell’Ottocento e poi accantonati. Gli attuali processi di riciclo dei rottami metallici sono stati inventati un secolo e mezzo fa.”(4)
Come si evince da questi passi l’uomo ha la spiccata tendenza a dimenticare. Se questo è avvenuto nel nostro mondo industrializzato e scientifico è certo che in una civiltà primitiva è accaduto con proporzioni ancora maggiori.

Difficoltà del progresso
“Fin dall’alba della storia gli uomini hanno dovuto fare lavori terribilmente faticosi. Tutto questo ha ritardato non poco l’evoluzione umana. Quanti di quelli che dovevano lavorare come bestie nei campi sarebbero potuti diventare degli Aristotele o dei Michelangelo, degli Shakespeare o dei Beethoven? Ma non fu mai insegnato loro altro che il necessario a compiere i loro stupidi lavori. Dovettero essere mantenuti in uno stato di inferiorità per necessità economiche.” The Sendai, 1980 William Woolfolk.
Questo brano tratto da un libro di fantascienza in cui si racconta la nascita di una razza di schiavi per alleviare l’uomo dalla fatica del lavoro, mette bene in evidenza le difficoltà del progresso. Il progresso richiede risorse. L’uomo per progredire ha bisogno della spinta dell’ambiente, delle difficoltà per pensare sistemi per sottrarsene, ma ha anche bisogno di tempo e di risorse per studiare e trovare una soluzione. Questo non sempre è stato possibile. Spesso l’uomo assorbito dalle fatiche della sopravvivenza non avuto i mezzi per progredire.
Dopo l’ultima glaciazione, il miglioramento del clima ha portato delle condizioni di vita migliori per l’uomo. L’uomo è diventato stanziale e si ha avuto un incremento demografico. Piccoli villaggi di 150-200 persone di raccoglitori, pescatori o cacciatori. L’essere stanziali ha portato all’osservazione dei cicli vegetali e della scoperta di come l’acqua sia fondamentale per le piante. La prima pratica agricola sarà stata l’innaffiamento di campi selvatici. Poi ci sarà stata la scoperta dei semi e la nascita di vere e proprie pratiche agricole. E così per l’allevamento. L’essere stanziali è un prerequisito fondamentale, ma anche la numerosità. Questo spiega la crescita esponenziale delle conoscenze umane avvenuta solo negli ultimi millenni. Prima l’uomo era impossibilitato a fare certe scoperte. Inoltre c’è un problema di massa critica. La conquista delle prime conoscenze ha comportato sforzi maggiori delle scoperte avvenute dopo. E’ come una bomba atomica quando c’è l’innesco c’è una esplosione catastrofica, ma senza innesco il tutto rimane inerte. Il numero degli uomini è importante, perché una scoperta per essere tramandata con sicurezza deve essere diffusa. Immaginate un’epidemia che porti alla scomparsa del primo villaggio dove è stata scoperta l’agricoltura. Bisogna ricominciare tutto da daccapo. Ma se invece la scoperta viene diffusa al villaggio vicino e poi ad altri fino ad essere diffusa in un ampio areale la possibilità che tale conoscenza scompaia si riducono notevolmente.

Il mito dell’Età dell’Oro e i Civilizzatori
L’uomo tende a mitizzare il passato. È un atteggiamento tipicamente umano. Quante volte abbiamo sentito ai nostri nonni raccontare il passato come età migliore dell’attuale, dimenticando la fame e le privazioni provate. Supponiamo, che nella sua storia, abbia sempre proceduto per prove ed errori.
A un certo momento della storia, si è creato un embrione di civiltà, (per civiltà intendiamo una società agricola stanziale), e questa per qualsiasi motivo si è spenta, lasciando pochi individui derelitti. Questi ultimi avranno rimpianto il loro passato creando il mito dell’età dell’oro. E se questo processo si è ripetuto più volte, in diverse regioni del nostro pianeta, potrebbe spiegare il perché dell’esistenza di tale mito in tutte le civiltà passate. Un’altra ipotesi potrebbe essere che la civiltà abbia avuto un unico grembo è che le periodiche catastrofi, anche di portate minore tipo carestie dovute a siccità, abbiano costretto gruppi o singoli individui a migrare in altre terre, portando con sé conoscenze, che a agli occhi di uomini allo stato primitivo di raccoglitori, saranno sembrate magiche. Queste ipotesi potrebbero spiegare i miti simili a quello di Prometeo, di individui superiori apportatori di conoscenza e di civiltà. Immaginate lo stupore che hanno potuto provare uomini che ancora non conoscevano il fuoco, quando si sono trovati davanti un uomo che gli insegnava ad usarlo. Una scoperta eccezionale: potevano scaldarsi, cuocere il cibo, difendersi dagli animali, indurire le punte delle frecce, vedere di notte!
In tutte le parti del mondo esistono leggende su mitici civilizzatori. In Sudamerica nelle regione andina si parla di Viracocha. In Messico i Maya raccontano la leggenda di Quetzalcoatl. In Egitto,
Osiride, lasciò il regno nelle mani di Iside e insegnò agricoltura e allevamento bestiame, costruì canali, argini in giro per il mondo: Etiopia, Arabia e poi India.
L’origine di queste leggende è con molta probabilità in comune con il mito dell’età dell’oro.

Comunicazione e metodologia della trasmissione del sapere
La civiltà può aver avuto più inizi e non essere stata un processo lineare come molti vogliono farci credere. Oggi l’uomo può contare su sei miliardi di individui e su risorse che solo confrontate con quelle del secolo scorso si possono solo definire sterminate. L’uomo nei millenni passati era solo una delle tante creature che popolavano il pianeta. Il suo numero, gli storici lo hanno stimato intorno ai 10 milioni. Tale numero era suddiviso sull’intero pianeta. Quindi l’uomo viveva in comunità di piccole dimensioni. I trasporti erano difficili e quindi la comunicazione era perlomeno difficoltosa. Supponiamo che qualcuno abbia scoperto un metodo per cuocere la terracotta. Innanzitutto, per interesse professionale l’artigiano non ha interesse a divulgarlo, anzi è vero il contrario, ma se anche volesse diffondere il suo metodo, avrebbe notevoli difficoltà. Quindi una scoperta, può essere stata fatta più volte, prima di diffondersi a livello generale.
Un esempio è la scoperta dello zero fatta dagli indiani da cui, tramite gli arabi è arrivato in occidente, e dai Maya. Le due civiltà non erano in comunicazione e quindi non hanno potuto approfittare delle reciproche conoscenze, che avrebbe permesso ad una civiltà di impiegare le risorse per scoprire lo zero per altre cose, facendo crescere il livello delle conoscenze delle due società ad un livello superiore per ambedue.
Un altro fattore da non trascurare è la metodologia della trasmissione del sapere. Anche oggi in un mondo in cui l’informazione sembra a portata di mano esistono zone oscure in cui è impedito l’accesso. Basti pensare a quanta tecnologia militare è chiusa in sicuri bunker inaccessibili ai più. O un esempio, più banale, ma forse più emblematico, la formula della Coca Cola, uno dei segreti meglio custoditi del mondo. Anche in passato la trasmissione del sapere è stata soggetta a questi vincoli. E così l’artigiano trasmetteva le sue scoperte ai suoi allievi, che avrebbero fatto lo stesso, mantenendo un vincolo di segretezza. Le corporazione medievali adoperavano gli stessi vincoli, presenti anche nella leggenda massonica di Hiram. Un altro esempio è l’arte della metallurgia ammantata da oscuri simbolismi dai sacerdoti egizi per mantenere il loro segreto e il loro potere. Provate a immaginare una società in cui la scienza è patrimonio di pochi. Non dimentichiamo che il sapere è uno dei pilastri del potere. È sufficiente un disastro, anche una semplice guerra, che stermini la classe egemone per far regredire la società ad un livello di molto inferiore.
La diffusione della civiltà e l’aumento del numero degli uomini è la premessa per evitare ritorni ad uno stato primitivo. Per questo la civiltà appena nata sarà stata una pianta fragile, soggetta a frequenti ritorni al passato, fintanto non ha raggiunto un livello tale da consentire un progresso più o meno continuo. Si ricordi della parentesi altomedievale, in cui il livello della civiltà europea è regredito, e in cui la civiltà araba ha avuto il compito di preservare parte del patrimonio culturale classico. Un esempio di come un maggior numero di uomini può preservare la cultura. Una parte del mondo regrediva e un’altra progrediva, e la civiltà nel suo complesso proseguiva il suo percorso.

Conclusione
Il mito di una civiltà che ha preceduto la nostra nasce da accadimenti reali. Però resta un problema aperto. La presenza di miti simili in svariate culture in tutto il globo potrebbe far pensare ad un’origine comune dei miti e quindi all’esistenza di una civiltà planetaria che ha preceduto la nostra. Questa ipotesi si potrebbe chiamare Atlantide di Platone o Atlantide planetaria. Ma c’è un’altra ipotesi da prendere in considerazioni. La nascita e la scomparsa di più civiltà nel passato. Si potrebbe chiamare semplicemente ipotesi delle catastrofi ricorrenti o ipotesi delle Atlantidi locali. Le scomparse di queste civiltà hanno potuto far nascere miti simili o comunque che col tempo hanno assunto una forma simile. Queste civiltà potrebbero non essere state in collegamento fra loro per motivi o geografici o temporali. Temporali nel senso che potrebbero essere sorte e scomparse in periodi tali da rendere impossibile il contatto. Una civiltà può essere sorta quando l’altra era già scomparsa.
Se si trovano rovine antiche anche simili in diversi parti del mondo non è detto che appartengano ad un’unica civiltà planetaria, ma possono appartenere a diverse civiltà locali e soltanto assomigliare. Dire che ci sono delle civiltà scomparse è dire niente di nuovo. Qualcuna è stata trovata, altre sono sotto terra. Recente la polemica sull’Atlantide giapponese da parte di West. Potrebbe trattarsi dell’Atlantide planetaria o solo di una Atlantide locale. Il linguaggio del mito può far sembrare che si tratti degli stessi eventi, accadimenti simili. Non dimentichiamo la smemoratezza umana e la sua fantasia. Certo molte coincidenze potrebbero far pensare ad una civiltà planetaria, ma non è detto.
Non nego che sia potuta esistere una Atlantide planetaria, ma molte cose sono spiegabili con l’esistenza di più civiltà scomparse. Forse la civiltà umana nella sua evoluzione deve attraversare comunque delle fasi obbligatorie e questo potrebbe implicare la presenza di similitudini fra civiltà diverse sorte in epoche diverse in diversi luoghi. È un'ipotesi un po’ forte, perché sembrerebbe negare un certo libero arbitrio che si presume sia una caratteristica tipicamente umana. In realtà è ciò che fanno gli storici con la loro descrizione della storia mediante l’età della pietra, del rame, del ferro e così via. Quanto questa divisione è arbitraria è evidente, perché se la storia dell’uomo è come linea di trend improntata ad un continuo progresso, non si può certo nascondere i frequenti inceppamenti e ritorni al passato. Un po’ come l’indice di borsa. Nel lungo periodo si può dire che è sempre crescente, ma se si esaminano periodi più brevi si vedono anche i frequenti ribassi e addirittura i tracolli, come quello del 1929 o del 1986 o delle più recenti crisi, asiatica e russa e l’ultima, dei mercati dei titoli tecnologici. Questa ipotesi, per quanto forte, ha una sua validità, per lo meno a grandi linee o potremmo dire come linea di trend.
Un’ulteriore ipotesi è che siano vere entrambe, sia quella dell’Atlantide planetaria, sia quella delle Atlantidi locali. Quest’ultima è la più difficile da appurare.
Non mi azzardo a suggerivi quale delle tre possa essere la più attendibile.
La mia personale simpatia va alla terza ipotesi per un semplice ragionamento alla Murphy. Visto che le cose tendono sempre a complicarsi e mai semplificarsi e considerato che la terza è la più difficile da appurare e anche la più confusa, sarà sicuramente la più probabile. Naturalmente, prendete quest'idea per quella che è, un semplice escamotage per chiudere l’articolo con un guizzo di ironia, perché sinceramente non so dirvi quale delle tre ipotesi possa essere la più realistica.

Note:
1) Impronte degli dei pag. 247.
2) La massa dei ghiacci, col suo peso ha impedito in alcuni casi lo scorrimento delle varie placche. L’energia si è andata accumulando nei millenni. Lo scioglimento repentino dei ghiacci, oltre a provocare inondazione, ha liberato queste immense energie provocando terremoti e maremoti che si possono definire, senza esagerazioni, di proporzioni bibliche.
3) “Una scienza a prova di cultura” articolo di Sylvie Coyuaud, tratto da “Il Sole24ore” del 7/2/1999.
4) “Innovazione in Italia? Si provveda di ufficio” articolo di Giorgio Nebbia tratto da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 12/3/2000.

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QUANDO IL NORD ERA SUD

La maggior parte di noi è convinta che il nostro pianeta dacché è nato si sia mantenuto pressoché intatto così come noi lo conosciamo oggi.
Certo milioni e milioni di anni fa il paesaggio non sarà stato come oggi lo conosciamo, ma, perbacco l'Italia anche se non perfettamente uguale a quella odierna, fu esattamente nella stessa posizione. Milano, se fosse esistita, sarebbe stata al nord e Palermo al sud. Soddisfatti di questa sicurezza non crederemmo a nessuno che ci dicesse il contrario, anche per una sorta di paura. Se un cataclisma ha potuto scambiare i punti cardinali, nulla ci vieta di credere che così come un simile fatto è successo una volta non possa accadere ancora, magari domani stesso.
Fautore di una cosi' incredibile teoria è stato uno scienziato americano, Immanuel Velikovski. Egli asseriva che circa 10mila anni fa, il polo nord si trovava localizzato nella attuale terra di Baffin (nei pressi del Canada del nord) e il globo terrestre ruotava su un asse non inclinato così da determinare clima uguale in tutte le stagioni.
Una cometa, o un pianeta errante (Venere?) venne a sfiorarci talmente vicino che il nostro pianeta ne fu sbilanciato e incendiato. Le città ne furono sconvolte, le foreste incendiate, le montagne crollavano mentre tutto era in agitazione. Dal cielo cadevano meteoriti incandescenti che andavano a sconvolgere ancora di più la già terribile situazione.
Le banchine dal polo nord andarono alla deriva provocando un terribile maremoto nel loro sciogliersi.
In tutto questo terribile crescendo di avvenimenti riuscirono a salvarsi sparuti gruppi di umanità insieme a pochi esemplari di fauna e di flora. Il tutto durò forse solo qualche giorno, ma si sa, la natura quando vuole sa distruggere tutto in pochi attimi.
Durante questi sconvolgimenti la Terra si capovolse completamente, tanto che il polo sud divenne polo nord e viceversa, l'est e l'ovest cambiarono anch'essi di posto.
Credere a tutto ciò non è facile, però alcuni elementi ci inducono a pensare che, forse, qualcosa deve essere successo.
Nel papiro egizio chiamato "HARRIS" si fa riferimento al fatto che dopo un cataclisma cosmico il "sud divenne nord e la Terra si capovolse".
Il papiro "IPUWER'" dice più o meno la stessa cosa: "il mondo prese a girare a rovescio; come se fosse su una ruota di vasaio e la terra si è capovolta.
Il papiro "ERMITAGE", conservato al museo di Leningrado dice anch'esso che il "mondo si è capovolto".
Platone nei dialoghi (Il politico) parla dell'inversione del corso del Sole, dell'annientamento dagli uomini, ed Erodoto, il padre della storia, afferma che i sacerdoti egizi, dicevano che numerose volte il Sole era sorto dove ora tramontava e viceversa.
I polinesiani, i cinesi, gli indù e gli esquimesi sono stati essi pure testimoni di questi fenomeni.
Tra tutte queste testimonianze si inserisce una scoperta archeologica di grande importanza e che a suo tempo mise in imbarazzo gli studiosi. Si tratta di due carte del cielo dipinte sul soffitto della tomba di Senmut architetto della regina Atshepsut. Una delle mappe è normale, con i punti cardinali collocati nei punti giusti, ma sull'altra, in funzione della posizione delle stelle l'est è a sinistra e l'ovest a destra. Tutto ciò ha un indiscusso valore allorché si trova rappresentato nella tomba di un personaggio che per professione studiava il cielo e che quindi lo doveva conoscere molto bene.

image Soffitto della tomba di Senmut

Per inciso, ricorderemo che la regina Atshepsut è della XVIII dinastia, (1500 a.C.). L'architetto Senmut visse nell'epoca durante la quale (secondo Velikovski) sarebbe avvenuto il cataclisma terrestre. La carta della tomba potrebbe dunque rappresentare un avvenimento a lui contemporaneo.
Dulcis in fundo, esistono in molte zone vulcaniche, lave polarizzate in senso inverso al campo magnetico locale. La cosa è spiegabile solo ammettendo che la cristallizzazione di queste lave sia avvenuta in un'epoca durante la quale i poli erano diversi da oggi.



Il fascino di una teoria su ATLANTIDE

ATLANTIDE era una terra splendida, occupata da un popolo di marinai fieri che sembrava disporre di tecniche avanzate e dei segreti dell'architettura monumentale. La capitale era un vero gioiello, ma la perfezione di questo regno non doveva durare a lungo.
Mentre il popolo di Atlantide affondava nella corruzione ed nel materialismo, le stelle si sono mosse nel cielo ed il sole si è alzato in un punto diverso dall'orizzonte. Un maremoto apocalittico fece scomparire il regno di Atlantide sotto un'inondazione che lo cancello dalla faccia della terra.
Questo è il mito di Atlantide descritto, quattro secoli prima della nostra era, dal filosofo greco Platone. Oggi, oltre 2.000 anni dopo il resoconto di Platone, una coppia di Canadesi - Rand e Rose Flem Ath – ha fatto rivivere questa civilità dopo 20 anni di studi ad essa dedicati. Abbandonando temporaneamente la loro casa di Nanaimo, sull'isola canadese di Vancouver, i Flem Ath sono venuti ad indagare in Europa, precisamente allo British Museum di Londra. È là, nelle sale di lettura di una biblioteca dove molte scoperte erano state già fatte, che hanno esumato i documenti che permettono loro di costruire un'ipotesi stupefacente. Correlando scoperte scientifiche moderne con vecchi manoscritti e carte dimenticate da tutti, i Flem Ath sono, a poco a poco, arrivati ad una conclusione inattesa: le vestigia della civiltà perduta di Atlantide sarebbero nascoste sotto i ghiacci dell'Antartico, dall'anno 10000 prima a.C.
Secondo Platone, Atlantide fu effettivamente distrutto da un cataclisma 9600 prima di Cristo: cioè circa 1000 anni prima dell'arrivo della civilizzazione moderna. Ma Platone non è il solo a riportare questo fatto. Le leggende degli indiani d'America, la mitologia orientale o anche la bibbia parlano della scomparsa improvvisa di una terra favolosa e lontana a seguito di un'inondazione.
Gli Flem Ath hanno scelto di non considerare attendibili le tesi secondo le quali le vestigia di Atlantide sarebbero in fondo all'oceano atlantico, al Mediterraneo, o sotto il Sahara. Le loro ricerche si sono soprattutto basate sui dati geologici esposti, nel 1953, da un universitario americano del nome di Charles Hapgood. Quest'ultimo sviluppava l'idea seguente: il peso crescente delle calotte glaciali situate ai poli del nostro pianeta esercita una pressione crescente sulla crosta terrestre, tanto e tanto che questa si muove e scivolerebbe come la buccia di un'arancia che si spreme. Albert Einstein scriverà a Hapgood: Le "vostre argomentazioni hanno del peso ed ho la sensazione che la vostra ipotesi è corretta." Come garanzia supplementare, il celebra fisico scriverà l'introduzione del lavoro che Hapgood pubblicherà nel 1958.

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Questi movimenti della crosta terrestre sono oggi conosciuti sotto il nome di "deriva dei continenti" o di "tettonica delle placche". Ma, secondo i dati attualmente disponibili, la crosta terrestre non si muoverebbe effettivamente di 16 km circa in uno milione di anni. Ma Hapgood suggeriva movimenti di qualsiasi altra ampiezza, ed in particolare una deriva improvvisa ed uniforme della crosta terrestre che avrebbe molto bene potuto generare un sisma tale che interi continenti sarebbero cancellati della carta geografica.
Se una civilizzazione avanzata come quella di Atlantide è esistita diecimilla anni prima di Cristo, è possibile che abbia previsto il cataclisma e che lo sgombro della popolazione sia stato anticipato. Se non è stato così, è tuttavia possibile che alcuni superstiti abbiano cercato rifugio in terre salvate dal maremoto e posizionate ad una certa altitudine. Località come il lago Titicaca, nella cordigliera delle Ande, come pure i piatti della Tailandia e dell'Etiopia rispondono a questo criterio di sicurezza. Ed è, stranamente, in queste regioni che apparì l'agricoltura, verso il 9600 a.C. Colpito dalla coincidenza cronologica tra la nascita delle tecniche agricole ed il cataclisma di Atlantide riportato da Platone, i Flem Ath si sono allora chiesti: è possibile che i superstiti di Atlantide siano all'origine degli inizi dell'agricoltura mondiale?
È anche probabile che i superstiti abbiano, nella loro fuga, portato via alcuni oggetti. Questo poteva essere confermato in modo indiretto. Nel 1956, Charles Hapgood ebbe tra le mani molto una vecchia carta marittima, disegnata nel 1513 dall'ammiraglio turco Piri Reis. Hapgood fu sorpreso della precisione della disposizione della costa orientale del Sudamerica su questa carta, completata in un'epoca in cui di questa parte del mondo non era stata eseguita completamente la cartografia. La sorpresa fu completa quando Hapgood si accorse che l'Antartico appariva anche sulla carta, mentre questo continente era stato scoperto soltanto in 1820, cioè tre secoli più tardi! Consultati, gli esperti dell'aviazione militare USA sono rimasti molto perplessi di fronte a questa constatazione. Comparando la carta di Reis a rilevamenti geologici dell'Antartico che datano 1949, constatarono che le due posizioni erano quasi identiche! La relazione dell'aviazione militare USA concludeva che "la disposizione delle coste è stata rilevata prima che queste fossero state coperte dalla calotta glaciale." La precisione dei dati che appaiono su questa carta resta un mistero tenuto conto dello stato delle conoscenze geografiche nel 1513. Hapgood scovò una seconda carta "miracolosa", quella di Oronteus Finaeus (1531). Tutto l'Antartico vi appariva, con numerosi dettagli, come la posizione delle montagne, pianure e fiumi. Altrettante particolarità che apparivano tanto nello studio geologico del 1949 che nei resoconti fatti da Platone, oltre due mille anni prima. La disposizione delle carte di Piri Reis e di Finaeus, la cui autenticità è stata provata, si ispirava dunque a carte molto precedenti, di conseguenza disegnate da un popolo che disponeva di un controllo tecnico incomparabile per la sua epoca.
Il fatto che rilevamenti così dettagliati siano giunti tra le mani di cartografi dello XVI° secolo accredita la tesi dei coniugi Flem Ath sulla fuga dei superstiti di Atlantide. Per sostenere ancora di più la loro ipotesi, hanno dedotto che una civilizzazione australe si sarebbe, necessariamente, potuto sviluppare soltanto sotto un clima temperato e su una terra fertile capace di nutrire una popolazione crescente. Considerando l'Antartico spostato di una distanza compatibile con le proiezioni geologiche di Charles Hapgood, cioè circa 3200 km al Nord del cerchio polare, ci si trova effettivamente sotto latitudini che permettono ad un popolo di marinai di prosperare...

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L'esistenza di questa civilizzazione permetterebbe di spiegare l'origine di monumenti diffusi nel mondo intero e costruiti per mezzo di tecniche così avanzate per i loro tempi che sfidano ogni spiegazione razionale. È in particolare il caso dei tempi dell'America latina, attribuiti alle civilizzazioni azteco, toltèche o maya. Questa tesi può anche applicarsi alle piramidi dell'Egitto poiché, secondo recenti studi archeologici, sembrerebbe chela Sfinge di Gaza sia molto più antica di quanto si pensava. Ne testimoniano nel sito le tracce di un'erosione legata a diluvi non si sono potuti potuti verificarsi che 10000 anni fa, cosa che va contro l'attribuzione delle piramidi alla civilizzazione egiziana, sorta nel 4000 a.C. La disposizione delle piramidi suggerisce questo legame con Atlantide. Scienziati infatti hanno scoperto che le piramidi dell'Egitto erano disposte secondo uno schema che corrisponde esattamente a quello di una zona della costellazione di ORIONE, così come questa appariva nel 10450 prima di Cristo, cioè bene prima degli inizi della civilizzazione egiziana...
Questi dibattiti storici non hanno nulla di rassicurante. Infatti, si sa che la carta stellare evolve ogni anno (quest'evoluzione diventa significativa al termine di un ciclo di circa 2600 anni) poiché la terra non gira esattamente sul suo asse, ma oscilla molto leggermente. Quest'oscillazione della sfera produce anche un'inversione dei poli magnetici: il campo magnetico terrestre si inverte circa ogni 500.000 anni. Dato che questo fenomeno è intervenuto per l'ultima volta 780.000 anni fa circa, gli scienziati pensano che si riprodurrà più o meno a breve termine. Ma quest'oscillazione rischia di essere improvvisa ed accompagnarsi a tutta una serie di disastri: condizioni meteorologiche anormali, perturbazione delle linee magnetiche seguite nel loro tragitto dalle specie animali migratorie...
Non andiamo oltre e lasciamo il lettore a trarre sue conclusioni.

Tutto da: FONTE

 
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