Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro

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jasmine23
view post Posted on 25/11/2007, 20:09




GIUSEPPE BALSAMO, CONTE DI CAGLIOSTRO

Palermo 1743. In una città sporca, povera e sovrappopolata, il quartiere dell’Albergarìa è uno dei posti più malfamati: prostitute, ladri, indovini, trafficanti ne fanno una specie di “casbah” sporca e insicura. E’ in questo contesto che il 2 giugno 1743 nasce Giuseppe Balsamo: la sua casa natale si trova in quello che allora si chiamava il vicolo della Perciata e che oggi ha preso il nome di vicolo Conte di Cagliostro.

Il padre del bambino, Pietro Balsamo, è un mercante di bigiotteria che ha alle spalle molti fallimenti e che morirà molto presto; la madre è Felicita Bracconieri e sopravviverà al figlio insieme alla sorella più piccola di Giuseppe: Giovanna Giuseppa Maria

La figura della madre è importante anche per capire due aspetti della vita del futuro Giuseppe Balsamo: il nome che si darà e il primo vero viaggio di formazione “esoterica” che farà. Una cugina di Felicita aveva sposato un certo Giuseppe Cagliostro, un benestante borghese di Messina, ed era stata madrina del piccolo Giuseppe. Anni dopo, come vedremo, non solo Giuseppe andrà proprio a Messina per un importante incontro, ma prenderà anche il nome di Alessandro Cagliostro, il nome che lo accompagnerà nella leggenda.

L’atto di morte redatto dall’arciprete di San Leo contiene parole durissime su Giuseppe Balsamo: «eretico, scomunicato, peccatore impenitente…». Di lui si dirà che era «nato infelice, era vissuto ancora più infelice e che infelicissimo era morto». Eppure la vita di Giuseppe era iniziata, come per tutti, con un bel battesimo nella cappella dell’incoronazione.

Morto il padre, Giuseppe viene affidato a degli zii materni e comincia a manifestarsi un’inquietudine interiore che non si fermerà mai e un’ansia di movimento che è tipica degli avventurieri dell’epoca e che verrà fermata solo dalle mura dei vari carceri in cui verrà rinchiuso: a Londra, a Castel Sant’Angelo di Roma, alla Bastiglia di Parigi, a San Leo ma anche Palermo…

Proprio a Palermo, a Palazzo Marchesi, Cagliostro verrà rinchiuso quando è già famoso. Ma la sua lotta contro il potere costituito e la giustizia erano iniziate già durante l’adolescenza. Gli anni della sua gioventù a Palermo sono una sfilza infinita di marachelle, piccole truffe, risse, fughe e punizioni corporali. Si mostra da subito irriverente, portato al comando, appassionato alla chimica, esperto falsario, spregiudicato. Ma su questa base presto si innesterà quella che sembra essere una vera e propria iniziazione esoterica

Nel 1764, in fuga da Palermo a causa di una truffa un po’ più grave delle altre, Cagliostro arriva a Messina dopo cinque giorni di navigazione. Affitta una stanza in una locanda del porto e la sera stessa conosce un uomo che gli cambierà la vita: si chiama Altotas, sembra che sia mezzo greco e mezzo spagnolo, ha una gran barba, parla un misto di arabo, italiano e francese ma soprattutto si vanta di possedere il segreto della pietra filosofale e di altri unguenti miracolosi. Sarà lo stesso Cagliostro a raccontare in seguito – forse forzando un po’ la realtà – che Altotas lo introdurrà ai misteri e agli insegnamenti dei sacerdoti egiziani e di essere stato condotto da lui in lunghi viaggi in Grecia, in Asia minore e in Egitto. Da quei viaggi e da quella esperienza Giuseppe Balsamo torna completamente trasformato. I viaggi di Cagliostro:

Tra il 1773, quando lascia per l’ultima volta Palermo e il maggio 1789 quando giunge a Roma, Cagliostro viaggia incessantemente per l’Europa, spesso accolto come una celebrità, a volte trattato come un impostore. Nel 1774 è a Malta, l’anno dopo in varie città della Francia e in Spagna e Portogallo. Nel 1776 è a Londra dove entra ufficialmente nella Massoneria. D’ora in avanti i suoi viaggi saranno destinati anche all’inaugurazione di logge del suo rito massonico-egiziano nelle principali città europee: Bruxelles, Amsterdam, Venezia, Francoforte, Lipsia, Berlino e poi San Pietroburgo. E’ il 1780. Poi va a Varsavia, Parigi, Strasburgo, in Svizzera e a Napoli. Nel gennaio 1785 si stabilisce a Parigi. Cacciato, l’anno dopo torna a Londra, poi in Svizzera e in Italia: Torino, Genova, Milano, Verona, Trento e Roma, dove verrà arrestato

Negli anni del successo la natia Palermo resterà un lontano ricordo per il Conte Cagliostro, divenuto grazie ai suoi poteri e alle sue guarigioni, una vera personalità a livello europeo. Una fama, a tratti decisamente sinistra, che lo accompagnerà anche dopo la morte. Per dare un’idea dell’impatto della figura di Cagliostro sull’opinione pubblica dell’epoca, basta ricordare un episodio, legato ad uno dei personaggi più importanti della cultura tra Settecento e Ottocento: Goethe. Giunto a Palermo nel corso del suo celebre «Viaggio in Italia», il grande scrittore tedesco volle subito andare a vedere la casa dove era nato Cagliostro e a parlare con la madre e la sorella che erano ancora vive.

Cagliostro e la Massoneria

Ufficialmente Giuseppe Balsamo diventa il Conte di Cagliostro il 12 aprile 1777. E’ quello il giorno in cui l’avventuriero siciliano viene iniziato alla massoneria a Londra. Sua moglie Serafina, in realtà Lorenza Feliciani, sposata a Roma il 20 aprile 1768, lo aveva preceduto, facendosi iniziare a sua volta qualche tempo prima. E’ un uomo molto diverso dal Giuseppe Balsamo che si conosce, quello che calca ora la scena, al punto di rinnegare egli stesso le proprie origini. Adesso è il Conte di Cagliostro, gran maestro della sua Loggia londinese e ben presto anche Gran Cofto di un rito tutto suo: quello della Massoneria Egiziana. Mischiando rituali massonici ad antichi riti egizi e orientali, Cagliostro dà vita a un’organizzazione iniziatica che si propone la rinascita dell’uomo attraverso lunghi e duri esercizi spirituali e all’osservanza di sei comandamenti e tre imperativi: si va dall’amore di Dio al rispetto del sovrano, dall’amore per il prossimo al rispetto per la natura, dal culto per la meditazione fino al rispetto rigido delle regole dell’Ordine. Per alcuni la Massoneria egiziana garantirà a Cagliostro onori e ricchezze ma alla fine si rivelerà la sua principale fonte di rovina, visto che gli portera’ l’accusa di eresia.

L’Affare della Collana

Con il 1785 l’astro di Cagliostro declina. L’inizio della fine coincide con l’esplodere del maggior scandalo del Settecento, scandalo passato alla storia come “L’affare della Collana”. In quegli anni Cagliostro è in Francia, dove tra le altre cose, ha assunto il ruolo di consigliere dell’influente cardinale Louis Rohan. Il cardinale, insieme ad una avventuriera, la contessa Jeanne Valois de La Motte, viene contattato da due gioiellieri sull’orlo del fallimento: avevano preparato una collana per la favorita di Re Luigi XV. Ma Luigi XV era morto prima di poter concludere l’acquisto e il suo successore, Luigi XVI non sembrava interessato alla cosa. Da qui le pressioni perché la regina Maria Antonietta chiedesse al marito di acquistare la fantastica collana composta da ben 575 gemme. Iniziò così un vortice di contatti segreti che avevano spesso come scenario i boschi del parco di Versailles, in particolare nei pressi del finto villaggio che la regina s’era fatta costruire presso il Trianon. Benché Maria Antonietta non volesse concludere l’affare, lo scandalo scoppiò ugualmente e l’opinione pubblica si convinse che la Regina pensava solo ai propri lussi senza curarsi dei problemi del Paese. Lo scandalo travolse la corona ma anche la De La Motte, Rohan e Cagliostro che pure aveva avuto un ruolo secondario nella vicenda ma la cui fama lo imponeva all’attenzione di tutti. Cagliostro, denunciato dalla de La Motte finì alla Bastiglia da dove poté uscire, assolto, solo dopo qualche tempo. Ma Luigi XVI gli ordinò di lasciare comunque subito la Francia. Cagliostro prese quindi la strada di Londra e da qui, pochi mesi dopo, spinto dal desiderio della moglie di rivedere i suoi parenti, mosse verso Roma. Decisione che si rivelerà fatale.

Da Roma Cagliostro viene trasferito ”senza speranza di grazia, e sotto stretta custodia”nella fortezza di San Leo, nel cuore del Montefeltro, il 20 aprile del 1791. Ci rimarrà fino alla morte, avvenuta la notte tra il 26 e il 27 agosto del 1795.

In realtà, già la partenza da Roma era stata tutt’altro che leggera per Cagliostro, costretto a una pubblica e umiliante abiura di tutto quello che aveva professato per lunghi anni: infatti l’esecuzione della sentenza avvenne nella pubblica cerimonia detta sermo generalis o autodafé. Davanti ad una folla acclamante vengono distrutti i libri e gli oggetti del rito egiziano. Avvilito, stanco dei maltrattamenti e delle torture, Cagliostro confessa e, in ginocchio e col capo coperto, ascolta la sentenza emessa alla presenza dello stesso Pio VI. La condanna a morte viene commutata nel carcere a vita ma lo scotto che deve pagare per questa concessione è umiliante, viene costretto infatti a percorrere un tratto di strada, in cui, con indosso un saio di tela grezza e in mano un cero, chiede pubblicamente perdono, alla mercé di un popolo sadico che lo deride e lo mortifica, mentre i suoi scritti e le insegne massoniche vengono gettate nel fuoco.

A San Leo viene sistemato in una squallida cella, e in seguito spostato nel «pozzetto», chiamato così perché sovrastato da una botola nel soffitto, munita di una vetrata dalla quale sorvegliare il prigioniero.

Non è possibile sapere cosa accadde esattamente nei pochi anni della prigionia: si sa che, piano piano le facoltà mentali abbandonarono Cagliostro, che ebbe forti attacchi di rabbia e furore che gli causarono ulteriori maltrattamenti e inasprimenti del regime carcerario.

Del resto il conte Sempronio Semproni, governatore e castellano di San Leo, riferirà a Roma che nessuna precauzione gli sembrava eccessiva nella sorveglianza di Cagliostro: «trattandosi di dover fare con un uomo, che ha un fondo inarrivabile di furberia e raggiro… (…) un vero estratto di malizia e furberia, per garantirsi dalla quale non basta ogni più oculata avvedutezza»

Ma c’era anche la paura che i molti seguaci che Cagliostro aveva un po’ in tutta Europa potessero tentare una qualche manovra per liberare il loro Maestro che, in fondo, aveva tanti nemici ma anche molti amici. Per impedire che Cagliostro possa in qualche modo scatenare una qualche reazione all’esterno il Cardinale incaricato della sorveglianza fa sapere che è stato disposto un «discreto uso delle battiture».

In carcere Cagliostro – che negli atti ufficiali viene chiamato «il Rilegato Balsamo» - alterna scioperi della fame a ostentate elemosine del cibo che rifiuta, pretende pasti curati e diversi da quelli degli altri carcerati, mostra di voler seguire la Messa e manifesta propositi suicidi, pretende biancheria e tovaglie, vuole la cioccolata tutti i giorni e riempie di graffiti e disegni le mura della sua cella. Convinto che anche la moglie sia imprigionata a San Leo chiede con insistenza che gliela salutino e che sia trattata con ogni riguardo.


A San Leo, Cagliostro vive, a ben vedere, tre clamorose contraddizioni:
Si preoccupa per la moglie che è la causa della sua rovina.
Si ritrova in una situazione che – lui noto esperto di arti divinatorie – non aveva previsto.
Infine, si ritrova condannato e perseguitato da quella Chiesa da cui aveva cercato in tutti i modi di essere riconosciuto e alla quale aveva chiesto il placet per il suo rito massonico-egiziano.

La fine di Giuseppe Balsamo o, se preferite, di Alessandro Conte di Cagliostro, arriva verso mezzogiorno del 26 agosto 1795: un colpo apoplettico gli fa perdere per sempre conoscenza. Una guardia lo trova privo di sensi e dà l’allarme ma i medici non riescono a farlo riprendere. Anche il parroco e altri sacerdoti cercano di farlo ravvedere in punto di morte ma Cagliostro ormai non sente più nulla. Muore alle quattro di notte, senza estrema unzione. La moglie era già morta da un anno nel convento di Sant’Apollonia

Ma neanche con la morte il legame tra Cagliostro e il mistero venne meno. La sua morte e la sua sepoltura vennero descritte in mille modi, tra il pittoresco e il leggendario: le ipotesi più suggestive contemplano la fuga in abiti da sacerdote, la morte cagionata dalla caduta dalla rupe, la misera sepoltura in una legnaia.

Descrizione funerale: «Il cadavere, tutto vestito, posto sopra una mezza porta di legno, venne portato a spalla da quattro uomini, i quali, usciti dal castello, scesero verso la spianata. Essi erano affaticati e sudavano (era di agosto) e, per riposarsi, ad un certo punto deposero il cadavere sopra il parapetto di un pozzetto, che ancora esiste, e andarono a bere un bicchiere di vino. Poi tornarono, ripresero il tragitto e giunsero al luogo del seppellimento. Io -che ero tenuto per mano da un mio parente- seguii il triste e misero convoglio che, non assistito da nessun sacerdote, assumeva un sinistro carattere di diabolica desolazione. A quella vista i rari passanti si allontanavano frettolosi facendosi il segno della Croce. Scavata la fossa, vi calarono il morto: sotto il capo misero un grosso sasso e sul viso un vecchio fazzoletto, quindi lo ricopersero di terra».

Tuttavia, l’episodio più inquietante accadde nel 1797, quando San Leo si arrese all’Armata della Repubblica Cisalpina guidata dal generale polacco Dombrowski che la occupò in suo nome. Per celebrare l’impresa, il generale concesse la libertà ai reclusi presenti nella fortezza e sembra che essi, unitisi ad alcuni soldati, cominciarono a scavare nel luogo in cui Cagliostro era stato sepolto. Rinvenuti i poveri resti, soldati ed ex detenuti, si servirono del teschio per brindare alla riconquistata libertà.

Fin qui quello che è possibile raccontare di Cagliostro. Ma era davvero un imbroglione o forse c’era qualcosa di veramente speciale in lui? Molti suoi contemporanei ne erano convinti, oggi è più difficile crederlo. .

FONTE






Cagliostro

Cagliostro , al secolo Giuseppe Balsamo, conosciuto soprattutto con il nome di Alessandro conte di Cagliostro (Palermo, 2 giugno 1743 – San Leo, 26 agosto 1795) è stato un alchimista e avventuriero italiano.
Fu condannato dalla Chiesa cattolica al carcere a vita per eresia e rinchiuso nella fortezza di San Leo.

Biografia

Un'infanzia difficile
Giuseppe Balsamo, nato da Pietro Balsamo, figlio di un venditore palermitano di stoffe, e da Felicita Bracconeri, fu battezzato l'8 giugno 1743 con i nomi di Giuseppe, Giovanni Battista, Vincenzo, Pietro, Antonio e Matteo.
Il padre morì poco tempo dopo la sua nascita e Giuseppe fu accolto nell'istituto per orfani di San Rocco, retto dagli Scolopi. Da quel collegio Giuseppe fuggì più volte, a testimonianza di un carattere giudicato ribelle a ogni educazione: per questo motivo la famiglia pensò bene di affidarlo, nel 1756, al convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone, affinché vi temperasse l'indole e vi imparasse un mestiere; così, nel convento, che era annesso all'Ospedale dello Spirito Santo, Giuseppe si interessò di erbe medicinali, delle loro proprietà e delle tisane utilizzate dalla medicina dell'epoca, una conoscenza che gli tornerà utile negli anni a venire.
Non è chiaro se scappò anche dal convento o se semplicemente vi fu dimesso; in ogni caso, tornato a Palermo, si rese responsabile di una truffa ai danni di un orafo, e per sottrarsi ai rigori della giustizia, sarebbe fuggito a Messina, dove avrebbe conosciuto un certo Altotas, forse un greco o forse uno spagnolo, con il quale avrebbe viaggiato in Egitto, a Rodi e a Malta, e che Cagliostro indicò come suo primo maestro, che l'avrebbe introdotto, nel 1766, nell'Ordine dei Cavalieri di Malta; queste notizie furono tuttavia fornite da Cagliostro in un suo Memoriale del 1786, nel quale egli intendeva sostenere la leggenda di una sua eccezionale formazione spirituale e vanno pertanto ritenute altamente improbabili: quello che è certo, è che sulla figura dell'Altotas la storia non ha mai fatto alcuna luce.

Il matrimonio
Nel 1768 il Balsamo è a Roma e vi è arrestato per una rissa nella Locanda del Sole, in piazza del Pantheon: dopo tre giorni, è rilasciato grazie all'intervento del cardinale Orsini, il maggiordomo del quale, don Antonio Ovis, aveva nel frattempo conosciuto. È ancora nel 1768, il 21 aprile, che Balsamo si sposa nella chiesa di San Salvatore in Campo con Lorenza Serafina Feliciani, una bella ragazza nata l'8 aprile 1751, analfabeta, figlia di un orafo. Il certificato di matrimonio è tuttora conservato e attesta che il Nostro si chiama effettivamente Giuseppe Balsamo ed è figlio del fu Pietro, palermitano: non vi è traccia di alcun titolo nobiliare, né in particolare del nome di Cagliostro.
A Roma il Balsamo, discreto disegnatore, vive falsificando documenti in complicità con due conterranei, un sedicente marchese Alliata e un certo Ottavio Nicastro, che morirà impiccato per aver ucciso l'amante. È proprio quest'ultimo, insieme con il suocero di Cagliostro, a denunciarlo come falsario e allora Giuseppe e Lorenza, con il marchese, abbandonano Roma per un lungo viaggio che li porta fino a Bergamo: qui, continuando la prediletta attività di truffatori, vengono entrambi arrestati, mentre l'Alliata riesce ancora a fuggire. Rilasciati, si trasferiscono in Francia - ad Aix-en-Provence conoscono Casanova, che definisce Balsamo «un genio fannullone che preferisce una vita di vagabondo a un'esistenza laboriosa» - e ad Antibes, dove con i proventi della prostituzione di Lorenza, si procurano il denaro per raggiungere, nel 1769, Barcellona.
Anche qui Lorenza viene spinta dal marito nell'accogliente letto di ricchi personaggi: insieme con uno di questi, un tale marchese di Fontanar, raggiungono alla fine dell'anno Madrid: mantenuti nel palazzo del marchese, cercano intanto di guadagnare l'amicizia di influenti personalità della capitale spagnola. Cacciati alla fine di casa, nel 1770 si trasferiscono a Lisbona, dove Lorenza diviene l'amante del banchiere Anselmo La Cruz.
L'anno dopo la coppia è a Londra: qui Cagliosto cerca perfino di guadagnarsi la vita onestamente disegnando pergamene, ma con poco successo e ancor meno profitto; perciò, con la complicità di un altro sedicente marchese, un siciliano di nome Vivona, organizza un ricatto ai danni di un ingenuo quacchero che, spinto ad amoreggiare dalla compiacente Lorenza, viene sorpreso da Cagliostro che, fingendosi scandalizzato per il tradimento della moglie, pretende che il suo onore debba essere risarcito soltanto con un'abbondante somma di denaro. Derubato però dall'infido complice, il Balsamo, rimasto insolvente con la padrona di casa, deve fare la conoscenza anche delle galere londinesi; ma il ricco sir Edward Hales, conosciuto, si può immaginare come, da Lorenza, lo tira fuori dal carcere pagandogli i debiti e, illudendosi che Cagliostro sia un bravo pittore, lo incarica di decorargli alcune sale del suo castello: naturalmente, veduti i disastrosi risultati dell'improvvisato affrescatore, lo caccia via, senza immaginare che l'italiano, tra una maldestra pennellata e l'altra, gli ha intanto sedotto la figlia.
Seguendo un vecchio copione, emigrano nuovamente: imbarcati il 15 settembre 1772 per la Francia, durante il viaggio conoscono l'avvocato francese Duplessis, amministratore dei beni della marchesa de Prie e, sulla traccia di quello stesso copione, giunti a Parigi e alloggiati nel palazzo de Prie, Lorenza diviene l'amante prezzolata del Duplessis sotto lo sguardo compiaciuto del disinvolto marito. Ma questa volta si assiste a un colpo di scena: Lorenza sembra voler cambiar vita, sistemarsi con quell'avvocato che, oltre a godere di notevoli rendite, appare perfino innamorato di lei. Rompe così con Cagliostro e, se non convive apertamente col Duplessis, perché una tale iniziativa, per una donna legalmente coniugata, costituirebbe un reato, va ad abitare in un alloggio pagato dall'avvocato e, con l'approvazione della marchesa, denuncia Cagliostro per sfruttamento della prostituzione.
A seguito della controdenuncia del Balsamo per abbandono del tetto coniugale, Lorenza è arrestata e passa quattro mesi nelle carceri parigine di Sainte-Pelagie; pur di uscirne, nel giugno del 1773, ritira la denuncia e ritorna col Cagliostro. Nuovi viaggi: Belgio, Germania, Italia, Malta, Spagna e infine, nel luglio 1776, nuovamente a Londra.

Cagliostro massone, mago, alchimista e guaritore
Anche se adottò definitivamente il nome di Alessandro Cagliostro, a Londra la sua vita non mutò: entrò e uscì dal carcere a causa di diverse truffe consumate - predizioni sui numeri estratti nel gioco del lotto o sottrazione di gioielli ai cui proprietari faceva credere di aumentarne il valore grazie alle proprietà miracolose di una polvere di sua invenzione - finché, il 12 aprile 1777 decise di iniziarsi, insieme con la moglie, alla Massoneria, nella loggia "L'Espérance", sita in una taverna di Soho.
Passati in Olanda, i due coniugi sono accolti a L'Aja nella loggia L'Indissoluble; sembra che il suo lunghissimo discorso, tenuto in una lingua in cui sono presenti parole di tutta l'Europa senza che nessuna sia pronunciata correttamente, abbia avuto grande successo e anche la moglie, che ora si chiama Serafina, contessa di Cagliostro, è riconosciuta valente massone. Ma era tempo di frequentare paesi nuovi: nel 1779 sono in Germania e poi in Curlandia, parte dell'attuale Lettonia, nella capitale Mitau, oggi Jelgava. Spacciatosi per colonnello spagnolo, tiene riunioni in cui fa credere di appartenere a una società segreta, organizzata secondo cinque livelli di elevazione spirituale, di avere e di far avere visioni mediante l'idromanzia, di evocare spiriti, di essere un sapiente la cui conoscenza si trovava In verbis, in herbis, in lapidibus, nella parole, nelle erbe e nelle pietre, il motto della sua setta. Semianalfabeta e improvvisatore, commette inevitabili errori di gusto, come quando dichiarò di essere in grado di soddisfare, con un sortilegio, qualunque desiderio sessuale o quando sostenne di essere figlio di un angelo.
A San Pietroburgo viene diffidato dall'ambasciatore di Spagna a non spacciarsi per spagnolo e un suo documento, col quale voleva attestarsi come un Rosacroce, viene riconosciuto per falso. Si presenta come anche come taumaturgo e ha l'accortezza di non farsi pagare dai poveri - solo dai ricchi - e se non ottiene nessuna guarigione, si guadagna simpatia e popolarità; ma basta l'inimicizia o l'incredulità di un potente per costringere i due italiani a partire: e così, nel maggio 1780, Giuseppe e Lorenza sono a Varsavia. Il massone, appassionato di alchimia, principe Adam Pininsky, lo ospita illudendosi che Cagliostro sia in grado di trasformare il piombo in oro: a questo scopo gli affianca il confratello massone August Moszynsky negli esperimenti di laboratorio. Questi pubblicherà nel 1786 un libretto sull'esperienze alchemiche del Nostro, riferendo come Cagliostro ottenesse l'oro dal piombo semplicemente sostituendo il ricipiente contenente il piombo con un altro eguale contenente l'oro.
A questo prevedibile infortunio si aggiunge quello scoperto ai danni di una ragazza, da lui sessualamente molestata, con la quale si era altresì accordato per la riuscita di altrimenti improbabili evocazioni spiritiche. L'esperienza polacca, come consuetudine, si conclude con la partenza improvvisa, il 26 giugno 1780, per la Francia. A Strasburgo si accontenta di fingersi medico: se le sue tisane a base di erbe, la cui ricetta si è conservata, si rivelano semplici placebo, le guarigioni di cancrene ottenute bevendo liquori sono naturalmente fantasie propalate da lui stesso, che ottenevano tuttavia l'unico effetto che realmente gli premesse: presentarsi al pubblico di tutta l'Europa come l'unico uomo capace di risolvere - a pagamento - qualsiasi problema. E la sua fama toccò il culmine proprio in quel decennio del secolo.

Il Rito Egizio
Il cardinale de RohanLouis René Édouard de Rohan, creato cardinale il 1° giugno 1778 da Pio VI, ricchissimo e altrettanto prodigo, di bell'aspetto e molto galante con le donne, di piacevole e leggera conversazione ma vanesio, di modesta cultura e di scarsa intelligenza, era stato a lungo ambasciatore di Francia a Vienna dove commise una grave gaffe diplomatica: descrisse l'imperatrice Maria Teresa come un'insopportabile ipocrita in una lettera inviata al duca d'Aiguillon, il quale la mostrò alla sua amante, la duchessa Du Barry, che a sua volta la fece leggere a Maria Antonietta, figlia di Maria Teresa e prossima regina di Francia. Così, quando Luigi XVI e Maria Antonietta salirono sul trono francese, nel 1774, il Rohan perdette il posto di ambasciatore ma non il consueto buonumore, dal momento che le sue rendite continuarono ad aumentare ugualmente e le sue avventure galanti rimasero numerose come prima.
Il cardinale, che passava buona parte dell'anno a Strasburgo, saputo della presenza in città di Cagliostro, lo invitò a palazzo e ne fu conquistato. Appassionato di alchimia, credette di ravvisare in Cagliostro un maestro; ritenendolo un infallibile medico, lo condusse con sé a Parigi perché si prendesse cura del cugino, il maresciallo Charles de Rohan, il quale, per sua fortuna, guarì senza dover ricorrere alle improbabili medicine dell'italiano.
Anni dopo Cagliostro cercherà di servirsi dell'influenza del cardinale per far legittimare dal papa, come fosse un qualsiasi Ordine religioso, il proprio "Rito Egizio", una curiosa specie di Ordine massonico-religioso, che egli dirà di aver fondato a Bordeaux nel 1784.
A conclusione del solito lungo tour che doveva portarlo in Inghilterra attraverso Napoli, Roma e la Costa Azzurra, giunto a Bordeaux l'8 novembre 1783, in maggio si ammalò e, forse in un delirio febbrile, come è scritto nel Compendio del suo processo, «si vide prendere per il collo da due Persone, strascinare e trasportare in un profondo sotterraneo. Aperta quivi una porta, fu introdotto in un luogo delizioso come un Salone Regio, tutto illuminato, in cui si celebrava una gran festa da molte persone tutte vestite in abito talare, fra le quali riconobbe diversi de' suoi Figli Massonici già morti. Credette allora di aver finiti li guai di questo mondo e di trovarsi in Paradiso. Gli fu presentato un Abito talare bianco, ed una Spada, fabbricata come quella che suol rappresentarsi in mano dell'Angelo Sterminatore. Andò innanzi ed abbagliato da una gran luce, si prostrò e ringraziò l'Ente Supremo di averlo fatto pervenire alla felicità; ma sentì da un'incognita voce rispondersi: Questo è il presente che avrai; ti bisogna ancor travagliare molto; e qui terminò la Visione».
Grazie a questa visione, che in verità sembra essere stata inventata lì per lì a uso e consumo dell'inquisitore che lo interrogava, Cagliostro si sarebbe convinto di avere la missione di fondare la Massoneria di Rito Egizio - l'Egitto era allora un paese praticamente sconosciuto e pertanto ricco di un misterioso fascino esotico - che avrebbe dovuto assorbire ogni altra. Si elegge Gran Cofto e crea la moglie - ora chiamata principessa Serafina e Regina di Saba - Grande Maestra del Rito d'adozione, cioè della Loggia riservata alle donne; fatta risalire l'origine di tale massoneria ai profeti biblici Enoch ed Elia, secondo una tradizione che vedeva nell'intervento di quei due profeti la premessa a un radicale mutamento della vita, con la successiva venuta di un "papa angelico" o dello stesso Cristo, Cagliostro sosteneva che scopo del Rito Egizio fosse la rigenerazione fisica e spirituale dell'uomo, il suo ritorno alla condizione precedente alla caduta provocata dal peccato originale, ottenuta, dal Gran Cofto e dai dodici Maestri che lo avrebbero assistito, con ottanta giorni di attività iniziatiche.
Per i nuovi aderenti, naturalmente, i tempi per raggiungere la perfezione sarebbero stati molto più lunghi: solo al dodicesimo anno di appartenenza, sarebbero potuti diventare maestri e prendersi cura dei nuovi iniziati. Ma solo lui, il Gran Cofto, rimaneva depositario di un mysterium magnum il cui contenuto è rimasto effettivamente avvolto nel mistero.
Con questo ambizioso programma Lorenza e Giuseppe, il quale per l'occasione si fa chiamare conte Phenix, giungono il 20 ottobre 1784 a Lione, dove esistono numerose Logge massoniche; Cagliostro riesce a procurarsi fra di esse i dodici maestri che gli abbisognavano subito e, comprato un terreno nell'attuale avenue Morand, provvede a far costruire la sede della sua Loggia, "La sagesse triomphante". I lavori erano ancora in corso quando i due coniugi partirono per Parigi, decisi a raggiungere il traguardo finale: il riconoscimento, da parte della Chiesa cattolica, del suo Rito Egizio.
Giunti a Parigi il 30 gennaio 1785, prendono un alloggio nel Palais Royal, di proprietà del duca Luigi Filippo d'Orléans (1747-1793), Gran Maestro della Massoneria francese e futuro Filippo Egalité, fonda in fretta due Logge, una per gli uomini e l'altra per le donne, entrambe frequentate da aristocratici. Tutto sembra andare per il giusto verso quando un evento inaspettato mandò all'aria i suoi piani.

Lo scandalo della collana
È nota la vicenda passata alla storia come lo scandalo della collana: nel 1774 il gioielliere di corte Boehmer aveva realizzato una elaboratissima collana di diamanti, del valore di 1.600.000 livres - poco meno di cento milioni di euro - una somma che forse solo una regina avrebbe potuto spendere, ma Maria Antonietta rifiutò l'acquisto. A questo punto entrarono in gioco due avventurieri, il conte e la contessa de la Motte, che organizzarono una truffa ai danni del cardinale de Rohan, convincendolo ad acquistarla per farne dono alla regina, riconquistandone così la sua amicizia - e forse anche altro - perduta dopo la gaffe da lui commessa nei confronti di Maria Teresa, madre della regina francese.
La collana, consegnata dall'inconsapevole cardinale a un complice dei due aristocratici imbroglioni, finì nelle mani del conte de la Motte, che cercò di venderla, smembrata, in Inghilterra ma la truffa fu scoperta e i colpevoli arrestati: la contessa de la Motte, per attenuare le sue responsabilità, accusò Cagliostro di essere l'ideatore del raggiro. Arrestato con la moglie il 22 agosto 1785, Cagliostro fu incarcerato nella Bastiglia.
Fu difeso dai migliori avvocati di Parigi, uno dei quali lo aiutò a scrivere in francese un suo Memoriale, di fatto un riassunto del tutto inattendibile della sua vita dalla nascita al suo arresto. Il 31 maggio 1786 il Parlamento di Parigi riconobbe l'innocenza dei due italiani, insieme con quella del cardinale, ma una lettre de cachet del re ordinò loro di lasciare Parigi entro otto giorni e la Francia entro venti; e così, il 19 giugno, Lorenza e Giuseppe s'imbarcarono da Boulogne per Dover.

Il declino
A Londra Cagliostro dovette fronteggiare una campagna di stampa scatenata contro di lui dal Courier de l'Europe, un giornale controllato dal governo francese, che per tre mesi rivangò il burrascoso passato di Cagliostro e Serafina, anzi - il giornalista Theveneau, l'autore degli articoli, era effettivamente ben informato - di Giuseppe Balsamo e di Lorenza Feliciani, le sue origini oscure, l'uso di molti nomi e di molti titoli, i veri e presunti imbrogli e i non rari arresti; Cagliostro, nel novembre 1786, rispose con la Lettera del conte di Cagliostro al popolo inglese per servire in seguito alle sue memorie in cui ammetteva: «non sono conte, né marchese, né capitano. La mia vera qualifica è inferiore o superiore a quelle che mi sono state date? È ciò che forse un giorno il pubblicò saprà! Intanto, non mi si può rimproverare d'aver fatto quel che fanno i viaggiatori che vogliono mantenere l'anonimato. Gli stessi motivi che mi hanno indotto ad attribuirmi vari titoli, mi hanno condotto a cambiare più volte il mio nome [...] Nessun registro di polizia, nessuna testimonianaza, nessuna inchiesta della polizia della Bastiglia, nessun rapporto informativo, nessuna prova hanno potuto stabilire che io sia quel Balsamo! Nego di essere Balsamo!».
Ma intorno a lui si va facendo il vuoto: lasciata Londra per Hammersmith nel marzo del 1787, dà lezioni di alchimia e subisce altri infortuni: un suo allievo sostituisce, a sua insaputa, il metallo che Cagliostro doveva "trasmutare" con del semplice tabacco e stranamente la trasmutazione si verifica lo stesso, con gran scandalo dell'allievo che gli rinfaccia la truffa, mentre intanto i suoi collaboratori massoni di Lione lo rimproverano di spendere per sé il denaro della Loggia. È nuovamente tempo di cambiare aria: il 5 aprile 1787, questa volta senza la moglie, raggiunge Bienne, in Svizzera.
Mentre è ospite del banchiere Sarasin, Lorenza, che è rimasta a Londra per liquidare i beni lì posseduti, viene avvicinata dal giornalista del Courier de l'Europe, al quale raccontò di maltrattamenti subiti dal marito e degli impedimenti che lui le poneva di professare la religione cattolica. Una volta raggiunto Cagliostro in Svizzera, Lorenza ritrattò tutto pubblicamente ma tutto riconfermò in una lettera spedita ai genitori, a Roma, lettera che verrà mostrata come prova a carico di Cagliostro durante il processo.
Nello stesso periodo in cui Balsamo era in Svizzera, Goethe, nel suo lungo viaggio in Italia, il 2 aprile sbarcava a Palermo proveniente da Napoli; curioso di raccogliere notizie di prima mano sulle origini del nostro famosissimo avventuriero, contattò il barone Antonio Vivona, rappresentante legale della Francia in Sicilia, dal quale prese visione dell'albero genealogico della famiglia Balsamo e della «perfetta identità di Cagliostro e Balsamo».

La testimonianza di Goethe
Goethe, che scrive di considerare Cagliostro «un briccone» e le sue avventure delle «ciurmerie», volle rendere visita alla madre e alla sorella, spacciandosi per «un inglese che doveva portare ai famigliari notizie di Cagliostro, giunto di recente a Londra». Abitavano in una misera casa di Palermo, composta di un solo grande locale, ma pulita, abitata dalla madre, dalla sorella di Giuseppe, vedova, e dai suoi tre figli. La sorella si lamentò di Giuseppe, che le doveva da anni una forte somma: da «quando era partito in gran fretta da Palermo, ella aveva riscattato per lui certi oggetti impegnati, ma da quel momento non si era fatto più vivo e non le aveva mandato né denaro né sussidi di alcun genere sebbene, a quanto si diceva, possedesse grandi ricchezze e conducesse una vita principesca. Ella chiedeva perciò se potevo prometterle, tornando in patria, di rammentargli con garbo quel debito e ottenere che le concedesse un aiuto finanziario».
Gli consegnarono una lettera per Cagliostro e, nel congedarsi, la madre lo pregò di dire al figlio «quanto mi hanno resa felice le notizie che Ella ci ha portato. Gli dica che lo tengo chiuso nel mio cuore così - e a questo punto spalancò le braccia e se le strinse al petto - che ogni giorno nelle mie devozioni prego per lui Dio e la Santa Vergine, che gli mando la mia benedizione, insieme a sua moglie, e che prima di morire vorrei solo che questi occhi, che tante lacrime hanno versato per amor suo, lo potessero rivedere». Lo invitarono a tornare a Palermo per la festa di Santa Rosalia - «gli mostreremo ogni cosa, andremo a sederci nel palco per ammirare meglio il corteo; e come gli piacerà il grande carro e soprattutto la fantastica luminaria!» e, quando fu uscito, «corsero sul balcone della cucina che dava sulla strada, mi chiamarono e mi fecero grandi cenni di saluto».
Goethe non li rivedrà più ma mandò poi, di sua tasca, la somma richiesta dalla sorella, 14 once d'oro, e pubblicò un ritratto di Cagliostro nell'opera Der Grosskophta.

Il ritorno in Italia
Intanto Cagliostro, in Svizzera, litiga con uno degli ultimi amici rimastigli, il pittore Loutherbourg, che lo accusa di insidiargli la moglie; si guadagna da vivere facendo il guaritore ma l'ambiente della cittadina svizzera è troppo angusto per lui, abituato a ben altri palcoscenici: il 23 luglio 1788 parte con Lorenza per Aix-les-Bains, di qui vanno a Torino ma ne vengono immediatamente espulsi e allora si recano a Genova passando, in settembre, per Venezia, poi per Verona e di qui nei territori imperiali, soggiornando un mese a Rovereto per poi raggiungere la città di Trento il 21 novembre.
A Trento è ben accolto dallo stesso principe-vescovo, Pietro Vigilio Thun, ed egli stesso mostrò grande deferenza nei confronti della confessione cattolica; giustificò la sua appartenenza alla Massoneria, spiegando di non averla mai considerata contraria alla fede religiosa e si dichiarò pronto ad andare a Roma, purché munito di salvacondotto. E a Roma, al cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, il 25 marzo 1789 scrive il vescovo di Trento, sostenendo che Cagliostro si è ravveduto e che la moglie «se ne vive in continui mentali spasimi, ardendo da un canto di costì rivedere il cadente quasi ottuagenario genitore, e dall'altro temendo che l'intollerante consorte non torni, non esaudito, nel pristino disordine, con evidente pericolo di perdervi l'anima». E al vescovo trentino il cardinale rispose il 4 aprile che «non avendo il signor Cagliostro alcun pregiudizio nello Stato Pontificio, non ha Egli bisogno del salvacondotto».
Rassicurato da questa lettera e comunque provvisto di un salvacondotto rilasciatogli dal vescovo Thun, oltre che di lettere di raccomandazione indirizzate a cardinali romani, il 17 maggio Cagliostro parte da Trento con Lorenza e dopo dieci giorni sono a Roma.
Alloggia dapprima in una locanda di piazza di Spagna e poi presso parenti della moglie a Campo dei Fiori. Se il suo scopo era quello di ottenere un'udienza dal papa, non fu accontentato e si comportò inizialmente con molta prudenza, come sapesse di essere spiato e temesse improvvisi pericoli; pensò anche di tornare in Francia, e a questo scopo indirizzò un Memoriale all'Assemblea francese che fu sequestrato, non appena consegnato alla posta, dalla gendarmeria romana.
Avvicinato un giorno da due spie del Governo pontificio, tali Matteo Berardi e Carlo Antonini, che gli chiesero di accoglierlo nella Massoneria, Cagliostro, senza sospettare di nulla, fece loro compiere le cerimonie iniziatiche, violando così la norma dello Stato pontificio che vietava, pena la morte, l'organizzazione di società massoniche. I due iniziati, soddisfatti di quanto avevano visto e ascoltato, sparirono prima di versare la quota di adesione. Curiosamente, Cagliostro riuscì ad affiliare alla Massoneria un frate cappuccino, Francesco Giuseppe da San Maurizio.

Arresto, processo e condanna di Cagliostro
In settembre, la moglie Lorenza denunciò Cagliostro al parroco di Santa Caterina della Rota, e la denuncia venne trasmessa il 5 dicembre al Sant'Uffizio: all'ultimo momento, Lorenza si era rifiutata di firmarla, ma venne ugualmente acquisita; il 27 novembre il padre di Lorenza, Giuseppe Feliciani e la spia Carlo Antonini avevano già denunciato Cagliostro. La decisione dell'arresto di Cagliostro - ma furono arrestati anche la moglie e fra' Giuseppe - fu presa ai massimi livelli, dopo una riunione del papa Pio VI con il Segretario di Stato a altri cardinali: nella notte del 27 dicembre 1789 Cagliostro viene rinchiuso in Castel Sant'Angelo, Lorenza nel convento di Sant'Apollonia a Trastevere e il cappuccino nel convento dell'Ara Coeli.
Le imputazioni contro Cagliostro sono gravissime: consistono nell'esercizio dell'attività di massone, di magia, di bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi, contro i culti della religione cattolica, di lenocinio, di falso, di truffa, di calunnia e di pubblicazione di scritti sediziosi: se provate, comporterebbero la pena di morte. Esse sono fondate in gran parte sulle dichiarazioni della moglie e su scritti e dichiarazioni rilasciate nel corso degli anni da Cagliostro; la linea difensiva dell'avvocato di Cagliostro, Carlo Costantini, consiste nel far considerare il suo assistito un semplice ciarlatano, in modo da eliminare tanto ogni credibilità che ogni serietà su quanto Cagliostro avesse mai scritto e sostenuto, relativamente almeno alle sue posizioni ideologiche, che sono quelle considerate di maggiore gravità, dal momento che esse pongono Cagliostro nella posizione di eresiarca; per il resto, occorre far passare Lorenza come una prostituta, una donna immorale e pertanto inattendibile: lei, «moglie, complice impunita e prostituta non può sicuramente somministrare non già una prova, ma nemmeno un indizio per aprire l'inquisizione», dal momento che, secondo la difesa di Cagliostro, ella intenderebbe accusare il marito per ricrearsi un'innocenza che non può appartenerle perché, se fosse vero quanto sostiene, anch'ella sarebbe colpevole quanto il marito.
Stabilito che gli ordinari rituali massonici sono di per sé suscettibili dell'accusa di eresia, quelli della Massoneria Egizia di Cagliostro sono giudicati certamente eretici e a conferma di questo assunto, negli interrogatori Cagliostro viene trascinato in discussioni teologiche: l'ignoranza di Cagliostro intorno alle nozioni più elementari di catechismo finisce per aggravare, agli occhi dei giudici del Sant'Uffizio, la sua posizione. Consapevole della situazione disperata in cui si trova, il 14 dicembre 1790 Cagliostro scrive al papa:
Papa Pio VI«Beatissimo Padre,
Giuseppe Balsamo, proteso ai piedi della S. V., reo di essere fondatore di una società massonica (senza però che sapesse che sì fatte società fossero proibite dalla Santa Sede) alla quale società diede una Costituzione non composta da lui, ma cavata da un libro manoscritto che gli venne alle mani in Inghilterra, sotto il nome di Giorgio Cofton, purgato da lui, come credette da tutto ciò che vi era di cattivo, e ben si persuadeva di averlo fatto quanto bastasse perché, data da leggere la detta costituzione al cardinal di Rohan e all'arcivescovo di Bourges, non fu da essi avvertito che vi fosse dentro qualche cosa di male, ma fu soltanto dal secondo consigliato a levarvi le due quarantene per la rigenerazione fisica e morale come due inezie, delle quali due pratiche perciò non ne ha mai fatto uso.
Ora, istruito dal P. Contarini che nella costituzione suddetta vi sono cose cattive e contrarie alla S. Fede Cattolica, da lui ritenuta mai sempre fermamente nel cuore, egli le detesta e si protesta disposto ad abiurarle tutte nella maniera che gli sarà imposta dal S. Tribunale, ed a subire quelle pene che merita il suo gravissimo fallo; e pentito di vero cuore ne domanda umilmente perdono al Signore e lo spera dalla sua infinita misericordia, benché se ne riconosca indegno.
Indi, rivolto alla Paterna clemenza della Santità Vostra, implora con calde lagrime pietà solamente per l'anima sua, supplicandola di da rimedio allo scandalo gravissimo da lui dato al Mondo, ancorché questo si debba fare con lo strazio più crudele e pubblico della sua persona.
Della Santità Vostra indegnissimo figlio Giuseppe Balsamo peccatore pentito».
Il 7 aprile 1791 il Sant'Uffizio emise la sentenza:
«Giuseppe Balsamo reo confesso e respettivamente convinto di più delitti, è incorso nelle censure e pene tutte promulgate contro gli eretici formali, dommatizzanti, eresiarchi, maestri e seguaci della magia superstiziosa, come pur nelle censure e pene stabilite tanto nelle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII e Benedetto XIV contro quelli che in qualunque modo favoriscono e promuovono le società e conventicole de' Liberi Muratori, quanto nell'Editto di Segreteria di Stato contro quelli che di ciò si rendano debitori in Roma o in alcun luogo del Dominio Pontificio.
A titolo però di grazia speciale, gli si commuta la pena della consegna al braccio secolare nel carcere perpetuo in una qualche fortezza, ove dovrà essere strettamente custodito, senza speranza di grazia. E fatta da lui l'abjura come eretico formale nel luogo della sua attual detenzione, venga assoluto dalle censure, ingiungendogli le dovute salutari penitenze.
Il libro manoscritto che ha per titolo Maçonnerie Égyptienne sia solennemente condannato come contenente riti, proposizioni, dottrina e sistema che spiana una larga strada alla sedizione, ed è distruttivo della religion cristiana, superstizioso, blasfemo, empio ed ereticale. E questo libro stesso sia pubblicamente bruciato dal ministro di giustizia insieme cogl'istromenti appartenenti alla medesima setta. Con una nuova Costituzione Apostolica si confermeranno e rimuoveranno non meno le Costituzioni de' Pontefici Predecessori, quanto anche l'accennato Editto di Segreteria di Stato proibitivi delle Società e Conventicole de' Liberi Muratori, facendosi nominatamente menzione della Setta Egiziana, e dell'altra volgarmente chiamata degli Illuminati, con stabilirsi contro tutti le più gravi pene corporali e segnatamente quelle degli eretici contro chiunque o si ascriverà o presterà a favore di tali sette».
Il cappuccino Francesco Giuseppe di San Maurizio è condannato a dieci anni, da scontare nel suo convento dell'Ara Coeli; Lorenza, la cui testimonianza è stata determinante per la condanna di Cagliostro, è assolta: rimase tuttavia per quindici anni nello stesso convento di Sant'Apollonia. Dal 1806 fu la portinaia del Collegio Germanico di piazza Sant'Apollinare, dove morì d'infarto l'11 maggio 1810.

Prigionia e morte
La Rocca di San LeoDopo aver abiurato il 13 aprile 1791, Cagliostro venne trasferito a San Leo, nelle Marche, per esservi rinchiuso nella storica Rocca, progettata da Francesco di Giorgio Martini per conto di Federico da Montefeltro: vi arriva il 20 aprile. L'11 settembre viene trasferito dalla già misera cella cui era stato assegnato nella peggiore che si fosse potuta ricavare: chiamata il Pozzetto, perché priva di porta - il detenuto fu calato da una botola del soffitto - di dieci metri quadrati, munita di una finestrella appena più larga di una feritoia, con una triplice serie di sbarre da cui si poteva vedere a stento un fazzoletto di cielo.
Probabilmente per impietosire e acquisirsi la nomea di pentito, mostrò all'inizio della prigionia grande devozione, espressa da continue preghiere e frequenti digiuni: dipinge sul muro immagini religiose e ritrae se stesso, che si batte il petto in segno di contrizione e tiene nell'altra mano un crocefisso; disegna anche una Maddalena in penitenza.
Ma iniziò presto a dare segni di instabilità psichica, segnata da violente ribellioni e da crisi mistiche, nella tremenda solitudine di quel buco oscuro e umido. Il mondo è tutto nella vaga immagine del guardiano che dal soffitto gli cala il cibo due volte al giorno, nel tavolaccio dove sta sdraiato quasi tutte le ore di un giorno che poco o nulla si differenzia dalla notte, nella finestrella a cui a volte si aggrappa e urla una disperazione a cui è negata ogni pietà. Quando ha di questi sfoghi, si materializzano i guardiani dal soffitto: scendono, e sono pugni, calci, bastonate, grida, lamenti e pianti. Forse, gli stessi ricordi dei successi mondani, della ricchezza pur sordidamente acquistata e facilmente dissipata, delle celebrità frequentate, che dovevano spesso tornargli nella mente, potevano soltanto acuire la desolazione della presente miserabile condizione.
Dalla disperazione all'ebetudine, dalla rabbia all'apatia e alle illusioni: nel dicembre del 1793 ottiene il permesso di scrivere al papa. Spera di convincerlo del suo pentimento, ma vi scrive di avere visioni che lo fanno ritenere un santo, scelto da Dio perché predichi al mondo la necessità di un generale ravvedimento. Naturalmente, non viene preso sul serio e continua a dipingere, ora immagini devote, ora blasfeme, seguendo le diverse ispirazioni della speranza e della rabbia impotente.
Solo la morte può liberarlo dal carcere e quella, finalmente, giunge pietosa: il 23 agosto 1795 è trovato semiparalizzato nel suo tavolaccio. Scrive il cappellano della fortezza, fra' Cristoforo da Cicerchia:
«Restò in quello stato apoplettico per tre giorni, ne' quali sempre apparve ostinato negli errori suoi, non volendo sentir parlare né di penitenza né di confessione. Infine de' quali tre giorni Dio benedetto giustamente sdegnato contro un empio, che ne aveva arrogantemente violate le sante leggi, lo abbandonò al suo peccato ed in esso miseramente lo lasciò morire; esempio terribile per tutti coloro che si abbandonano alla intemperanza de' piaceri in questo mondo, e ai deliri della moderna filosofia. La sera del 26 fu tolto dalla sua prigione per ordine de' suoi superiori, e fu trasportato al ponente della spianata di questa fortezza di S. Leo, ed ivi fu sepolto come un infedele, indegno dei suffragi di Santa Chiesa, a cui non aveva quell'infelice voluto mai credere».
Cagliostro morì dunque il 26 agosto 1795, verso le 22,30; fu sepolto senza cassa, nella nuda terra e senza alcuna indicazione, ma del luogo si conservò memoria per qualche tempo: le truppe polacche, alleate dei francesi, che nel dicembre del 1797 conquistarono senza incontrare resistenza la Rocca, liberando i prigionieri, scoprirono anche il cadavere, dandogli forse una più decorosa sepoltura e forse anche conservando qualche reliquia da quelle povere ossa.
Poi, del luogo si è perduto il ricordo e le ricerche effettuate più di un secolo dopo non hanno avuto alcun esito.

FONTE

ALTHOTAS - ACHARAT - CAGLIOSTRO: CHI ERA COSTUI?

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Le chiavi dei Tarocchi: in alto a sinistra, il sigillo di Cagliostro

Rocca di San Leo. Turrita reminiscenza di passate grandezze; erge i suoi possenti bastioni e le sue pesanti cortine su un colle dell’Alto Montefeltro. Trasformato, nel tempo, in fortezza e prigione papalina, nasconde - con il circostante omonimo villaggio - uno dei misteri più impenetrabili del nostro ‘700: quello di Alessandro, conte di Cagliostro che la storia dice qui morisse, dopo sei anni di segregazione, nell’anno di grazia 1795.

Era un sopravvissuto della Romana Inquisizione, murato vivo, in una cella del mastio centrale, che prendeva luce solo da una stretta apertura del soffitto: è qui si sono infranti i sogni e sono, forse, finiti i segreti terreni dell’avventuriero.

L’occasione della visita della Rocca mette in moto i pensieri: chi era Cagliostro? chi era l’uomo cui la crudeltà umana provò – riuscendovi - di bruciargli gli occhi annullando il potere del suo sguardo magnetico, utilizzando l’unico raggio di sole che gli era consentito?

Sul Cagliostro - personaggio storico - sono fiorite molte leggende, ma sulla sua vicenda umana abbiamo molti dubbi e ben poche certezze; perfino il suo certificato di morte è ritenuto, da taluni, un falso grossolano. La leggenda vuole che Cagliostro, invocata la confessione, avesse ucciso il confessore allontanandosi con i suoi abiti per finire ... in America (???).

Di certo possiamo dire che fu un personaggio scomodo in vita e ancor più scomodo da morto al punto che la tomba venne occultata così bene da essere sfuggita a tre secoli di ricerche ed a qualsiasi morboso tentativo di individuazione.

L’ipotesi generalmente accettata è che si trattasse di un povero Cristo, nato a Palermo nel 1743, tal Giuseppe Balsamo; dopo essere fuggito dal Seminario di Caltagirone e dopo brevi quanto saltuari studi di disegno, si sarebbe rifugiato a Roma esercitando la nobile arte di arrangiarsi per sbarcare il lunario. L’arrangiarsi, in quell’epoca - come del resto in ogni tempo - significava vivere di espedienti più o meno ingegnosi nel tentativo di procacciarsi un futuro meno incerto di un presente di miseria.

A Roma conobbe e sposò Lorenza Feliciani che trasformò nella novella Iside di un culto esoterico creato nell’ambito di una Loggia Massonica di rito egiziano, da lui inventata: la povera Lorenza ebbe il suo momento di notorietà unicamente per ave venduto il marito all’Inquisizione. Ed ecco uno dei numerosi misteri della coppia: perché venderlo all’Inquisizione se circolava tranquillamente per Roma?

Da Roma erano già partiti quando cominciarono un giro attraverso le Corti d’Europa presso le quali il Conte esercitava le più svariate attività: da mago a falsario, da profeta a imbonitore, da alchimista a cartomante, fino a praticante delle teorie del dottor Mesmer. Dotato di un indubbio fascino personale, a Parigi, incappò nel grosso scandalo dei gioielli che l’arcivescovo di Rohan intendeva donare alla regina Maria Antonietta. Per quanto assolto, fu costretto a ritornare a Roma per il suo incontro col destino.

A questo punto mi pongo il primo problema: il Cagliostro. che emerge da questa sommaria descrizione, è ovviamente un imbroglione, un illetterato con qualche approssimativa base culturale di accatto. Possibile che fosse in grado di sopravvivere, col solo fascino personale, in ambienti culturalmente raffinati - come quelli delle corti illuministiche? Come poté farsi strada in un ambiente quale quello della Massoneria che in quegli anni, in Gran Bretagna, andava gettando le basi teoriche e culturali della propria dottrina?

La visita alla Rocca di San Leo ed al piccolo museo ivi organizzato, per converso da’ un energico scossone al luogo comune di un Cagliostro illetterato. Basti pensare alle centinaia di opere ivi esposte che, nella forma e nel contenuto evidenziano una profondità di pensiero insospettabile. E non è a dire che a quell’epoca andassero di moda i “ghost writers”!

Cagliostro non era dunque quello che la leggenda ci presenta!

Mi si dirà che la leggenda fu creata ed alimentata dallo stesso avventuriero. Entro certi limiti potrebbe convincermi solo nei limiti in cui Cagliostro si sarebbe inventato il nome (Alessandro) ed attribuito il titolo nobiliare (Conte). Questo rientra nei costumi dell’epoca (casanova, suo contemporaneo e collega di imbrogli si era attribuito il titolo di cavaliere!). Ma come spiegare il fatto che l’illetterato Cagliostro conoscesse l’ebraico al punto da comporre testi esoterici in quella lingua? E, al di là di ogni altra considerazione vi è una domanda, alla quale non si può dare risposta, che a mio avviso, taglia la testa al toro: a chi sarebbe giovata una affermazione di semi-analfabetismo visto che si muoveva a proprio agio e con successo in un mondo come di dotti illuministi?

Sembrerebbe maggiormente plausibile un’altra teoria che fa di Cagliostro, uno sconosciuto, una sorta di spia dello Stato Pontificio, assoldato dai Gesuiti, che ad un certo punto (lo scandalo di cui ho detto) decide di mettersi in proprio e, passando dall’altra parte, tradisce.

Questa tesi, per quanto storicamente discutibile (e non altrimenti dimostrabile), avrebbe il merito di spiegare almeno il motivo dell’odio dei pragmatici gesuiti e l’atteggiamento dell’Inquisizione che non condannò a morte lo ”eretico” preferendo la condanna a vita per lui e per la moglie delatrice. Ma anche qui la conclusione è ricca di contraddizioni perché la condanna a vita, era riservata dal codice di Eymerich ai relapsi (cioè a coloro che avessero fatto abiura dei passati errori): ma dell’abiura non esiste traccia.

E, ancora, perché fu deportato a San Leo e non in un istituto di religiosi come prescriveva il predetto inquisitorio?

La vicenda di San Leo, ha tanto il sapore di un romanzo alla “Conte di Montecristo” che fa la pariglia con la leggenda della fuga rocambolesca. E allora, passiamo dal Castello d’If alla Bastiglia della Maschera di Ferro e domandiamoci: ma allora chi fu il prigioniero di San Leo?

A rendere legittima la domanda ricorderò che è recentemente avanzata una nuova ipotesi sulla identità del sedicente Conte: secondo tale teoria Alessandro Cagliostro e Giuseppe Balsamo non fossero la stessa persona.

È stato osservato che il nome <cagliostro> sarebbe proprio di una famiglia portoghese trapiantata in Sicilia. Cagliostro sarebbe una deformazione della parola “callosto”, vascello, che il nobile avrebbe aggiunto al proprio cognome come titolo di nobiltà. Questo diritto gli sarebbe stato conferito da un Re di Spagna da lui salvato durante un naufragio: come dire “Alessandro Conte del Vascello”.

A suffragio di tale ipotesi si citano due testimonianze.

La prima è di Giovan Giacomo Casanova che, come ci dice nei suoi “Memoirs” avrebbe incontrato il nobile Cagliostro, sulla strada di S. Jacopo de Compostela.

La seconda è di Goethe il quale nel suo “Viaggio in Italia”, riferisce di sue ricerche effettuate in Sicilia dove ne avrebbe trovato un discendente col quale ebbe modo di scambiare confidenze.

Ma, a ben vedere, ambedue le testimonianze mi appaiono abbastanza sospette.

La prima perché Casanova avrebbe dichiarato nobile, per pura vanagloria, chiunque avesse incontrato col quale avesse intrattenuto rapporti.

La seconda perché Goethe pagò per le informazioni e con i soldi, come è noto, si comprano tutte le dichiarazioni che si vogliono: ma ne riconosco la buona fede.

A voler esaminare con obiettività i pochi dati di fatto che abbiamo, è indubitabile soltanto che a San Leo, dopo sei anni di segregazione inumana, morì un uomo che il certificato di morte identifica come Giuseppe Balsamo.

È, viceversa, fortemente dubbio che si trattasse del sedicente conte di Cagliostro.

Al di là di queste considerazioni ogni ipotesi è ammissibile anche se non è detto che possa essere buona.

Per inciso dirò che notizie di Cagliostro non possono essere ricercate neppure tra i documenti della Romana Inquisizione che andarono distrutti in occasione della occupazione francese di Roma. E questa circostanza accomuna il Nostro ad un altro mistero: quello che circonda il processo e la morte di Giordano Bruno.

Ma torniamo, per un momento a due strane parole che accompagnano la vita del Nostro.

La prima è Althotas. Nell’esoterismo settecentesco di marca Rosarociana – come ci insegna Eliphas Levi nella sua Histoire de la Magie – era un modo di designare un altro misterioso personaggio: il Conte di Saint Germain, l’immortale. L’accostamento non era casuale: Cagliostro deliberatamente tentava di accreditare la voce di essere tutt’uno con quel Conte o di esserne una reincarnazione. Non è un caso che Cagliostro si proclamasse apprendista di Althotas.

A tale proposito richiamo l’attenzione del lettore sul sigillo cabalistico riportato in alto a sinistra della fig. 1. Questo sigillo era costituito da un serpente trapassato da una freccia che forma la lettera ebraica Aleph: segno di inizio (in senso temporale? Inizio dell’eternità o dell’immortalità?) ma anche di unione (a che cosa? Forse ad Althotas, o se si preferisce a Saint Germain).

In secondo luogo questo sigillo, preso di per sé e fuori dal contestato della figura riferita alle chiavi dei Tarocchi, era accompagnato dalla scritta Ebraica ACHARAT. Acharat era un po’ un nome aggiunto. Qualunque cosa fosse la scritta è stata decrittata dall’occultista Eliphas Levi. Secono tale Autore si sarebbe trattato di un acrostico costituito dai suoni ebraici ACH (= unità di principio ed equilibrio), AR (= unità di vita e perpetuità del movimento rigeneratore), AT (= unità del fine in una sintesi assoluta).

Il monogramma che accompagna quella immagine sembra confermare l’associazione proposta dal Levi: si tratta del famoso:

L\P\D\

Si tratta evidentemente di un trigramma, uno steganogramma esoterico, variamente letto come "Libertà, potere, dovere", oppure "luce, proporzione, densità"; "legge, principio, diritto". Durante la Rivoluzione francese venne letto come “Libertà di pensiero”.

Nel corso del processo che lo condusse a S. Leo Cagliostro stesso lo tradusse come Lilia Destrue Pedibus che corrispondeva alla massima cabalistico-massonica del XVI o XVII sec.: “Talem dabit ultio messem”.

Del resto quale Gran Cofto della Massoneria egiziana Cagliostro si diceva portatore di una dottrina di rigenerazione morale e fisica che era solito identificare con la frase chiave dell’Immortalità del Libro dei Morti "Io sono colui che è".

Subito dopo la sua morte, cominciò a circolare la voce di yna sua fuga da S. Leo. E questa vox populi – che evidentemente parlava di una sua sopravvivenza (in corpo e spirito?) andava evidentemente a rafforzare l’assimilazione di Althotas con Saint Germain.

Il cerchio si era chiuso e di Cagliostro restava solo …. il Conte si Saint Germain.

FONTE

 
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